Shardlake su Disney+ – Massì, un gialletto quasi-medievale di Diego Castelli
Shardlake racconta le indagini su un omicidio in un monastero, con sullo sfondo Enrico VIII, lo scisma anglicano, spade, veleni e Sean Bean
Che poi in realtà nel titolo avevo scritto “un gialletto medievale”, ma siccome Shardlake è ambientata nel 1536 non si può dire, perché il Medioevo è finito qualche anno prima, e non posso scrivere palesi inesattezze subito dopo essermela presa con i neo-borbonici.
Quindi insomma, oggi parliamo di Shardlake, nuova serie di Disney+ tratta dai romanzi di C. J. Sansom e ambientata al tempo di Enrico VIII, quando il famosissimo re aveva già litigato con il papa per questioni relative al suo divorzio, al punto di causare il famigerato scisma che diede vita alla Chiesa Anglicana, che non a caso ha a capo il re o regina d’Inghilterra, come succede ancora oggi.
Quindi insomma, una serie in cui trovate tutti gli ambienti, gli abiti, le armi e le dinamiche che normalmente associamo al Medioevo, anche se il Medioevo era tecnicamente già finito.
Partiamo subito da due dettagli che dettagli non sono: la serie è creata da Stephen Butchard, già padre di The Last Kingdom (che era pure lei un adattamento da romanzo) e diretta da Justin Chadwick, regista de L’altra donna del re, che guarda caso raccontava proprio la storia di Enrico VIII e Anna Bolena, la donna di cui il sovrano si innamorò e per la quale cambiò letteralmente il corso della storia religiosa europea (facendola poi ammazzare una volta che si era rotto le balle, perché lui era così, dolcemente complicato).
Essendo ambientata pochi mesi dopo la morte dell’ex regina, Shardlake rappresenta per il regista una sorta di seguito del suo lavoro del 2008, anche se le vicende reali (nel senso di “riguardanti i sovrani”) qui rimangono sullo sfondo. Sul palcoscenico, invece, troviamo Matthew Shardlake (Arthur Hughes), un avvocato che viene ingaggiato dal primo ministro Thomas Cromwell (Sean Bean) per risolvere una questione spinosa.
In quegli anni, la neonata Chiesa Anglicana veniva ancora osteggiata da una parte della popolazione inglese, con particolare riferimento a molti monasteri che restavano fedeli al papato. In uno di questi monasteri, situato nella cittadina periferica di Scarnsea, un uomo di Cromwell viene ucciso in circostanze misteriose, che però danno al primo ministro un’ottima scusa per mandare qualcuno a investigare con un obiettivo preciso: trovare le prove che il monastero è marcio, corrotto e violento, così da legittimare la sua chiusura e l’espropriazione dei suoi tesori.
Shardlake è dunque un mystery, o banalmente un giallo, per dirla all’italiana, ovvero una storia dove è stato commesso un crimine e buona parte dell’interesse per chi guarda o legge è capire chi è stato, perché ha fatto quello che ha fatto, e come riesce l’investigatore di turno a capire tutto.
In questo senso, l’ambientazione medievale (sempre col “quasi”) non cambia le regole del gioco, con Shardlake che arriva al monastero, esamina il cadavere, e poi comincia a interrogare i monaci e studiare l’ambiente, per cercare indizi, formulare ipotesi, avanzare teorie, con fra i piedi il braccio destro di Cromwell, Jack Barak (Anthony Boyle, recentemente visto in Manhunt), che lo spia, lo pungola, gli mette pressione.
Con Shardlake c’è però anche un elemento di tensione aggiuntiva, che solitamente manca alle storie di questo genere: il protagonista, infatti, non ha semplicemente il compito di scoprire la verità, ma anche quello di scoprire una verità “utile”, che possa servire a Cromwell per ottenere i suoi obiettivi.
La scena nella quale Shardlake riceve il suo incarico è una delle migliori di tutta la prima stagione, perché in un dialogo molto educato e formale mostra tutta la frizione fra il rigore e l’onestà del protagonista, e l’opportunismo cinico e potenzialmente violento di Cromwell.
Nel complesso, Shardlake funziona, nella misura in cui sa usare gli strumenti classici del genere a cui appartiene, e al contempo sa unirli con un’ambientazione di respiro più ampio, o meglio più antico, in cui la ricostruzione storica e politica del Cinquecento inglese può aggiungere un ulteriore strato di interesse alla vicenda.
Va anche detto, però, che Shardlake fatica ad aggiungere molto altro, uno spessore che vada oltre la storia intrigante in un contesto particolare (senza contare che, come giallo in sé e per sé, non è che sia originalissima). E questo nonostante un approccio etico e morale non scontato, perché la divisione che inizialmente sembrava abbastanza netta, cioè quella fra lo spietato Cromwell e l’onesto Shardlake, nel corso degli episodi si sfuma più del previsto, lasciando al nostro occhio italico l’impressione di non aver capito proprio tutto della posizione degli autori riguardo la plurisecolare diatriba religiosa fra Roma e Inghilterra (e mi fermo qui per non spoilerare oltre).
Ci sarebbe da aggiungere poi una nota a tema politically correct, perché Shardlake riesce a unire scelte di precisa e moderna sensibilità, ad altre goffaggini altrettanto moderne.
Da una parte, infatti, sceglie per il protagonista (che nei romanzi era gobbo, potremmo dire “storpio”, scegliendo volutamente un termine inappropriato, ma che avrebbero usato i personaggi di quel tempo) un attore effettivamente portatore di disabilità, perché Arthur Hughes è affetto da una forma di displasia che si nota soprattutto nel suo braccio destro.
È possibile che, anche solo pochi anni fa, al suo posto sarebbe stato scelto un attore non disabile opportunamente “mascherato”, mentre in questo caso si sceglie un interprete che ha una caratteristica ben precisa, che non comporta problemi logistici per la produzione e che aggiunge un elemento di realismo e di coerenza letteraria che non si può che apprezzare.
D’altro canto, Shardlake è anche una serie piena di attori neri che nell’Inghilterra del Cinquecento fanno i preti e gli abati nei monasteri.
Ora, sarà pure capitato che a quel tempo ci fosse qualche migrante dalla pelle scura, anche se non siamo più ai tempi delle mescolanze del tardo Impero Romano, ma qui il tentativo inclusivo della produzione è evidente.
Tentativo che però suona molto forzato, anche più del solito, e che francamente comincia a lasciarmi anche un altro dubbio: in una serie ambientata a inizio Cinquencento, quando cominciava la tratta degli schiavi fra Africa e Stati Uniti, ha senso raccontare un mondo fittizio in cui non esisteva alcun problema e tutti vivevano in armonia? Non è un filo irrispettoso della Storia nel suo complesso, ma pure del percorso che gli esseri umani hanno fatto e stanno ancora facendo per migliorarsi?
Boh.
In conclusione, una miniserie che forse non è una miniserie ma solo una stagione corta. Un medioevo che non lo è tecnicamente ma lo sembra. Un giallo che è anche un romanzone storico ambientato in un momento decisivo della storia inglese.
Parrebbe quasi che Shardlake sia un prodotto un po’ confuso, ma in realtà non lo è più di tanto. È un intrattenimento efficace se vi piacciono le indagini sullo schermo, e una storia che scorre dritta e precisa dall’inizio alla fine. Mi sento di consigliarla raccomandando però di non spenderci troppe aspettative, che altrimenti può sembrare fin troppo media.
E uno spoiler mi sento di farlo, perché c’è una certa furbizia paracula da parte della produzione: nonostante quella locandina altisonante, su quattro episodi Sean Bean compare in due scene di pochi minuti l’una.
Furfantelli…
Perché seguire Shardlake: è un giallo ben strutturato in un’ambientazione un po’ diversa dal solito (per i gialli).
Perché mollare Shardlake: se non vi piacciono i gialli o la storia inglese, la serie non riesce ad aggiungere molto altro che vada bene per un pubblico più ampio.