17 Ottobre 2024

Hanno Ucciso l’Uomo Ragno – Questa invece ci piace di Diego Castelli

La serie di Sky sulla nascita degli 883 riesce nel compito di essere piacevolmente nostalgica, ma non per questo troppo vecchia

Pilot

Sono passati solo pochi giorni da quando ci toccava parlare male di una serie italiana di grandi mezzi come Citadel: Diana, che subito dobbiamo fare i conti con un altro prodotto tricolore di tutt’altro tenore, budget probabilmente molto più risicato, trailer discutibili, e un generico timore di puzzonata zuccherosa.

Solo che stavolta, non senza un pochino di sorpresa, il risultato è molto diverso. In parte perché Hanno Ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883, nuova serie di Sky che racconta la nascita degli 883, riesce molto meglio in cose in cui Citadel falliva (tipo la scrittura), ma anche perché, paradossalmente, possiamo trovare dei difetti comuni, ma che al cambio radicale del contesto e delle intenzioni, smettono di essere peccati mortali e diventano passabili ingenuità.

Hanno ucciso l’Uomo Ragno è creata, scritta e diretta da Sydney Sibilia (insieme a Francesco Agostini, Chiara Laudani, Giorgio Nerone), che non è l’ultimo arrivato, anzi.
Il regista Salernitano, firma della trilogia di Smetto quando voglio e di L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, non sarà magari considerato un nuovo Tornatore, ma ha già dato ampiamente prova di essere uno che ha a cuore il divertimento del suo pubblico, il cinema fatto per aiutare a star bene, il tipo di autore che prova ad avere uno sguardo personale senza trincerarsi sui monti dell’ermetismo.

Per lui l’operazione sugli 883 era probabilmente un progetto perfetto. Da una parte c’era una coppia, Max Pezzali e Mauro Repetto, a cui quasi nessuno vuole veramente male (puoi non amare la loro musica, ma son troppo patatoni e sfigatoni per non volergli bene come esseri umani), e i cui esordi sono collocati in un periodo storico, a cavallo fra Ottanta e Novanta, che è il principale bacino cine-seriale della nostalgia audiovisiva di questi anni.
Dall’altra parte, la necessità di non basare tutto su quella nostalgia, per evitare l’agiografia eccessivamente zuccherosa, trovando una vera chiave per raccontare l’improvviso successo di quei due sbarbati, trovando la strada per costruire un racconto che fosse divertente di per sé.

Ebbene, fra alti e bassi Sibilia ci riesce.

Siamo nella Pavia degli anni Ottanta. Max Pezzali (Elia Nuzzolo) è uno studente di liceo appena bocciato, che si è da poco appassionato alla musica punk, che sogna un improbabile successo con le ragazze, e che ha in testa delle melodie tutte sue, anche se non ha studiato davvero musica. Mauro (Matteo Oscar Giuggioli), che conosciamo solo alla fine del primo dei due episodi visti per questa recensione, è il nuovo compagno di banco di Max. Anche lui ha velleità artistiche musicali e vorrebbe fare il deejay, anche se il suo talento, noi già lo sappiamo, sarà inferiore a quello di Pezzali. Dal canto suo, però, ha una voglia, un entusiasmo, una capacità di adattamento alle situazioni più disparate, che per il timido e timoroso Max diventeranno la molla per scattare in avanti, per farsi vedere, per tentare davvero di raggiungere un successo che, forse, il povero Pezzali credeva irrangiungibile a prescindere.

Questa la base della storia e delle sue dinamiche, raccontate in due episodi in cui ancora non sentiamo alcuna canzone effettivamente scritta dai due (sigla a parte), ma in cui comprendiamo appieno il loro mondo, le loro origini, i loro desideri e aspirazioni, che poi saranno il nucleo fondante della poetica degli 883:: quel misto di sfigaggine assoluta e grandi sogni, cazzeggio provinciale e improvvise fiammate di entusiasmo, che tanti ragazzi di tante generazioni diverse hanno sentito e sentono come parte integrante della loro vita quotidiana.

Alla base delle scelte di messa in scena c’è una decisione forse banale, ma non per questo meno necessaria: Hanno Ucciso l’Uomo Ragno non poteva che essere una commedia dai toni dolci e sognanti.
Non c’è nulla di realmente drammatico, sordido o turpe nella storia degli 883, nemmeno nel loro scioglimento pochi anni dopo il raggiungimento del successo, e quindi non aveva senso prevedere un approccio che non fosse almeno in parte scanzonato e compagnone.

È qui che Hanno Ucciso l’Uomo Ragno funziona, perché è in effetti una bella commedia. Non parliamo di una scrittura comica particolarmente autoriale, non è Woody Allen, però Sibilia è consapevole che questi personaggi (non solo quelli della serie, ma proprio nella vita) hanno già cantato i loro punti di forza, e su quelli bisogna calcare la mano.

Quello della sfigaggine di Pezzali, dunque, non può che essere un racconto comico in cui il nostro ha proprio i problemi classici dell’adolescenza, filtrati però da un velo buffo che ci fa ridere e identificare, e che trasforma Max in “uno di noi”.
Quando arriva Repetto, poi, la relazione fra i due scivola perfino in qualcosa di simile al teatro dell’assurdo, a volte pure un po’ troppo, ma senza mai perdere una certa freschezza genuina di due ragazzi che provano a sfondare partendo da un’umiltà deliziosamente ridicola.

Si creano delle situazioni un po’ paradossali, dal punto di vista spettatoriale, per cui alcune scene comiche appaiono fin troppo tradizionali, telefonate, prevedibili, ma in cui ridi lo stesso. O almeno così ho fatto io.
Quando Max (piccolo spoiler) si trova ad essere moooolto interessato a una bellissima ragazza del suo nuovo liceo, scoprendo che lei andrà in vacanza a Palinuro, se ne esce con un onestissimo, sentitissimo e provincialissimo “Ma dove cazzo è Palinuro? E perché cazzo la gente ci va??” che mi ha fatto sganasciare non perché sia chissà quale battuta (anzi, praticamente non è una battuta di spirito), ma perché fa esplodere una frustrazione tutta adolescenziale che a quel punto della storia stiamo già percependo benissimo.

Stesso paradosso per quanto riguarda i due attori principali. Se mi chiedete se sono effettivamente “bravi”, potrei avere qualche riserva. Nuzzolo ci prova probabilmente un po’ troppo a strascinare la vera parlata di Pezzali, e Giuggioli dà vita a un Repetto così sopra le righe, da risultare inevitabilmente finto in qualche frangente.
E però poi è pure innegabile la chimica fra i due, come evidente è la capacità di Nuzzolo di Sheldoncooperzizzarsi (a Jim Parsons ci assomiglia pure) per restituire tutta la carica nerd e disagiata del suo personaggio.
Insomma, è evidente che nessuno dei due è Marlon Brando, però funzionano esattamente per quello che devono fare.

Non è per insistere indebitamente sul fastidio per Citadel, ma a distanza di una sola settimana fra i due prodotti è facile vedere dove l’italianità è un pregio e dove no. In Citadel proviamo a fare gli ammmeregani senza riuscirci, auto-pompandoci a manetta e perdendoci in tante forzature e retoriche inutili. In Hanno Ucciso l’Uomo Ragno raccontiamo una storia italiana che per certi versi è proprio italiana, e di cui non ci si vergogna mai, perché si percepisce il desiderio di raccontare qualcosa di “nostro” che al di là della sua verità storica (non so quanto sia aderente alla realtà dei fatti e mi interessa pure poco), si porta dietro una verità dei sentimenti, della nostalgia, dell’adolescenza.

E quindi se ci sono ingenuità, attori non tutti all’altezza, mezzi non particolarmente spettacolari e quant’altro, ce ne freghiamo perché quello che conta è una sincerità che per forza di cose è stata costruita a tavolino, ma che poi, quando, arriva sullo schermo, funziona nella maniera più semplice possibile.

In ultimo, vale la pena di sottolineare anche un’idea narrativa e di messa in scena un po’ più ampia, con cui Sibilia ha deciso di inquadrare la vicenda.
Quella di Hanno Ucciso l’Uomo Ragno è anche una storia di grandi coincidenze, di piccoli dettagli tutti concatenati nel modo giusto affinché Max Pezzali potesse avere l’idea di scrivere una canzone, per poi incontrare Repetto, per poi trovare i mezzi per incidere un brano, ecc ecc.

L’impostazione è molto esplicita, con la voce fuori campo del protagonista che sottolinea proprio l’incredibile catena di eventi che portano alla formazione della band e al suo successo.
Non so quando questa chiave narrativa rimarrà costante nel resto della serie, ma per l’inizio è perfetta, per almeno due motivi.
Il primo è la sua semplice efficacia narrativa, con l’annuncio di coincidenze clamorose che solo più avanti verrano svelate, tenendo chi guarda col fiato sospeso. Il secondo è la sua capacità di eliminare alla radice qualunque rischio di piatta beatificazione del genio.

Se è lo stesso protagonista della storia, dal minuto uno, a dirti che buona parte del suo successo viene anche da numerose botte di culo (anche se magari non erano così evidenti mentre accadevano), inevitabilmente gli vorrai più bene, ti sentirai più vicino a lui, come se la vera differenza fra voi fosse il caso, e non il talento.
Il fatto che poi Pezzali il talento ce l’avesse eccome, è una cosa che non ci viene imposta dalla serie, ma che scopriamo inevitabilmente da soli.

Insomma, un bell’esordio. Fresco, divertente, puccioso nel senso più positivo del termine. E anche furbo, naturalmente, ma di una furbizia esplicita, di chi dichiara senza problemi che sta per toccare emozioni antiche di tanta parte del suo pubblico, che in fondo è venuto lì proprio per quel motivo.

E la cosa bella è che la storia effettiva degli 883, del loro successo, dei personaggi che hanno incontrato, dei problemi che hanno avuto, è in buona parte ancora da raccontare.
Se Sibilia dimostrerà di non perdere il focus sulle cose davvero importanti, potrebbe venirne fuori un prodottino davvero adorabile.

Perché seguire Hanno Ucciso l’Uomo Ragno: perché all’inevitabile nostalgia per quelle canzoni e quegli anni unisce un’idea di racconto chiara, semplice ed efficacie.
Perché mollare Hanno Ucciso l’Uomo Ragno: beh, se non vi frega niente degli 883, o se addirittura non vi son mai piaciuti, non è una buona base.



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