29 Gennaio 2025

Paradise su Disney+ – Una potenziale bombetta dal creatore di This Is Us di Diego Castelli

Dan Fogelman passa dal drama puccioso al thriller, ma senza perdere la sua mano morbidissima

Pilot

Ci sono delle volte in cui la gestione degli spoiler è veramente un casino. Situazioni, cioè, in cui un’analisi anche solo decente di un pilot prevederebbe la veicolazione di informazioni che, di per sé, potrebbero rovinare la visione di molte persone.

È il caso di Paradise, la nuova serie di Disney+ creata da Dan Fogelman, già padre di quello che, a meno di essermi perso qualcosa, è l’ultimo vero drama di qualità della tv generalista americana, ovvero This is Us, da cui Fogelman si è portato dietro l’ormai amatissimo e premiatissimo Sterling K. Brown.

Allora, visto che Paradise è una di quelle serie difficili da descrivere, facciamo così: teniamo una prima parte proprio senza spoiler, e una seconda in cui ne mettiamo un paio, giusto l’indispensabile per allargare un po’ lo sguardo.

Il protagonista, interpretato dal citato Brown, è Xavier, un agente esperto che fa da scorta al Presidente degli Stati Uniti, che ha il volto di James Marsden (Westworld).
Già nella prima scena (non è un grande spoiler, fidatevi), il Presidente viene ucciso nella sua residenza e quindi, come potete immaginare, il nostro Xavier, vedovo e padre di due figli, si trova in una situazione parecchio complicata, che lui però sembra gestire in modo vagamente strano, prendendosi del tempo prima di dare l’allarme vero e proprio.

E con il riassunto, per questa prima parte, la finiamo già qui, perché all’ovvia indagine sulla morte del Presidente, con il prevedibile scontro fra diverse forze più o meno sotterranee in gioco, si aggiunge poi un twist importante alla fine del pilot, che dà poi un’impronta molto forte a tutto l’impianto narrativo.

Se qualcuno preferisce non proseguire nella lettura, sappia fin d’ora che, al momento, Paradise è molto consigliata, perché è vero che Fogelman vira sul thriller dopo averci deliziato per anni con il drama puccioso, ma è comunque in grado di conservare una grande capacità di approfondimento psicologico sui personaggi, e contemporaneamente un gusto per la comprensibilità di quello che racconta, che sarà pure di matrice generalista, ma che diventa molto piacevole per chi guarda.

DA QUI IN POI, SPOILER SUL FINALE DEL PRIMO EPISODIO DI PARADISE

Arrivati a questo punto, per approfondire un minimo l’analisi bisogna svelare questo importante twist di fine pilot, perché davvero cambia molte carte in tavola rispetto a quello che, fino a quel momento, sembrava un semplice thriller spionistico e politico.

Ebbene, alla fine del primo episodio di Paradise scopriamo che stiamo vedendo una specie di nuova Silo.
La simpatica cittadina molto “americana” che vediamo, e che la sceneggiatura ci ha furbescamente suggerito essere il posto dove il Presidente è andato a pensionarsi dopo la fine dei suoi due mandati, è in realtà l’ultima città d’America, forse del mondo, costruita all’interno di una montagna per sopravvivere ai (misteriosi) cataclismi occorsi fuori, con tanto di sole finto e finti versi degli uccelli.

E niente, boom.

Il pilot è scritto e diretto perfettamente per sviare la nostra attenzione dal twist senza mai smentirlo veramente, e la rivelazione finale ha proprio sapore del bel twist cinematografico, messo in scena con gusto e tempi perfetti, che ci permettono di ripensare a tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento per guardarlo sotto una luce diversa (stessa cosa che succedeva col pilot di This Is Us, peraltro).

E ovviamente, il fatto che la violenza sia penetrata non in una qualunque cittadina, ma nell’ultima cittadina rimasta, potenzia grandemente la portata di un gesto che getta nel panico tutti i potenti che muovono i fili di questa specie di Arca di Noè, con Xavier che, lui per primo, comincia a nutrire molti dubbi su tutto quello che gli viene detto.

Ne esce dunque una storia di complotti, tradimenti incrociati, segreti da svelare e indagini da sviluppare. Il tutto però, mantenendo anche altri due livelli di mistero, costruiti attraverso un montaggio che salta continuamente dal passato pre-apocalisse al presente nella montagna (le vibes alla Lost si sprecano): qual è il percorso che ha condotto i personaggi da ciò che erano prima a ciò che sono adesso, e cosa è effettivamente successo fuori dalla montagna, eventi che i primi tre episodi ancora non svelano.

Siamo dunque in presenza di un thriller che prende elementi molto codificati di un genere solitamente “realistico” (e che resta tale anche da un punto di vista delle procedure, dei costumi, del linguaggio), per inserirli in una cornice invece futuristica e distopica, che costringe a un divertente sforzo di ribaltamento delle prospettive.
Ribaltamento che, ovviamente, influenza il nucleo filosofico della vicenda: il titolo della serie, che dovrebbe fare riferimento a una specie di Eden ricostruito per i sopravvissuti dell’umanità, acquista un valore ironico e inquietante quando consideriamo che quell’oasi di sopravvivenza è anche figlia di poderose forze economiche ed esperimenti di ingegneria sociale, e in generale processi che, in nome della sicurezza e della sopravvivenza, sacrificano libertà e democrazia.
Non proprio temi di nessun interesse, ecco.

Il tutto, però, senza che Fogelman dimentichi il suo gusto per la costruzione di personaggi a tutto tondo, che vadano ben oltre la loro mera funzione narrativa. Con This Is Us, Fogelman aveva fatto vedere di essere capace di allontanarsi delle storyline principali senza mai perdere forza narrativa, ma dandoci anzi strumenti per apprezzare ancora di più le trame portanti della serie, e con Paradise sembra poter fare lo stesso: le pause che si prende per spostarsi dal thriller al drama sono subiti ficcanti, rotonde, splendidamente gestite, a partire a un protagonista che ha la stessa lacrima facile di This Is Us, ma ancora una volta molto motivata e comprensibile.

E proprio la comprensibilità è l’ultima chiave di un esordio davvero solido. Anche se ora lavora per una piattaforma, Fogelman non ha dimenticato il successo regalatogli dalla tv generalista. Almeno in questo inizio, ha lavorato bene affinché i molti personaggi, storie e informazioni non risultassero mai incomprensibili o troppo complicati.

È un equilibrio difficile, perché l’esatto opposto della complicazione sono banalità e prevedibilità, e per stare nel giusto mezzo serve molto polso, molta sensibilità.
Al momento, però, Paradise sembra in grado di farcela: un sacco di cose da scoprire, una montagna (letterale) di segreti e di domande, ma anche la capacità di fornire tante informazioni gustose senza mai darci l’impressione di qualcosa di confuso o troppo criptico.
Le uniche volte in cui ci troviamo spaesati sono quelle in cui la serie decide che dobbiamo esserlo, facendo crescere una frustrazione che, però, non viene portata ad estremi ingestibili.
Se Paradise saprà mantenere questo equilibrio e questa forza narrativa, allora ci sarà davvero da divertirsi.

Perché seguire Paradise: sembra avere tutte le carte in regola per un serie ricca, appassionante, piena di cose da scoprire.
Perché mollare Paradise: si porta dietro due-tre anime diverse, e magari sono troppe per chi preferisce generi più dritti.



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