The Penguin – Un signor pilot! di Diego Castelli
Lo spin-off seriale di The Batman riprende la sorprendente trasformazione di Colin Farrell e le dà spessore e carisma
Quando nel 2022 uscì The Batman, il film di Matt Reeves sul Cavaliere Oscuro, non mi iscrissi nel club dei fan più entusiasti.
Lo trovai un film visivamente eccellente, con molte buone intuizioni, ma anche con alcuni pesanti scivoloni di scrittura, e qualche scena per me fuori tempo massimo (come quando Batman cammina tranquillo in mezzo a decine di poliziotti che dannazione come è possibile che nessuno riconosca Bruce Wayne).
Più o meno unanime, però, fu l’apprezzamento per Colin Farrell, che nel film interpretava un Pinguino molto realistico eppure assai riconoscibile, costruito con una quintalata di trucco sotto la quale Farrell semplicemente spariva.
Di nuovo, però, un dubbio: ok che quel personaggio era riuscito bene, ma siamo sicuri che vogliamo dargli una serie tutta sua, una serie che quindi è “una serie nel mondo di Batman”, in cui Batman non si vede? Non è che poi ci sembra monca?
Ecco, è successo tante volte che operazioni simili sembrassero monche, ma dopo aver visto il pilot di The Penguin possiamo tirare un sospiro di sollievo: stavolta è andata di lusso.
Il Pinguino, si sa, è uno dei nemici più iconici di Batman. Un personaggio che, fra fumetto e fumetto e fra fumetto e audiovisivo, può assumere contorni e sfumature diverse (fra il Pinguino di Colin Farrell e quello di Danny De Vito nel film di Tim Burton ci sono molto differenze), ma che si porta dietro alcune caratteristiche “fondative”.
Il Pinguino è un boss della mala di Gotham, astuto e spietato, ma anche segnato da alcune specifiche fragilità, che gli derivano da deformità fisiche che segnano profondamente il suo rapporto con gli altri, il rancore che prova verso un mondo e un destino che ha sempre ritenuto ostile, il desiderio di vendetta verso tutto e verso tutti.
Tradire questi elementi garantisce libertà di manovra. Conservarli significa rispettare una tradizione forte, ma anche accettare qualche limitazione.
The Penguin, uscita su HBO e disponibile in Italia su Sky e NOW, sceglie di fatto la seconda strada, ma riuscendo comunque a trovare risorse personalissime.
Tutto il primo episodio di The Penguin (creata da Lauren LeFranc, che ha un passato fatto di Chuck e Agents od S.H.I.E.L.D.) ha la pressoché unica funzione di costruire “per davvero” un personaggio che nel film di Reeves metteva in campo un forte impatto visivo e un nome di peso, ma che non aveva il tempo di essere modellato e rifinito completamente.
Con la serie di HBO facciamo la conoscenza di un boss ancora piccolo, che di fatto lavora per la potente famiglia Falcone (che ha appena perso il suo capo, Carmine), ma che cova desideri di grandezza.
Oswald, che in questa serie tutti chiamano Oz, è un uomo che pare tendente alla sottomissione e al sotterfugio, che trama nell’ombra per mordere la mano che lo sfama, che ostenta un atteggiamento apparentemente servizievole, dietro il quale si nasconde la possibilità di una violenza spietata che può comparire dal nulla, specie quando viene punto sul vivo delle sue maggiori fragilità psicologiche.
Non solo però: nella sua ricerca di grandezza è anche capace di prendersi un ragazzo sbandato come assistente per diventare suo mentore (un uomo che vuole essere rispettato e temuto è anche uno che gode nel venire apprezzato e guardato dal basso verso l’alto), e di mostrare un rapporto molto amorevole con la madre, da cui cerca carezze e approvazione.
Da questo punto di vista, il pilot di The Penguin, che pure dura un’ora piena, non spreca nemmeno un fotogramma. Ogni singola scena, ma oso dire ogni singola inquadratura, serve. Tutto è scritto e orchestrato per darci tutte le sfumature più importanti del personaggio, per conferirgli rotondità e spessore, e anche per costruire un sistema di personaggi che, ruotandogli intorno, gli offrano opportunità e soprattutto sfide, a partire da Sofia Falcone, figlia del defunto Carmine e interpretata da Cristin Milioti (la Mamma di How I Met Your Mother).
Ogni parola, ogni sguardo, ogni svolta narrativa modella un sistema criminale pieno di tensioni, in cui il Pinguino si muove con scaltrezza ma anche rischiando molto, restituendo perfettamente l’idea di un personaggio che ha una doppia anima: da una parte è debole e sfigato, e dall’altra è feroce e pericolosissimo. Con in più una vaga aggiunta di bonarietà commediosa, che potrebbe sembrare posticcia e invece, come accennato poco sopra, risulta comunque coerente con la psicologia di Oz.
Non era semplice tenere insieme tutte queste sfumature, che sono sì “classiche” per il personaggio, ma che andavano aggiornate a una contemporaneità e un dichiarato realismo in cui le cose non possono essere troppo spiegate, ma devono emergere in maniera naturale da come il personaggio si muove e agisce.
E se la sceneggiatura non sbaglia un colpo, l’impianto visivo e recitativo non è certo da meno.
Craig Zobel, già regista di Mare of Easttown, mette in scena una Gotham in cui sembra notte anche quando è giorno, in cui le tenebre di alternano alla pioggia, e in cui l’unico momento di quiete, un’alba delittuosa in cui il protagonista deve nascondere i suoi crimini, diventa comunque motivo, per il Pinguino, di sosta e contemplazione (proprio perché evidentemente non accade spesso di avere quel tipo di paesaggio a Gotham City).
L’obiettivo, per una serie che non avrà al suo interno dei supereroi, è chiaramente quello di staccarsi dagli elementi più didascalici del fumetto, per restituire un’immagine di metropoli vera, concreta, pericolosa, in cui le deviazioni effettivamente fumettistiche (come la macchina viola del pinguino) vengono assorbite e riconosciute dalla sceneggiature, che le trasforma in un elemento di narrazione coerente e mai “buttato lì”.
In ultimo, ma non per importanza, Colin Farrell è realmente straordinario. Del suo trucco ci eravamo già stupiti in The Batman, e ora ci possiamo concentrare sulla sua bravura. Il nostro mette in scena un Pinguino perfetto, in cui il soprannome si giustifica con una camminata claudicante e tutto il resto è un magistrale alternarsi di sottomissione, violenza, ferocia, ambizione, e in alcuni casi perfino tenerezza.
Quale che sia la sfumatura che ogni particolare scena richiede, Farrell la rende credibile e coerente con tutto quello che c’è stato prima e tutto quello che viene dopo, riuscendo a conferire al Pinguino anime diverse, ma nessuna in conflitto con le altre.
Insomma, un grande esordio. Grande non perché faccia cose “incredibili”, o particolarmente sorprendenti. Tutto sommato, quello che ci aspettavamo da The Penguin, in termini di intenzioni, era esattamente questo.
Ma la qualità di ogni singola componente, la capacità di creare questa Gotham City così vera e insieme così simbolica, arcaica, un inferno criminale in cui solo un freak come Batman può sperare di mettere qualche pezza, è indice di grandissimo lavoro dietro le quinte e di una visione precisissima.
Il pilot di The Penguin serve soprattutto a costruire un personaggio, ma lo fa così bene, da darci l’impressione di avere di fronte una persona verissima (risultato particolarmente rilevante se parliamo di un cattivo da fumetto), che ora speriamo possa essere protagonista di una storia complessiva che renda onore a questo lavoro preparatorio così certosino.
Ma se le premesse sono queste, possiamo certamente sperare.
Perché seguire The Penguin: si temeva lo spin-off superfluo e posticcio, e invece questa è una serie con una sua anima pienissima.
Perché mollare The Penguin: se proprio non potete accettare di vedere un Pinguino senza un Pipistrello.