I ragazzi della Terza C di Marco Villa
Una recensione direttamente dal 1987
Sono simpatici e allegri, ma faranno poca strada. Questa la sensazione dopo aver visto la prima puntata de I Ragazzi della Terza C, sceneggiato per ragazzi andato in onda ieri, 13 gennaio 1987, su Italia 1. Un gruppo di giovani sbarazzini alle prese con l’ultimo anno del liceo. C’è Chicco, sveglio e simpatico, ma poco avvezzo agli studi. Bruno, sovrappeso e pacioccone destinato a commettere brutte figure in continuazione. E poi lo sportivo, le due secchione, la brava ragazza e via così. Vestiti alla perfezione secondo l’uso di questi tempi, i ragazzi passano le giornate tra brutti voti a scuola ed esperienze particolari.
La regia della prima puntata è affidata a Neri Parenti, uno dei nomi migliori del nostro cinema che, dopo Fantozzi, sembra destinato a scrivere pagine importanti nella settima arte italiana. Tra gli autori, in molti segnalano come promettente un certo Federico Moccia, che in alcuni ambienti definiscono come la risposta pop a Umberto Eco. Sta scrivendo il suo primo romanzo: parla di filosofia della scienza, ma a quanto pare appronterà alcuni cambiamenti.
Si diceva della freschezza della serie, che diverte riuscendo a mostrare squarci del nostro tempo. Peccato, però, che difficilmente qualcuno se la ricorderà tra qualche mese. Mancano infatti tensione e partecipazione, elementi garantiti invece dai grandi telefilm tedeschi proposti dalla RAI. Pensiamo a Derrick, ma anche al Commissario Koster. La grande televisione teutonica di questi anni ci insegna che senza dramma non c’è successo.
Come pensare, allora, che Chicco e i suoi amici, con le loro Opel Corsa con alzacristalli elettrici e chiusura centralizzata (come ampiamente sottolineato nei dialoghi) o con i loro Cornetti Algida – il miglior alimento per un giovane – possano competere anche solo con il gigantesco commissario Cattani de La Piovra? Non possono bastare inquadrature sempre frontali come un film di Pasolini venuto male e nemmeno la recitazione volutamente pessima di alcuni elementi. A proposito, ci permettiamo di suggerire che, se mai dovesse essere realizzata una serie che abbia come personaggio una cagna maledetta della recitazione, l’interprete migliore sarebbe Sharon Gusberti, qui nei panni della bionda snob Sharon Zampetti.
Se una cosa c’è da salvare ne I Ragazzi della Terza C, è senza dubbio la cura del reparto costumi. Raramente si è vista una simile eleganza: tutti vestono secondo l’ultima moda. Se tra qualche anno qualcuno dovesse ripescare queste immagini, certo ammirerebbe stile ed eleganza dei protagonisti. Ma non accadrà, perché, come detto, tra qualche mese I Ragazzi della 3C saranno già nel dimenticatoio, sovrastati dagli amori tormentati dei medici de La Clinica della Foresta Nera.
Fuori dal giochino per un attimo. A distanza di 24 anni dal primo episodio, I Ragazzi della Terza C resta tra i migliori prodotti adolescenziali italiani. Imperfetta, sgangherata, fatta senza dubbio a cazzo di cane (alcuni personaggi di contorno cambiavano nome di puntata in puntata). Però onesta. Nessuna pretesa, nessuna volontà di essere più di un prodotto di intrattenimento, ma nemmeno nessuna furbata da Moccia ante-litteram. I personaggi sono macchiette ben costruite e diverse battute fanno ridere ancora. Più di tutto, però, sbalordisce la presenza di un product placement sfacciato, permesso dall’assenza di normativa in materia. Non è il semplice marchio posizionato in punti strategici, ma veri e propri spot inseriti nei dialoghi. A parte questo e i maglioni di Chicco, lunga vita. Studiare in jeans, c’est plus facil.