The Residence – Un giallo divertente e (troppo?) incasinato di Diego Castelli
In The Residence, Uzo Aduba ci regala una buffa e adorabile investigratrice, in un giallo con un po’ troppi sospettati
Uno dei 147 modi in cui si potrebbe dividere in due il mondo della narrazione audiovisiva è: da un parte serie/film che sai praticamente da subito cosa sono, dove andranno a parare, come proveranno a farti divertire, e dall’altra prodotti che invece puntano a stupire di più, a ibridarsi maggiormente fra i generi, a non dare troppi punti di riferimento.
Naturalmente ci sono pro e contro in entrambi i casi, e la cosa più importante non è scegliere uno piuttosto che l’altro, bensì essere fino in fondo consapevoli della scelta che si è fatta.
The Residence, la nuova serie Netflix prodotta da Shondaland (casa di produzione di Shonda Rhymes) e creata da Paul William Davies, appartiene orgogliosamente al primo gruppo: dopo tre scene sai già cosa stai guardando, hai capito lo stile, ipotizzi pure se ti piacerà o meno, anche se poi il giudizio si potrà sfumare con l’andare degli episodi.

Ci troviamo di fronte a un giallo classico, molto Agatha Christie, ma con una forte impronta comica, mutuata e potenziata rispetto a esperimenti cinematografici recenti come la saga di Knives Out (espliticamente citata, peraltro).
Siamo alla Casa Bianca durante un’importante cena di stato. A un certo punto, A. B. Wynter, il White House Chief Usher (cioè la persona che supervisiona il lavoro di cuochi, camerieri, domestici ecc) interpretato da Giancarlo Esposito, viene trovato morto in una delle molte stanze dell’edificio.
Lo staff della Casa Bianca, ma pure il Presidente, la sua famiglia, la CIA, l’FBI, entrano in allerta, ma la giurisdizione è effettivamente quella della normale polizia di Washington, il cui capo prende una decisione precisa: affidare subito lo scottante caso a una consulente investigativa della polizia, che ha già dato prova di grande abilità.
L’investigatrice si chiama Cordelia Cupp, è interpretata da Uzo Aduba (la Crazy Eyes di Orange is The New Black), ed è il sigillo che incastra perfettamente The Residence all’interno del suo genere, perché è la classica figura di detective tanto intelligente quanto inusuale.

Paul William Davies ci mette pochissimo a trasformare Cupp in un personaggio immediatamente riconoscibile, precissimo, memorabile nel senso letterale del termine, cioè facile da ricordare.
C’è la faccia di Uzo Aduba, c’è il suo vestiario ricercato e volutamente démodé, ci sono almeno due tormentoni che la riguardano e che ritorneranno per tutta la serie, contribuendo anche al tono comico: il primo è la passione per il birdwatching, che definisce alcuni approcci mentali con i quali la protagonista affronta le indagini, ma che diventa anche un semplice modo per far ridere ogni volta che la detective a cui è stata affidato il caso sparisce perché sta spiando gli uccelli col binocolo; il secondo è la tecnica di stare in silenzio durante gli interrogatori, mettendo addosso all’interrogato una pressione silenziosa che finisce con lo sciogliergli la lingua.
Serve davvero poco, dunque, perché Cordelia Cupp acquisisca una riconoscibilità pari ai vari Sherlock Holmes o Jessica Fletcher, o il dottor House, giusto per sconfinare in un genere tecnicamente diverso, ma che funzionava nello stesso modo.
Con questo non si vuole dire che la protagonista di The Residence diventerà famosa e amata come questi colleghi, non esageriamo, ma è semplicemente per sottolineare che, in questo genere, il lavoro di caratterizzazione del/della detective è molto importante, e qui è stato fatto alla perfezione.

Non è il solo pregio di The Residence, che è anche messa in scena con grandi mezzi e buon gusto (ottima l’idea di “sezionare” la Casa Bianca come se fosse una casa di bambole in cui le varie stanze diventano quadrotti in cui lo spettatore può giocare), e soprattutto montata con grande precisione.
Fateci specificamente caso, al montaggio di The Residence, al modo in cui una trama ricchissima di personaggi secondari (e potenziali sospettati) viene continuamente rimasticata e rilanciata da mille rimandi interni, nella forma di singole porzioni di dialogo e/o singole immagini, a volte molto piccole, che ritornano per dare sostanza ai ragionamenti e alle deduzioni della protagonista, nella costruzione di un puzzle molto articolato e dal ritmo quasi sempre altissimo, senza un attimo di pausa.

Quindi alto ritmo, una protagonista efficace, un bel mix di giallo e commedia per affrontare la primavera con un po’ di leggerezza: sembrerebbe tutto fatto a puntino.
In realtà, però, The Residence sfrutta questi strumenti atti a facilitare l’ingresso e la comprensione degli spettatori, anche perché sa che la materia narrativa è particolarmente intricata.
Il principale problema di The Residence, al netto poi dei singoli gusti su questo o quell’elemento specifico, è proprio nel suo inglobare troppa roba: troppi personaggi, troppi indizi, troppi sospettati, perfino troppe stanze in cui ambientare la vicenda.
(Dovrei anche aggiungere che non c’è solo l’indagine alla Casa Bianca, ma anche una successiva udienza del Congresso in cui i senatori cercano di farsi spiegae la vicenda, con l’aggiunta di altre scene, altre elucubrazioni, altri personaggi)

Per quanto sia classico il meccanismo di contemplare diversi potenziali assassini/e, e accumulare indizi che potrebbero far pendere per uno o per l’altro in un continuo gioco di conferme e smentite, per i racconti di questo tipo sarebbe anche consigliabile limitare almeno in parte il numero di questi elementi di indagine, lasciando così a chi guarda una minima possibilità di investigare a sua volta.
Questo in The Residence è praticamente impossibile, perché c’è davvero troppa roba da tenere a mente, troppi dettagli che vengono nascosti agli spettatori, e in generale un suggerimento nemmeno troppo velato a lasciarsi trasportare dalla storia senza farsi troppe seghe mentali.

Questo andrebbe anche bene, se non fosse che, nell’ultimo episodio, ci troviamo di fronte a un’ora abbondante di spiegone. Ha pure senso, rispetto a quello che abbiamo visto fin lì, e trova anche il modo di essere divertente di per sé (e di nuovo, è molto consapevole, con la stessa Cordelia che riconosce esplicitamente di stare facendo proprio il classico spiegone alla presenza dei sospettati), ma appunto è uno spiegone di un’ora, che restituisce in maniera quasi fisica, quantitativamente misurabile, il casino che è stato fatto fin lì.
In parte è perfino un problema di formato: non è la prima volta che una serie tv, dedicando a un singolo caso un’intera stagione, finisce con lo sbrodolare e il gonfiarsi pur di riempire lo spazio. Però non te l’ha detto il dottore di scegliere questo formato, e nemmeno il numero di episodi su cui spalmarlo, quindi devi anche essere responsabile delle storture che ti impone.

Nel complesso, credo che The Residence sia una serie godibile e divertente, che si segue con piacere e che, proprio grazie alla sua comicità, stempera i suoi problemi di giallo sotto steroidi.
Non mi stupirei affatto se in futuro vedessimo qualche altra buffa indagine di un personaggio come Cordelia Cupp.
Però ecco, se l’ambientazione alla Casa Bianca e l’alto numero di sospettati sono stati dei biglietti da visita di grande impatto, bisogna anche dire che, ora della fine, ci hanno fatto sentire un po’ ingolfati, tipo peperonata seguita da tiramisù.
Magari per la prossima volta possiamo anche pensare a un piattino più digeribile.
Perché seguire The Residence: è un giallo/comedy molto fresco, divertente, di gran ritmo e con un’ottima protagonista.
Perché mollare The Residence: la sceneggiatura è così piena di personaggi, indizi, sospettati, che ci si può sentire presto spaesati.
