Grey’s anatomy e il doppio scivolone di Diego Castelli
Non vorrete mica cantare ancora?
OCCHIO CHE SI PARLA DEL FINALE DELLA SETTIMA STAGIONE!
Con Grey’s Anatomy ero in ritardo. Per motivi che non sto a specificare, mi ero arenato a metà della stagione, ma avevo promesso di usare l’estate per tornare in pari. In parte perché non si molla una serie che segui da 7 anni solamente perché ti sei distratto. E poi perché ormai ne avevo sentite di cotte e di crude sul finale e sulla puntata musical, e dovevo assolutamente vederle!
Ebbene, tutto secondo i piani. Mi sono visto circa dodici episodi in una settimana, e ora posso unirmi anch’io allo sdegnato coro: qualcosa non ha funzionato. Anzi, qualcuno là dentro ha proprio bevuto forte!
Per la verità, gran parte degli episodi vanno via lisci. Grey’s Anatomy aveva e ha i suoi punti di forza, al di là di un concept non rivoluzionario (dubito che l’idea di unire medical e soap sia da considerarsi epocale): fotografia patinata, dialoghi pieni di ritmo e di brio, soluzioni narrative spesso originali, casi medici bizzarri, protagonisti ben caratterizzati. Anche quest’anno tanti episodi si son visti volentieri, e malgrado ci siano personaggi da menare ogni due scene, subito dopo ne arrivano altri che strappano un sorriso (che bella l’introduzione di Peter MacNicol, che fa sempre la sua figura).
Purtroppo, un primo inevitabile problema riguarda la mera consunzione del prodotto. Dopo sette anni, e dopo aver lasciato per strada gente come Katherine Heigl e T.R. Knight, ciò che prima era la novità ora è la routine, ed è inevitabile che l’attenzione dello spettatore venga rapita da semplici, dolorose verità: tipo che Grey’s Anatomy è più che altro un pollaio di imbecilli postadolescenti che pensano solo a scopare e tagliuzzare, tagliuzzare e scopare. Qualunque sia il nuovo arrivo, salvo rare eccezioni sai che sarà figo e che scoperà. Bello eh, però…
Queste le criticità generali, comuni a quasi tutte le serie di lungo corso. Ma l’occhio del fan può anche passarci sopra, come faccio io con House.
I problemi veri, stavolta, sono stati altri due.
Partiamo dalla fine, cioè dall’ultimo episodio. Grey’s Anatomy ci aveva abituato a finaloni d’antologia, roba da strapparti via lo stomaco. Ricordate la morte di O’Malley? Quando Meredith scopre che il tizio investito e sfigurato è proprio il suo amico, che avevamo visto partire per la carriera militare solo pochi minuti prima? E che dire di morti improssive, bombe nelle budella, matrimoni saltati per motivi extra-telefilmici?
Stavolta, l’insulsa Meredith se ne torna a casa con la pargola africana neo-adottata – non potevano proprio evitare di accollarsi la giovinetta di colore coi problemi clinici, perché loro sono buoni buoni e Derek ha gli occhioni cerbiattosi – e attraversa diverse stanze vuote, in un’atmosfera stranamente tesa. Ti aspetti che succeda qualcosa di clamoroso. Che Derek si sia impiccato coi capelli. Che Alex abbia volutamente stuprato una delle ragazzine che ha fatto arrivare dal Continente Nero. Che la moglie arteriosclerotica del primario abbia organizzato un party con sacrifici umani nel salotto della Grey. Qualunque cosa ti aspetti, ma non che lei semplicemente “non trovi nessuno”. Derek è a venti minuti di macchina, impegnatissimo a tenerle il muso perché lei gli ha rovinato gli esperimenti. Alex si è semplicemente trasferito, su sua richiesta. La piccola Grey (ma si è rifatta di brutto? Non aveva gli occhi così orizzontali all’inizio, o sbaglio?) ciula col collega e Mark è d’accordo. Cristina è incinta e decide di abortire. Sai che roba, voglio dire…
E’ mancato il colpo, la stoccata finale. Tante storie meritano ulteriore approfondimento e conclusione, ok, ma non sono rimasto di sasso. Se mi avevi abituato così, ora non puoi tirarti indietro come nulla fosse.
Ma anche a questo si può passare sopra. Quello che proprio non posso mandare giù, da prendere Shonda Rhimes a schiaffoni, è la puntata musical.
PERCHE’?
Questa è la grande domanda. E quella subito successiva è
PERCHE’ COSI’ BRUTTA?
Nessuno le aveva chiesto di fare una puntata musical. Non c’era necessità, non serviva. Buffy l’aveva fatta per prima (credo), e ne aveva i paranormali diritti. L’aveva fatta Scrubs, che era una serie comedy, e ci sta. Poi hanno creato Glee, che è tutto un mondo a sé. Ma qualcuno mi deve spiegare cosa minchia c’entra la puntata musical con Grey’s Anatomy. E’ proprio una cosa che colpisce lo spettatore con la forza della sua idiozia, e che già lo indispone. Perché tra l’altro arriva in un momento molto importante (post-incidente di Callie e Arizona), che imporrebbe ben altra concentrazione. E invece no, cantiamo…
Quando lo spettatore si riprende dal colpo apoplettico, prova almeno a vedere se ne vale la pena. E cazzo, no che non la vale.
Tutto viene filtrato attraverso la percezione di Callie. E’ lei che vede la gente cantare, in teoria. Peccato che poi cantano anche quando lei non è presente, giusto per far le cose a culo.
Ma poi cantano male, ragazzi! Prima cosa da fare quando decidi di fare un episodio musical è assicurarti che il tuo cast sia all’altezza. Non puoi presentarti il giorno delle riprese, dare per scontato di avere per le mani Beyoncé e Christina Aguilera, e scoprire all’ultimo di avere solo Gargamella e Topo Gigio.
Qui alla fine fanno cantare quasi solo la Torres, che è intonata e ha una voce più o meno decente. Gli altri sono una collezione di orrori. Intonati forse, nemmeno sempre, ma vocalmente insignificanti. Fino ad arrivare a lei, Ellen Pompeo, l’Inutile. Possibile che questa donna non sappia fare nulla di degno? Le danno da gestire due note, il tempo di far suicidare un paio di cameramen, e poi diluiscono la sua voce cigolante in uno dei cori peggio ascoltati nella storia della tv. Un gruppo di gatte in calore, di quelle che senti d’estate, dalle finestre aperte, che cercano maschi avidi di cucciolate. Peraltro, trattandosi del Seattle Grace, forse l’effetto ricercato era proprio quello…
A voler ben guardare, le canzoni non era nemmeno brutte. Perché altra grande capacità degli autori di questa serie è sempre stata quella di scegliere ottimi accompagnamenti musicali, che rendessero memorabile la classica retorica strappalacrime/commovente. E anche in questo caso quelle stesse canzoni avrebbero fatto il loro dovere, se solo non fossero cantate dalla Bailey! Ma dai, la Nazi che canta! Ma quale pathos può esserci in un chirurgo che gorgeggia mentre apre milze? Non stai asfaltando strade, zio, vediamo di star seri!
Quale sarà la conclusione di tutto questo. Boh, non so. C’è crisi creativa, e nonostante questo la serie si spingerà probabilmente oltre la prossima, ottava stagione.
Shonda, ci siam voluti bene, c’è ancora tanto affetto, vediamo di non lasciarci male proprio alla fine, per cortesia…
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