True Blood quarta stagione – Un amore incondizionato di La Redazione di Serial Minds
Va tutto in vacca, ma in fondo ci piacciono le vacche
Oggi abbiamo una guest star. La nostra amica/fan/sostenitrice Chiara si è fatta avanti per parlare della quarta stagione di True Blood, che in queste settimane sta riempiendo di sangue, sesso e fate i nostri schermi. Dopo lunghissima riflessione (non meno di 46-47 secondi, almeno), abbiamo pensato che ogni tanto fa bene proporre qualche penna nuova e dare spazio a opinioni e stili diversi. Ovviamente dopo aver chiarito con Chiara che non le avremmo dato un soldo, ma solo stima, fiducia e, se i risultati lo giustificheranno, affetto.
Tanto più che di Sookie e compagni non avevamo ancora parlato, questa estate, quindi è tutto grasso (pardon, sangue) che cola.
Se l’articolo di Chiara vi piace, e se ne volete degli altri, mandate un sms al 555-… vabbe’, sta cazzata ve la risparmio… (dc)
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27 Giugno 2011
Dalla quarta serie di TB: “Waiting sucks”.
Decisamente la frase più appropriata nonché quella che rispecchia lo stato d’animo di tutti i fans di True Blood. Ho tutto pronto: lenzuola pulite, condizionatore acceso, puntata scaricata e inserita nell’hard disk collegato al televisore… Alle 22 in punto suona il citofono. Waiting sucks. Ed ecco Sookie, cerchietto in testa e immancabile vestito scollato, nella terra delle fate. L’ambiente potrebbe tranquillamente sembrare quello di un sogno lisergico di Jason sotto V: “Gradisce una lumiere (nb “mela di luce”)?” le chiedono le fate, “No, grazie” risponde Sookie dando retta ancora una volta al suo prezioso intuito. Ed ecco il primo twist: Sookie ritrova suo nonno dopo 20 anni. Eppure lui si ricorda di averla vista solo ieri… Ok, è evidente che qui c’è qualcosa che non va. In men che non si dica siamo catapultati in un set da far invidia a Xena Principessa Guerriera. Il fuggi fuggi si interrompe quando un enorme buco nero si spalanca davanti a loro: “Questo è l’unico varco per ritornare nel mondo degli esseri umani, ma può saltare solo chi non ha mangiato la lumiere”. Sookie può, il nonno no, ma anche chissenefrega ed ecco che con un salto sono entrambi nuovamente a Bon Temps. Purtroppo per Sookie il nonno crepa quasi subito, ma solo dopo aver dato alla nipote un vecchio orologio di famiglia da consegnare a Jason. Che dire, Granpa dies twice, e forse ‘sto giro quelli di TB hanno un po’ esagerato.
18 Luglio 2011
Dalla mia bacheca Facebook: “La noia regna suprema pure a Shreveport”.
Mentre scrivevo questo secondo paragrafo ho centrato alla perfezione il titolo che gli avevo dato: la noia. Mi ero dilungata a parlare della trama, cadendo nell’errore di tutti quei film non riusciti di cui parla McKee: un secondo atto debole, prima del finale coi fuochi di artificio. Cosa stavo cercando di dire su True Blood? Volevo comunicare il semplice concetto che oramai – dopo l’articolo di Diego e a distanza di un anno – non succede più niente. I grandi tiranti della serie, la discriminazione e l’odio che ne consegue, portati all’estremo con Russell Edgington, sembrano appannarsi di puntata in puntata. A nessuno frega più niente dei diritti dei vampiri e coloro che ne sono stati vittima preferiscono scappare piuttosto che affrontarli. Fanatici religiosi armati fino ai denti vengono sostituiti da adolescenti bramosi di beccare il vampiro cattivo per sbatterlo online. Dov’è finito il Reverendo Newlin? Lui avrebbe insegnato loro che la rivoluzione non si fa su internet ma sul campo. E poi c’è l’immancabile sottotrama, l’amore, dove il maledetto triangolo Bill-Sookie-Eric pare non abbia mai fine, e anche quando lei abbozza una scelta, i motivi per cui la prende non convincono. La ragazza è attratta da un nuovo Eric senza ricordi che diventa gentile, innamorato, premuroso e tutte quelle cose che – si dice – le donne apprezzino in un uomo. Purtroppo per il telespettatore però, anche per quello che come me da sempre fa parte del “Team Eric”, tutto suona falso, melenso e fin troppo facile: se il vichingo deve spuntarla con Sookie deve farlo rimanendo tale, senza trasformarsi in un “involucro vuoto”, come direbbe Pam. Per un attimo, già provata da una torrida settimana milanese, credo di avere perso una delle mie serie preferite… Ma il caldo passa, la temperatura scende e anche a Bon Temps si apre uno spiraglio. Di colpo il ritmo accelera e l’immobile “prologo” cui siamo stati costretti sembra aprirsi all’azione. Era ora.
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25 Luglio 2011
Dal mio libro degli Haiku: Che mondo. Dove le mele di luce sono passaporti.
Ho capito cos’è True Blood: una serie che mi rincuora solo per il fatto che da qualche parte nel mondo si può pensare di scrivere e mettere in scena tutto quello che una persona disturbata come me vorrebbe vedere. E dopo il quinto episodio Me and the Devil ne sono ancora più convinta. Di colpo, lo spirito di Alan Ball mi illumina sul perché ho speso ore e ore a guardare gente azzannarsi a vicenda e, nel migliore dei casi, ammucchiarsi. I dettagli. Trame e sottotrame, personaggi che cambiano e si evolvono… Questi sono gli elementi imprescindibili di qualsiasi prodotto seriale ben fatto. Tutto questo a True Blood non mancava e non manca (è tornato il razzismo!), ma di certo non era e non è il suo punto forte. True Blood non ha bisogno di coerenza. Vive di eccesso, di situazioni improbabili e di conversazioni deliranti. Ecco allora che il vecchio Sam consiglia al fratello Tommy di gettare i cadaveri dei genitori nel fiume, buttandoci sopra dei marshmallows, cosicché i corpi vengano immediatamente mangiati dagli alligatori senza lasciare traccia. Poco dopo, un close up tra i libri preferiti di Jessica ci svela anche quello di Twilight ed ecco che Pam decide di farsi iniettare qualcosa nel viso per tornare… Bella. True Blood si alimenta di dettagli inverosimili, metaforici, ironici e ricercati per gli amanti del genere. Dettagli che, per i telespettatori che seguono la serie della prima stagione, sono peggio del V. Perché diciamocelo, True Blood non è per tutti: è per una “setta” che ha le stesse caratteristiche di quella del Fellowship of The Sun, di quella del Fangtasia o della setta del Lou Pines. Una setta vera, che continuerà a seguire la serie finché non decideranno di chiuderla, e dipendente, più che dalle storie, dai dettagli e dalle atmosfere che la sigla racchiude alla perfezione. Una setta che cerca continuamente nuovi adepti: se non avete mai visto True Blood guardatelo, anche senza partire dall’inizio. Perché l’esistenza di noi umani è diversa da quella che immagina Giovanardi: ognuno deve essere libero di vivere come vuole. Show your true color, recitano i manifesti pubblicitari di True Blood. I showed you mine.
Chiara Minetti