11 Novembre 2024

Disclaimer finale – Un ultimo botto per una serie sublime di Diego Castelli

Con l’ultimo episodio, pieno di sorprese e prove da Emmy, Disclaimer trova la quadra di molti discorsi importanti

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ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE

Tanto tuonò che piove, potremmo dire recuperando vecchi adagi che trovo particolarmente adatti al mio stato psicofosico di oggi, fra sonno arretrato per viaggio negli Stati Uniti, reflusso gastroesofageo e un po’ di cervicale. Insomma sono un vecchio decrepito.

E lo recuperiamo, il vecchio adagio, per dire che Disclaimer, dopo averci stuzzicato con la forza del suo regista, del suo cast, e dell’entusiamo generato a Venezia, si è effettivamente rivelata una delle migliori “cose seriali” del 2024.
Prova ne nè, dopo settimane di alta qualità, un finale poderoso, tutto giocato sull’interpretazione clamorosa di Cate Blanchett e su un twist narrativo magari non del tutto imprevedibile, ma capace di generare grandi emozioni e riflessioni spesse così.

Ma vediamo più nel dettaglio.

Chi fra voi segue anche il nostro podcast Salta Intro, o si sciroppa i miei video su TikTok, sa che avevo già affrontato la possibilità che il racconto del romanzo A Perfect Stranger, fonte di tutti i guai per la protagonista Catherine, non fosse necessariamente attendibile.
(che poi chi aveva letto il romanzo già lo sapeva, ma vabbè)

Il finale di Disclaimer ci dice proprio questo: quel romanzo autopubblicato dalla madre di Jonathan e scritto sulla base delle foto di Catherine scattate dallo stesso Jonathan il giorno prima di morire, raccontava solo una piccola parte di verità, su cui veniva montata una fantasia materna utile a santificare un ragazzo dopo la sua precoce dipartita e a trovare la colpevole di tutto, la donna che l’aveva sedotto e poi lasciato morire per suo proprio comodo.

Quello che scopriamo nell’ultima puntata, dalla viva voce di una Catherine ormai allo stremo e per questo disposta a rivangare un doloroso passato, è che Jonathan non era affatto un santo, anzi.
Le foto provocanti sono in realtà il frutto di una violenza fisica e psicologica che Catherine, in una lunga serata di orrore, aveva accettato di subire pur di proteggere il figlio, ma che l’aveva lasciata così sconvolta da accogliere di buon grado la morte accidentale di Jonathan il giorno dopo, per poi sotterrarla in un silenzio decennale da cui Catherine sperava di ricavare una qualche forma di pace postuma.

Come accennato più sopra, già nelle scorse settimane si poteva intuire che la verità sulla morte di Jonathan non fosse stata del tutto svelata, perché quello che avevamo sentito (e visto) al riguardo fino a quel momento era effettivamente un racconto letterario scritto da una persona che non era stata reale testimone dei fatti.

Quello a cui assistiamo nell’ultimo episodio, però, è un vero e proprio ribaltamento, con Jonathan che da vittima si trasforma in carnefice generando un progressivo crollo e ricostruzione di tutta l’impalcatura di valori, premi e punizioni che avevamo montato fino a quel momento.

Ed è un episodio, giusto per dare subito una nota tecnica, che Cuaròn costruisce effettivamente come uno specchio del terzo episodio in cui il regista costruiva un racconto erotico volutamente lungo, intenso, memorabile, con al centro la figura conturbante e seduttiva della giovane Catherine (interpretata da Leila George).
Il finale è in qualche modo il contrario di quel racconto, con una violenza cruda, dolorosa, in cui l’erotismo di qualche settimana fa si rompe e si sporca con le macchie delle coercizione, al punto da farci quasi sentire in colpa per l’eccitazione provata nel terzo capitolo.
E ugualmente speculare è il racconto della Catherine adulta, che oppone le sue parole sonore a quelle scritte della defunta Lesley.

Disclaimer, dunque, diventa improvvisamente una storia di abuso e violenza sulle donne, capace di presentare con grande forza una serie di temi e situazioni di cui ci capita di discutere anche a partire dalla cronaca nera.
Catherine si tramuta infatti nell’ormai famigerata “donna che non ha denunciato”, dove l’omessa segnalazione di un abuso è spesso vista come una colpa della persona abusata, quando in realtà è il frutto di un insieme molto vasto di sensazioni e paure in cui c’è ben poca colpa da trovare, come Disclaimer ci mostra chiaramente nella storia di una donna con cui riusciamo a empatizzare perfettamente.

Allo stesso modo, anche la figura del marito di Catherine, che accoglie con malcelato sollievo la notizia dello stupro della moglie come la conferma di non essere stato volutamente cornificato, diventa simbolo di un certo maschilismo egoista e autoriferito, in cui la donna è solo uno strumento per la propria gratificazione e validazione sociale.

Se però Disclaimer fosse solo questo, anche al netto del messaggio importante, potrebbe finire con l’essere poco più di una lezioncina. In quel caso, verrebbe anzi da dire che sarebbe stato meglio scrivere un legal, piuttosto che confinare queste riflessioni al solo ultimo episodio.
In realtà, però, c’è di più.

Grazie a un finale che ci costringe a ripensare a tutto ciò che abbiamo visto fino a quel momento, Disclaimer è soprattutto un trattato sulla forza delle narrazioni, sull’importanza della verità (o della sua ricerca), e sul potere distruttivo dei traumi.

Raccontando di come un piccolo romanzo autopubblicato possa devastare la vita di una famiglia (anzi, due), Cuaròn celebra la forza delle narrazioni, delle fiction (in senso generale), capaci di partorire ricordi indelebili e sensazioni pienamente reali, ma allo stesso tempo ne evidenzia i lati oscuri, quando il potere seducente della narrazione diventa strumento per l’installazione di una menzogna.

È qui che Disclaimer, mi sembra, va ben oltre il tema della violenza di genere, per offrire un più generale discorso sulla Verità e sulle nostre capacità di distorcerla, anche in buona fede, al solo scopo di trovare conforto per le nostre idee preconcette.
È una miniserie apparentemente slegata dall’attualità, e in realtà profondamente centrata sul tema delle fake news, delle narrazioni ingannevoli che noi stessi produciamo o facciamo circolare, creando un mondo dove è sempre più difficile discernere il vero dal falso, senza che questa difficoltà aumenti la cautela delle persone (anzi).

Quando il marito di Catherine, che si è ben guardato dal dare alla moglie il beneficio del dubbio, chiede a Stephen perché non ha verificato le informazioni in suo possesso, quello gli risponde: “E perché non l’hai fatto tu?”
Che è una domanda che ognuno di noi potrebbe rivolgere a se stesso ogni volta che accetta un’informazione non verificata solo perché, come capitato a Stephen, quell’informazione ci fa stare bene, in pace, tranquilli, dalla parte giusta.

Ed è proprio a partire dal tema della verità che Disclaimer introduce quello del trauma e della colpa. Nascondere la verità (agli altri, a se stessi) è ciò che genera il trauma in tutti i personaggi.
Questo racconto non sarebbe esistito se i genitori di Jonathan avessero scelto di vedere la verità che avevano davanti agli occhi, cioè quella di un figlio violento e pericoloso. Non sarebbe esistito se Catherine avesse denunciato la violenza, per lo meno al figlio e al marito (o forse sarebbe esistito, ma sarebbe stato un altro genere di storia). Non sarebbe esistito, o sarebbe stato assai più breve, se il marito di Catherine le avesse dato il supporto che meritava. Non sarebbe esistito se Stephen avesse questionato le parole della moglie defunta, che invece aveva preso come vangelo. E via dicendo.

Tutte queste verità sono state nascoste quasi sempre per lo stesso motivo, cioè l’istintiva protezione di sé e della propria salute mentale, con il risultato opposto a quello sperato.
E se in certi casi questo problema appare più giustificato e comprensibile (il silenzio di Catherine sulla violenza è ovviamente più scusabile della sfiducia a prescindere di suo marito), la dinamica è comunque la stessa, quella del tentativo di nascondere un trauma usando delle storie che però quel trauma finiscono con l’aumentarlo.

Narrazioni fittizie che generano altre narrazioni fittizie, in un circolo vizioso di menzogna e dolore, da cui solo la verità, raccontata a cuore aperto e senza filtri, consente di uscire, offrendo a tutti una qualche possibilità di redenzione.
A partire dallo stesso Stephen che, alla fine, riesce a fermarsi prima di uccidere Nicholas, quando la consapevolezza della realtà diventa abbastanza forte da distruggere il muro di bugie eretto a difesa della propria moralità.

Il tutto con un finale comunque amaro, perché se è vero che per Catherine e Nicholas esiste la speranza di ricucire un rapporto, seppur faticoso, per Stephen la vita è quasi letteralmente finita: ormai anziano, vedovo e con la memoria di un figlio capace di commettere terribili crimini, per Stephen non c’è più tempo, se non quello di contemplare un’esistenza sostanzialmente grigia e infelice, ormai priva di ulteriori possibilità.

Tutte quelle appena scritte sono considerazioni di tipo filosofico e narrativo che, probabilmente, si sarebbero potute fare anche recensendo il romanzo.
Siccome però noi qui parliamo di serie tv, vale la pena di chiudere parlando proprio di ciò che è specifico del mezzo.

Dell’efficacissimo contrasto fra l’erotismo colpevole del racconto inventato da Lesley e la realtà brutta e cattiva rievocata da Catherine, abbiamo già detto.
Ma è tutta la messa in scena di Cuaròn a funzionare, con la grande attenzione ai dettagli, alla creazione delle atmosfere (la bellezza sognante, non a caso tutta letteraria, del mare italiano, il grigiore della vita dei genitori di Jonathan, ecc), la capacità di costruire una tensione costante che si estenda sia al futuro (chissà cosa succederà) sia al passato (chissà cosa è realmente successo).

Il lavori degli (e sugli) attori, è impressionante. Il passaggio dell’ultimo episodio da “spiegone” a “capolavoro” è almeno per metà sulle spalle di Cate Blanchett, che fa raccontare a Catherine la sua terribile esperienza in un mare di piccoli movimenti, scatti, cedimenti e ricomposizioni.
Ma naturalmente dobbiamo citare anche Kevin Kline (e chi l’ha vestito), con il maglioncino della moglie indossato come l’armatura di un villain da fumetto mette in scena una totale perfidia, costantamente bilanciata dalla sua dimessa fragilità, lui più di altri simbolo di un sistema di personaggi in cui nessuno è completamente innocente o completamente colpevole, ognuno segnato da traumi che portano a scelte sbagliate, a loro volta generatrici di altri traumi e via così, a ciclo continuo.

Insomma, sette episodi di livello altissimo, da qualunque punto di vista li si guardi, a cui fatico davvero a trovare dei difetti.

Anzi, guardate, non la faccio neanche la fatica. Disclaimer è una serie da consigliare senza se e senza ma, bellissima e dolorosa, calibrata al millimetro e sempre consapevolezza della sua forza e delle sue intenzioni.
Un’ennesima tacca sulla cintura di una Apple Tv+ che, ormai da tempo, è probabilmente la miglior piattaforma seriale in circolazione.

Con buona pace di me che normalmente ce l’ho su con la Mela, però oh, quel che è giusto è giusto.



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