Rivals su Disney+ – Una strana accozzaglia di erotomani di Diego Castelli
Rivals è una serie che avrebbe numerose frecce al suo arco, largamente sprecate a seguito di decisioni quanto meno discutibili
Non mi capita spesso di avere a che fare con casi come quello di Rivals, nuova serie british di Disney+, creata da Dominic Treadwell-Collins e Laura Wade a partire dall’omonimo romanzo di Jilly Cooper, datato 1988.
Non mi capita spesso, cioè, di trovarmi di fronte un prodotto che parte da un’idea, un’ambientazione e un cast piuttosto precisi (con facce ben note anche qui, tipo il bravissimo e amatissimo David Tennant), con un’ambizione di racconto godibile e facilmente approcciabile, ma anche con un suo spessore, e che poi si perde via per alcuni specifici problemi, di cui uno molto molto evidente e francamente bizzarro: i personaggi sono praticamente tutti dei sessuomani.
Andiamo con ordine.
Siamo nel 1986, nell’immaginaria contea di Rutshire. In quel momento, il mondo della tv inglese affronta questioni non così diverse da ciò che accadeva in Italia negli stessi anni: la tv pubblica, la mitica BBC in questo caso, comincia a subire la concorrenza delle neonate tv private, che cercano nuovi modi di divertire il pubblico e fare soldi, lottando per l’assegnazione delle concessioni, cioè degli spazi di banda per poter trasmettere, a scapito di altri soggetti privati concorrenti.
Lord Tony Baddingham (Tennant) è un imprenditore ambizioso e spietato, che vuole il successo per la sua rete Corinium, e che per questo decide di ingaggiare Declan O’Hara (Aidan Turner), giornalista integerrimo e abile conduttore, che nella tv pubblica si sente costretto dentro troppi cavilli burocratici e politici.
A opporsi ai due, in una rivalità quanto mai fluida e continuamente cangiante, c’è Rupert Campbell-Black (Alex Hassell), ex fantino olimpionico diventano incallito dongiovanni, star del jet set inglese, e a un certo punto pure ministro dello sport.
Fra i tre, come detto, nasce una rivalità professionale ma anche personale, fra “maschi alfa” potremmo dire, ma i “rivali” del titolo non sono solo loro: i tre sono infatti circondati da colleghi/e, mogli, figli, amici, ognuno impegnato nella ricerca del proprio posto al sole, di una propria carriera e soddisfazione umana e professionale, che finisce spesso col cozzare con quella degli altri.
E fin qui tutto bene. Rivals costruisce una piattaforma iniziale di personaggi e situazioni, descrive gli obiettivi e le poste in gioco, e poi dà il via a una specie di Game of Thrones nel mondo della tv, in cui segreti, bugie, tradimenti, sotterfugi e strategie sono all’ordine del giorno.
In questo, tecnicamente, la serie funziona, per lo meno per due terzi. Gioca su una scansione piuttosto rapida degli eventi e sulla tensione che nasce fra ciò che gli spettatori già conoscono e ciò che i personaggi invece ignorano, in una continua attesa, per chi guarda, del momento in cui l’ennesimo bubbone scoppierà, generando risentimento, litigi e ripicche.
Insomma, un discreto polpettone soapposo, a voler essere cinici, ma un polpettone che potrebbe avere il suo gusto popolare e godibile, a patto di non pretendere la ricchezza e pulizia dei dialoghi di un Aaron Sorkin o l’attenzione per il dettaglio di una Succession.
Qui però arriva il problema, che si presenta fin da subito anche se inizialmente non se ne percepisce davvero la portata.
In Rivals non fanno altro che scopare. No sul serio, praticamente ogni personaggio, uomo o donna non fa differenza, esibisce una fatica bestiale a tenere i pantaloni allacciati, e ogni location della storia diventa facile palcoscenico per l’amplesso di turno.
Si percepisce abbastanza chiaramente il tentativo di rendere Rivals una serie piccantella e pruriginosa, forse addirittura una storia che (magari sono troppo ottimista) cerchi di mostrarci il contrasto fra un’imprenditoria di alto valore storico e strategico, e le passioni animalesche dei suoi protagonisti, in una specie di visione rigorosamente de-romanticizzata di una certa alta borghesia inglese.
E però da qualche parte deve esistere un confine, prima del quale una serie è, per l’appunto, frizzante e provocatoria, e oltre il quale una serie diventa niente più che un covo di conigli costantemente arrapati.
La mia impressione è che Rivals superi abbastanza di netto quel confine, e il risultato non è solo una certa stucchevolezza della componente sessuale, ma anche un discreto svilimento della psicologia dei personaggi, come se non si potesse mai fare un discorso serio senza che a un certo punto scatti uno sguardo languido che pare quasi obbligatorio, a prescindere da quello che i protagonisti della scena stanno provando, sperando, temendo.
In questo modo si fa fatica a provare un vero trasporto per le motivazioni dei personaggi, perché si ha l’impressione che niente, in effetti, gli interessi più di pucciare il biscotto (o riceverlo, a seconda), solitamente come forma di possesso, di validazione personale, o di semplice lussuria. Solo che la sessuomania, tranne qualche prodottino dozzinale per persone anziane annoiate o adolescenti in vena di scoperte, difficilmente può essere la base per una storia realmente piena, corposa, stratificata.
A questo elemento, poi, se ne aggiunge un altro, e la grande verità è che mi sono impegnato ad arrivare alla fine dell’ottavo e ultimo episodio proprio per vedere come sarebbe stato trattato, dopo essere stato introdotto con troppa leggerezza.
Qui forse devo fare un piccolo spoiler, ma mi sembra necessario per l’analisi.
Per dirla nel modo più semplice possibile, a un certo punto c’è un tizio che molesta e umilia in pubblico una ragazza (non pensate a uno stupro, ma comunque qualcosa capace di mettere in forte disagio una donna ancora molto giovane), e questa poi si innamora di lui.
Ho aspettato episodi su episodi per vedere se questo tema avrebbe avuto uno sviluppo in qualche modo consapevole, ma no: lei subisce la molestia, ma poi non riesce a resistere al fascino di lui, con la serie che, nel descrivere quel fascino, di fatto condona la sua condotta perché in fondo che problema c’è, in sta serie son tutti così.
Ora, non è mia intenzione fare il bigotto o sostenere che una serie tv dovrebbe sempre e comunque trasmettere un messaggio edificante e insegnare regole di condotta.
Però siamo anche nel 2024, ci siamo fatti certi discorsi, abbiamo acquisito certe consapevolezze. Una storia del genere, trattata in questo modo, se anche non volessi reagire con piglio moralmente indignato, per lo meno mi sembrerebbe una scelta piuttosto vecchia, di basso livello.
Né riesco a leggerla come il tentativo di mostrarci con grottesca verosimiglianza un periodo storico particolarmente privo di freni.
Insomma, capite il mio dilemma? Guardo una serie di buoni mezzi, con un bel cast, su un periodo storico potenzialmente interessante e condita da gustose tensioni fra i personaggi, e poi sono tutti malati di sesso, la ragazze si innamorano di chi le tratta malissimo (senza che la serie riesca a costruire alcun discorso su questo fatto), e qualunque tentativo di costruire un’epica, che sia professionale o romantica, finisce con l’inciampare in mezzo agli ormoni.
Magari, proprio per questo, potremmo effettivamente considerarla la serie più realistica del mondo. Tuttavia, se anche fosse, non mi sembra un obiettivo ricercato e consapevolmente perseguito dagli autori, quanto un effetto accessorio di una storia di cui hanno perso la bussola piuttosto presto.
Perché seguire Rivals: se cercate una serie di alti mezzi produttivi ma anche di pochissimo impegno.
Perché mollare Rivals: di fronte al suo disordine, eccessi stucchevoli e dubbia moralità, è difficile non considerarla un’occasione sprecata.