The Agency – Inizia bene il remake di Le Bureau di Diego Castelli
Questo è uno di quei giorni, già lo so.
Uno di quei giorni in cui sai che una piccola bugia ti risparmierebbe un sacco di problemi, mentre l’onestà intellettuale ti tornerà indietro come un boomerang.
Alla fine sceglierò l’onestà intellettuale, non tanto per chissà quale slancio eroico, ma più che altro per paura che se dico una bugia poi qualcuno se ne accorge ed è peggio.
Quindi diciamolo senza paura: non ho visto una sola puntata di Le Bureau, e sto comunque per scrivere una recensione del suo remake.
Quindi se volete scrivere dei pucciosi “no ma la devi assolutamente recuperare”, o dei meno pucciosi “non dovresti scrivere questa recensione senza aver visto l’originale”, è il vostro momento.
Ricordatevi però che io sono un bastian contrario per natura: più mi viene ripetuto di fare una cosa, e meno la faccio.
The Agency, creata per Showtime e disponibile in Italia su Paramount+, è una serie di alto profilo, grandi mezzi, e soprattutto grandi nomi: è prodotta da George Clooney, diretta nei primi due episodi da Joe Wright (Orgoglio e Pregiudizio, L’Ora più buia), e presenta un cast di stelle come Michael Fassbender, Richard Gere, Jeffrey Wright, Jodie Turner-Smith.
Come nome suggerisce, racconta della CIA, l'”Agenzia” per eccellenza, e dei suoi agenti sotto copertura sparsi per il mondo. Basta comunque una scorsa alla trama della prima stagione dell’originale francese per rendersi conto che la storia, per sommi capi, è proprio la stessa, con somiglianze anche nei nomi di diversi personaggi, ovviamente adattati alla lingua inglese. È chiaro che poi cambiano i riferimenti alla situazione internazionale: basti pensare al fatto che Le Bureau è finita nel 2020, prima che scoppiasse tutto il macello in Ucraina, ma questo era inevitabile.
Il protagonista è Martian (Fassbender) un agente richiamato dopo una missione di sei anni, in cui nel frattempo si era innamorato di una donna africana (Jodie Turner-Smith).
Al suo ritorno a Londra, Martian deve affrontare diverse sfide, a partite da una brutta situazione in Bielorussia, dove un agente è stato arrestato e forse scoperto, per arrivare alla formazione di una nuova recluta (Saura Lightfoot-Leon) destinata a una missione in Iran.
Soprattutto, Martian non ha dimenticato l’affascinante Sami, e questo sentimento rischia di essere poco compatibile con il suo lavoro.
Il mondo dei remake americani di serie (e film) europei è ormai piuttosto vasto, e i risultati possono essere molto altalenanti. Per ogni The Office troviamo sempre un’Utopia.
Nel caso di The Agency, però, si vede subito che non si tratta di un progetto laterale, tanto per fare. Non metti insieme così tanta gente in gamba solo per torglierti uno sfizio.
In questo senso, e pur immaginando che qualcuno avrà da ridere partendo dalla memoria dell’originale (sia detto senza alcuna polemica, semplicemente così funziona il mondo e la mente umana), i primi due episodi di The Agency mettono sul campo una solidità che non vediamo spesso.
È una questione di scrittura, ma anche di approccio. La sceneggiatura non ha paura di raccontare molti personaggi e finire sul tecnico delle procedure della CIA, ma riesce comunque a essere sempre comprensibile e lineare, con un visibile e lodevole sforzo per infilare lo spettatore in un mondo complesso, senza per questo farlo sentire spaesato.
Alla fine è una storia di tensioni fra esseri umani, lavorative e personali, e Jez Butterworth e John-Henry Butterworth, creatori dello show, sembrano tenerlo sembre bene a mente, prendendosi il tempo per raccontare con precisione le sfide morali e di coscienza che i personaggi devono affrontare.
The Agency è soprattutto una storia di sacrifici e di ambizioni: sacrificare la vita sociale e sentimentale, scegliere un’esistenza solitaria e alienante, in nome dell’ambizione a fare qualcosa di importante e significativo, mostrando un’abilità concessa a pochi.
Ed è però quella stessa abilità, di cui gli agenti devono avere precisa coscienza, a diventare la base per possibili errori, quando un desiderio puramente personale come l’amore viene visto come un obiettivo pericoloso eppure raggiungibile perché “io sono abbastanza bravo per farlo”.
(Spoiler, non lo sei, sennò non facevano la serie tv)
Si diceva però anche dell’approccio: in generale, nella scrittura come nella messa in scena e nel lavoro degli attori, The Agency è una serie di spionaggio puro, in cui poco viene concesso all’action (anche se qualcosa c’è) e la tensione è creata nel racconto di queste menti sopraffine tese allo spasimo in una perenne partita di scacchi. La ragione e la prontezza delle proprie abilità sono in continua lotta con le reazioni più istintive, la rabbia, il panico, e l’ampio campo di una moralità che in quei corrodoi si piega, si storta, di adatta a esigenze nazionali più che personali.
Ed è proprio nell’affermazione di un’umanità residua che The Agency trova il suo vero cuore narrativo. Se fosse solo il racconto delle gesta più “tecniche” dell’Agenzia, potrebbe comunque essere un interessante racconto di genere, girato con ottimi mezzi, ma morta lì.
La cosa si fa più succosa proprio quando l’umanità dei personaggi, i loro sentimenti, desideri, paure, rancori, diventano bastoni fra le ruote di un ingranaggio che i capi e la nazione vorrebbero perfetto, e che perfetto non può essere.
Ovviamente, immagino che tutte queste “buone cose” ci fossero anche nell’originale, e siano anzi il motivo per cui perfino il New York Times ha recentemente inserito Le Bureau nelle migliori serie degli anni Dieci.
Ho capito, ho capito, la dovrei recuperare, madonna che ansia.
Intanto, comunque, The Agency mette al servizio di quella storia tutta la potenza della messa in scena a stelle e strisce, e il fatto di aver potuto contare su un grande cast è tutt’altro che secondario: ottimo il lavoro di tutti i protagonisti, a partire da un Fassbender che, con quella faccia da serial killer complessato, è perfetto per il ruolo di un agente che sia contemporaneamente credibile come fredda macchina da spionaggio, ma anche potenzialmente soggetto a sbandamenti.
(In originale il protagonista era Mathieu Kassovitz, che più o meno appartiene allo stesso genere di “faccia”)
Com’è, come non è, questi due episodi mi sono piaciuti molto, e non c’è dubbio che proseguirò con buon entusiasmo. Se poi ci sarà anche tempo di recupare i 50 episodi di Le Bureau, chissà.
Perché seguire The Agency: i primi due episodi restituiscono una spy story solida, appassionante, stratificata ma sempre comprensibile, con un grande cast.
Perché mollare The Agency: se siete fan dell’originale, amatissimo e lodatissimo, verosimilmente potrebbe bastarvi quello.