12 Dicembre 2024

Black Doves su Netflix – Keira Knightley spia fra le spie di Diego Castelli

Una spy story all’inglese di buon ritmo ma anche un tantino disordinata

Pilot

Non so bene perché, ma questo finale di 2024 sembra particolarmente interessato alle spie, alla gente che si muove sotto copertura, ai travestimenti, agli intrighi e alle bugie.

Se infatti abbiamo già incontrato The Agency, remake americano di Le Bureau, la seconda stagione di Lioness (che sempre di infiltrati parla), e anche The Day of The Jackal, di cui sul sito non abbiamo ancora parlato, su Netflix c’è un’ultima arrivata, uscita lo scorso 5 dicembre, che mette al centro proprio loro le ingannatrici per eccellenza: le spie.

Parliamo di Black Doves, serie creata da Joe Barton e con protagonista una stella del cinema (anche se un po’ offuscata) come Keira Knightley, che per questo ruolo, giusto all’ultimo, si è guadagnata una nomination ai prossimi Golden Globes.

La protagonista Helen, interpretata dalla Knightley, è una spia appartenente a questo fantomatico gruppo delle colombe nere, che ruba segreti di stato e li vende al miglior offerente.
Dire che Helen è un’infiltrata è riduttivo: è infatti sposata con un importante ministro inglese, con il quale ha avuto anche una coppia di gemelli. Più infiltrata di così si muore.

A un certo punto, però, un problema inaspettato: Helen si è da poco fatta un amante di cui è davvero innamorata, e il poverino muore in circostanze abbastanza misteriose da far pensare che la stessa identità segreta di Helen sia in pericolo.

La sua capa, interpretata da Sarah Lancashire (la protagonista di Julia), la avverte del pericolo e indaga per scoprire quanto le Black Doves siano esposte, affiancando a Helen la protezione offerta da Sam (Ben Whishaw di This is Going to Hurt), un sicario complessato tanto letale quanto incasinato.

Complessivamente, Black Doves è una buona serie, gustosamente british nella sua capacità di unire una spy story che sia davvero tale – con tutti gli elementi di mistero, suspense e azione quando serve – a un’ironia di fondo che sobbolle sotto la superficie del racconto.

A volte è questione di una sparatoria particolarmente sanguinolenta, ai limiti dello splatter, mentre in altri casi è una questione di dialoghi e rapporti fra i personaggi, che hanno un passato abbastanza articolato da consentire inside jokes e frecciatine varie.

Rispetto a The Agency, che si prende estremamente sul serio, i sei episodi di Black Doves vogliono offrire intrattenimento puro, nel senso più immediato e facile del termine. In questo senso, e pur senza arrivare alla parodia, più che gli incastri della trama contano le singole scene a vario modo divertenti, i guizzi grotteschi che ricordano Tarantino o i fratelli Coen, l’umanità concreta e a volte quasi tenera di personaggi per i quali contano più le fragilità che le skills omicide.

Detto questo, e accettata Black Doves come una serie piacevole soprattutto in un periodo festivo dove si abbassa la quantità di prodotto pesantone che siamo disposti a tollerare, ci sono anche alcuni dettagli che non tornano.

Nella seconda parte, Black Doves tende a disordinarsi, a perdere qualche riferimento narrativo, e soprattutto chiederci fin troppo in termini di sospensione dell’incredulità.
Va bene che è una serie abbastanza rilassata da consigliare una visione altrettanto “easy”, però che la protagonista, moglie di un membro così importante del governo, se ne vada in giro a far casino senza mai preoccuparsi realmente della possibilità di essere riconosciuta, a un certo punto diventa davvero troppo inverosimile.

Allo stesso tempo, in questo tentativo (pur legittimo e anche efficace) di concentrarsi soprattutto sulle relazioni tra personaggi (ora amichevoli, ora amorose, ora pericolosamente professionali), ci si dimentica di approfondire meglio un contesto che ne avrebbe avuto bisogno.
Per fare l’esempio più lampante: quando arrivano i titoli di coda del sesto e ultimo episodio, non sappiamo praticamente niente delle Black Doves in quanto gruppo. O meglio, deduciamo alcune cose, e sappiamo più o meno come funziona questa organizzazione di spie professioniste, ma non c’è il vero e proprio tentativo di costruire una qualche mitologia intorno al gruppo, che quindi rimane quasi solo un’etichetta da appiccicare per poi parlare d’altro.
Per una serie che quell’etichetta ce l’ha come titolo, è un po’ poco.

A conti fatti, Black Doves è una serie che si può serenamente consigliare a chiunque voglia godersi qualche ora di intrattenimento frizzante e godibile, con poche pause, diverse scene ben girate, personaggi ben costruiti e ben interpretati (poi non so se Keira Knightley se la meritasse così tanto, la nomination ai golden globes, ma vabbè).

Se però le chiedete di più, sia in termini di coerenza che di approfondimento (se si vuole parlare del tema della vita sacrificata alle menzogne, è comunque meglio The Agency), allora Black Doves mostra il fianco a qualche superficialità e, forse, una qualche difficoltà di fondo a trovare un compromesso preciso fra commedia e thriller.

PS (Con minuscolo spoiler)
C’è una scena in cui a un personaggio viene chiesto quale sia il suo film natalizio preferito, e quello risponde “L’Amore non va in vacanza”. Per una serie che si permette ampie deviazioni nella commedia, la considero un’occasione sprecata: sarebbe stato molto meglio rispondere “Love Actually”, che aveva Keira Knightley fra i protagonisti, cosa che avrebbe creato un delizioso paradosso.

Perché seguire Black Doves: nel suo approccio multigenere (thriller, action, commedia) riesce a divertire e a non annoiare mai, costruendo in pochi episodi personaggi per cui vale la pena fare il tifo.
Perché mollare Black Doves: ci sono alcuni dettagli e piccole superficialità che potevano essere gestiti meglio e che lasciano un vago sapore di incompiuto.



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