26 Giugno 2024

Dark Matter – Alla fine si è riscattata di Diego Castelli

Dark Matter era partita con il freno a mano tirato, e non ci dava l’impressione di avere molto da dare. Poi però, c’è stata un’accelerata.

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A volte fa davvero piacere essere smentiti. Specie quando guardi una serie tv a cui non davi due lire, salvo poi renderti conto che forse sto soldino lo puoi smollare, perché la prima impressione sarà pure quella che conta, ma non sempre è quella più attendibile.

Era il 10 maggio, due mesi e mezzo fa, quando parlavamo dei primi due episodi di Dark Matter, serie fantascientifica creata da Blake Crouch, che è pure l’autore del romanzo da cui è tratta.
E non ne parlavamo benissimo. Neanche malissimo, a dire la verità, ma non trovavamo grandi appigli di vero interesse per un prodotto che pareva fin troppo medio e che arrivava a pochi giorni di distanza dalla fine di Constellation, altra serie di Apple Tv+ e altra storia incentrata sul multiverso, che aveva i suoi bei problemi (l’hanno pure cancellata) ma era sembrata un po’ più coraggiosa, per lo meno in termini di messa in scena.

Ebbene, da allora sono passate diverse settimane, per un totale di nove episodi, e mi sento di dire che Dark Matter si è riscattata. Magari non ha fatto un percorso alla Fringe o alla Parks & Recreation, che dopo i primi episodi zoppicanti sono diventati mezzi capolavori. Ma di sicuro Dark Matter ha fatto vedere che oltre quel primo strato un po’ insipido, c’era ad attenderci qualcosa di più gustoso.

Non credo sia il caso di fare grandi recap, tanto se siete qui è perché avete seguito la serie, ma cercherò comunque di evitare spoilerissimi sugli eventi finali, a parte una sezione ben segnalata.

Se ricordate, all’interno di una storia fatta di dimensioni parallele e di un protagonista padre di famiglia che veniva rapito da un altro sé stesso, desideroso di sostituirsi a lui per riparare all’errore di non aver scelto l’amore quando poteva, avevamo trovato diversi elementi di debolezza.

C’era la faccia sempre identica di Joel Edgerton (spoiler: questo problema è rimasto pari pari); c’era una fantascienza che pareva molto sacrificata, quasi un mero strumento per introdurre un drama familiare incentrato sul peso delle responsabilità e del libero arbitrio; c’era la sensazione che quegli stessi temi fossero trattati in modo abbastanza superficiale, con il protagonista “buono” che è buono soprattutto perché ha scelto la famiglia e l’amore al posto della fredda carriera; e c’erano pure delle singole scelte discutibili sia in termini di eccessiva semplificazione (quel sonoro “clic” a indicare i salti da un universo all’altro), sia dal punto di vista della promozione stessa della serie, con quei trailer molto spoilerosi sul primo e più importante twist del pilot.

Insomma, c’erano un po’ di pregi, ma anche un tot di difetti, che più che rovinare specificamente quelle due ore, lasciavano pensare che le successive non avrebbero avuto molto da aggiungere. Ed è proprio qui che Dark Matter è riuscita invece a trovare una sua strada e una sua ricchezza, approfondendo meglio le sue tematiche, dando un respiro inaspettato alla sua narrazione, ma soprattutto trovando modi migliori per stupire e affascinare, cosa che all’inizio proprio non gli riusciva (anche per quella faccenda del twist spoilerato).

Per quanto mi riguarda, visto che avevo vissuto piuttosto male quella mancanza, a crescere è stata proprio la fantascienza. Pur rimanendo molto accessibile, senza quindi diventare una fantascienza particolarmente “hard”, quando Jason inizia il suo viaggio per tornare a casa Dark Matter riesce effettivamente a cominciare un percorso di descrizione e ampliamento del multiverso, che diventa sempre più interessante col passare degli episodi.

La descrizione più puntuale della macchina-scatola che serve a cambiare dimensione, con quell’immagine del corridoio infinito pieno di porte; l’esplorazione dei molti mondi possibili, ognuno con le sue opportunità e i suoi rischi; l’ulteriore esplosione delle possibilità quando ci si rende conto (e non dettaglio troppo questo elemento, per ora) che la creazione di nuovi multiversi in base alle scelte dei personaggi non si esaurisce nemmeno quando il protagonista effettivamente comincia a viaggiare per il multiverso.
Sono tutti elementi che aumentano il tasso di avventura di Dark Matter e la possibilità per i suoi protagonisti di muoversi davvero e vivere veri rischi. Soprattutto, sono costanti occasioni di scoperta per gli spettatori, che invece di essere confinati in un continuo rimpallo fra due universi separati da un clic, hanno modo di chiedersi continuamente cosa accadrà il minuto successivo, senza mai averne troppa certezza.

Intendiamoci: in buona parte sono concetti e dinamiche che abbiamo già visto altrove, sia al cinema che in tv, e la stessa Fringe o Counterpart, che qualcuno aveva anche citato nei commenti della recensione precedente, erano riuscite a mettere sul campo una personalità maggiore rispetto a Dark Matter.

E però, ancora una volta, l’improvvisa ricchezza di spunti della serie di Apple Tv+ finisce col riverberarsi anche sugli altri elementi della storia, quelli più umani e meno fantascientifici. Così, quello che sembrava solo uno scontro fra un povero stolto che ha scelto la carriera e un buonone che invece predilige la famiglia, diventa invece un discorso più ampio non solo, o non tanto, sul tema delle scelte, dei rimpianti e dei rimorsi, ma anche su quello dell’ambizione.

I personaggi di Dark Matter sono chiamati non solo a esprimere desideri e fare scelte binarie sperando di azzeccare quella giusta, ma vengono invece invitati a decidere cosa vogliono sacrificare. Il Jason cattivo, a conti fatti, non è tale perché ha fatto la scelta sbagliata: è tale perché pretende di non scegliere, ergendosi a semi-divinità per sconfiggere il concetto stesso del Multiverso, che si genera dalle scelte alternative degli esseri umani.
Questo genere di ambizione, affiancato dal suo opposto, ovvero la (difficile, difficilissima) capacità di lasciare andare qualcosa, di non rimanere per forza aggrappati a tutto, eleva improvvisamente la serie a un gradino superiore della sua ricerca filosofica, per lo meno rispetto a quelle che erano le premesse.

E si noti che, proprio come il racconto dell’esplorazione del multiverso, anche l’ingresso in quel diverso territorio di riflessione riceve approfondimenti e sfaccettature ulteriori. Penso per esempio al momento in cui il “nostro” Jason, in compagnia di Amanda, trova la vecchia collega di lei, la prima a entrare nella scatola e mai più tornata.

La donna è ancora lì, in una versione solitaria e oscura del laboratorio da cui verrebbe spontaneo cercare di fuggire, perché in realtà ha già esplorato universi ancora più spaventosi, e ora non ha la forza per riprovare di nuovo, sapendo che potrebbe migliorare la sua situazione, ma anche peggiorarla.
Insomma, un altro personaggio che non vuole scegliere, come il Jason cattivo, ma per un motivo completamente diverso: la paura che paralizza invece dell’ambizione che acceca.

E Dark Matter lavora così su un po’ tutti i protagonisti, perfino quelli che non si mettono a viaggiare nel multiverso, come la Daniela da cui il nostro Jason cerca costantemente di ritornare.
Il mosaico di scelte, compiute o abortite, che la serie ci racconta, diventa un modo per indagare le motivazioni che ci muovono o ci rallentano in quanto esseri umani, e la costante sfida fra istinto e ragione che ci porta a prendere una direzione piuttosto che un’altra, senza mai sapere, se non nella finzione seriale, cosa sarebbe successo se avessimo imboccato un percorso diverso.

Il finale, pur non essendo cinematograficamente eccezionale, riesce ulteriormente ad alzare il tiro, ma per spiegare perché, serve spoilerare.

[INIZIO SPOILER SUL FINALE]

Già negli episodi immediatamente precedenti all’ultimo, Dark Matter aveva aggiunto un altro livello alla sua fantascienza del multiverso infinito, spiegandoci come anche il Jason “buono”, quello che era stato rapito e derubato della sua vita, abbia continuato a produrre altre versioni di sé, semplicemente muovendosi fra gli universi, in una catena infinita di generazione di ulteriori mondi.

Il vertiginoso risultato è la creazione di molti Jason “buoni”, tutti derubati della loro vita, che cercavano di tornare a casa quando anche tutti gli altri facevano la stessa cosa.
In questo modo, il finale sovverte una regola non scritta della scrittura cinematografica hollywoodiana, quella che vorrebbe lo scontro finale fra il buono e il cattivo. Il cattivo iniziale, in questo caso, perde importanza, perché lo scontro finale è fra il buono che noi abbiamo seguito fino a questo momento, e tutti gli altri buoni che sono stati creati nel frattempo.

Dal punto di vista narrativo e spettacolare, otteniamo molti Jason che si muovono contemporaneamente sullo schermo, ma è dal punto di vista tematico che abbiamo il vero scatto in avanti: ognuno di questi Jason ci sembra più buono o più cattivo sulla base di scelte e azioni, a loro volta nate come risposta a uno stress poderoso, che sono conseguenti all’iniziale divisione fra buono e cattivo. I Jason con cui il “nostro” si scontra, sono effettivamente tutti buoni, tutti meritevoli di rivincita.
La serie, quindi, supera la sua iniziale dicotomia, mostrandoci non solo l’importanza delle scelte, ma anche la capacità del contesto di influenzarle e dirigerle, costruendo molti Jason diversi che nascono da variazioni anche minime, ma capaci di cambiare la mente di un uomo e ciò che è disposto a fare per ottenere ciò che vuole.

Le ultime scene si concedono comunque un po’ di zucchero, con un lieto fine a cui partecipano tutti i Jason che, effettivamente, capiscono di dover ascoltare non solo il loro cuore, ma anche quello di Daniela e Charlie, che hanno fatto la loro scelta.
Ma è proprio lì, in compagnia di tutti quei Jason molto diversi fra loro, che capiamo quanto la nostra singola esistenza, bella o brutta che sia, sia estremamente fragile, frutto di mille influenze diverse, in cui la nostra volontà conta quanto la fortuna e il caso.

E decidete voi quanto questa consapevolezza sia un sollievo oppure una condanna.

[FINE SPOILER SUL FINALE]

Dark Matter non è stata un “capolavoro”. Gli episodi successivi al doppio pilot non sono riusciti a riscattarne completamente i problemi, o forse dovremmo dire le mancanze. Non è una serie ardita come Severance (giusto per rimanere su Apple Tv+), né ha il carisma visivo e attoriale di una serie come Fringe (che sempre di multiverso parlava, ed era il 2008).

Allo stesso tempo, alcune di quelle mancanze sono state colmate, e a posteriori potremmo invece criticare i primi due episodi per non essere riusciti a suggerire una ricchezza di spunti, di riflessioni, di semplice avventura, che poi la serie è effettivamente riuscita a tirar fuori dal cilindro.
La domanda iniziale che mi ero fatto due mesi fa, a proposito del confronto fra Dark Matter e Constellation, per quanto mi riguarda è stata totalmente risolta in favore di Dark Matter, che molto semplicemente sapeva cosa voleva raccontare e come, e ci ha messo semplicemente un po’ a ingranare.

A conti fatti, una serie che ho seguito con curiosità fino alla fine, e che in almeno due o tre momenti mi ha dato la sensazione di aprirmi il cervello allo stupore e alla fascinazione visionaria. Per nove episodi di fantascienza così “alla mano”, può benissimo bastare.



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