Non dire niente – La miglior serie di cui non stiamo parlando di Diego Castelli
La vera storia di due sorelle volontarie dell’IRA, per un racconto i cui echi vanno ben oltre le isole britanniche
Se c’è una cosa che adoro, quando guardo le serie tv, è essere stupito. Approcciarmi con timore a un progetto, pensando che non faccia per me, e poi bermi nove episodi in due giorni perché mi scorrono via lisci come l’olio, monopolizzandomi l’attenzione.
Questa settimana è successo con Say Nothing, che trovate su Disney+ con il titolo italiano Non Dire Niente (per una volta un titolo tradotto precisamente!).
La miniserie è creata da Josh Zetumer a partire dal libro di Patrick Radden Keefe, che a sua volta ha preso a piene mani da due vicende strettamente collegate: da una parte i “Troubles”, il lungo conflitto a bassa intensità che per 30 anni, tra la fine degli anni Sessanta e il 1998, ha infiammato il nord dell’Irlanda con continui scontri, attentati, spionaggio, morti, feriti e sparizioni, contrapponendo cattolici e protestanti (come spesso succede da quelle parti); dall’altra il “Belfast Project”, un progetto storiografico con cui il college di Boston, poco dopo il 2000, provò a ricostruire quei difficili anni, attraverso dure interviste ai protagonisti che accettarono di partecipare dietro la promessa che le loro parole non sarebbero state divulgate fino alla loro morte.
La vicenda prende le mosse da un caso particolare, ovvero la scomparsa di Jean McConville, madre di dieci figli prelevata da volontari dell’IRA (l’esercito di liberazione irlandese) perché sospettata di fare la spia agli inglesi.
È però solo la scintilla e il filo conduttore della vicenda, perché poi la trama si allarga per coprire molti personaggi e vari decenni, concentrandosi in particolare sulla vicenda di due sorelle, Dolours e Marian Price.
Da normali adolescenti figlie di un ex membro dell’IRA, le due Price si radicalizzano sempre di più, entrando nell’organizzazione e diventandone membri man mano più attivi e importanti, quasi sempre agli ordini di Gerry Adams, un politico tuttora vivente che ha sempre negato di aver fatto parte dell’IRA, come ripetuto al termine di ogni episodio da una scritta che sta lì perché sennò partono le cause giudiziarie (e comunque, a vedere la serie, non so come facciano a non partire lo stesso, ma è un altro discorso).
Ci sono due livelli su cui analizzare/giudicare Say Nothing, due livelli che in realtà valgono per quasi ogni prodotto culturale, ma che in questo caso meritano elogi specifici e separati.
Il primo livello è, banalmente, quello dell’efficacia narrativa. Non dire Niente è una serie tosta, di buon ritmo, che può contare su una storia (o Storia) fatta di eventi naturalmente impattanti (omicidi, rapimenti, bombe, sangue), ma che non era semplice incastrare in una struttura unitaria e comprensibile.
Zetumer e i suoi ci riescono benissimo, trovando sempre le chiavi giuste, e costruendo una trama divisa in due (le battaglie di gioventù e le consapevolezze dell’età adulta) in cui il coraggio e l’eroismo trovano sempe l’adeguato ribaltamento nell’amarezza e della disillusione.
Say Nothing è un thriller, una spy story, a volte anche un action, ma è soprattutto un dramma generazionale e una storia di crescita, in cui personaggi perfettamente delineati e interpretati vivono passioni esacerbanti in tutto lo spettro possibile dell’esperienza umana.
In questo senso, è una vicenda appassionante e coinvolgente di per sé, uno storytelling riuscitissimo, al netto di qualunque altra considerazione di stampo storico o politico.
Poi però quelle considerazioni ci sono, e rappresentano il secondo livello di analisi.
Non Dire Niente racconta una vicenda precisa, in un luogo preciso, inserendosi in un flusso storico che riguarda le tensioni territoriali e religiose di un luogo che sobbolle da secoli.
La sua portata filosofica, tuttavia, è molto più ampia. Non è solo il fatto che il conflitto nordirlandese assomigli, nelle sue dinamiche, a guerre che ora sono ben più accese e presenti sulle pagine dei giornali, dall’Ucraina al Medio Oriente: anche in questi casi, infatti, abbiamo dispute territoriali e/o religiose che affondano le radici in secoli e secoli di tensioni e scontri, in cui è ben difficile (e talvolta pure intellettualmente disonesto) trovare un unico e solo principio scatenante, da cui estrapolare una colpa che possa essere facilmente spalmata su persone nate decenni o secoli dopo quella prima scintilla.
Non è solo questo, dicevo, perché Say Nothing prende questi concetti e li rappresenta proprio in una cornice storica, in una prospettiva di medio-lungo periodo.
Se fosse stato il racconto di un mese di scontri alla fine degli anni Sessanta, questa miniserie sarebbe stata magari ugualmente appassionante, e forse avrebbe scelto in maniera più decisa una fazione con cui schierarsi.
Ma non è questo il succo del discorso.
Il succo è che Non Dire Niente prende i suoi personaggi, con le loro certezze granitiche e le loro imprese altisonanti, e li costringe a confrontarsi con lo scorrere del Tempo, con i cambi di paradigma, con la fallibilità e la meschinità umana che ben raramente sanno rimanere aggrappate agli ideali più alti e luminosi.
Da questo punto di vista, la miniserie va anche oltre la sua esemplarità etica o militare, per diventare un grande affresco di persone che, buttate nel calderone della Storia, ne escono con le ossa quasi sempre rotte, costrette a contemplare la possibilità che tutto ciò che hanno usato per dare senso e valore alla loro vita, è sempre e comunque un punto di vista, una prospettiva particolare su uno scorrere del Tempo che si mangia tutto, che travolge tutto.
Say Nothing sembra volerci dare un importante suggerimento, sottolineando allo stesso tempo che non potremo seguirlo: ci dice che avremmo sempre bisogno di allargare il nostro sguardo, abbracciando una porzione quanto più grande possibile di realtà e di Storia, per non esserne schiacciati. Contemporaneamente, però, ci mostra quanto la gioventù, gli ideali, la lotta contro l’ingiustizia (vera o presunta poco importa), non sia addomesticabili se non dopo molto tempo, molto sacrificio, molto dolore.
Quand’è che una lotta giusta diventa accanimento? A che punto la sanità mentale deve diventare prioritaria rispetto alla riparazione dei torti? Quanto tempo deve passare perché una disputa territoriale si trasformi nella semplice reiterazione dell’odio dei figli e dei pronipiti di chi quella disputa l’aveva iniziata?
Sono solo alcune delle domande – difficili, difficilissime – che Non Dire Niente ci pone, raccontando di un mondo passato eppure estremamente attuale, perché l’umanità è sempre quella, coltiva sempre le stesse virtù e commette sempre gli stessi errori.
E vederlo spiegare così è bello e terribile.
Perché seguire Non Dire Niente: perché oltre ad appassionare vi lascerà l’impressione di aver imparato qualcosa di importante.
Perché mollare Non Dire Niente: se non amate mettere in gioco le vostre convizioni più granitiche.