25 Marzo 2024

3 Body Problem – Grande fantascienza dai creatori di Game of Thrones di Diego Castelli

La serie tratta dal romanzo di Liu Cixin si prende un po’ di libertà in nome della resa televisiva. E funziona quasi tutto.

Pilot

Ci sarebbero molti modi diversi di affrontare 3 Body Problem, in italiano Il problema dei 3 corpi, nuova serie di Netflix arrivata sulla piattaforma lo scorso giovedì 21 marzo. Diciamo almeno tre modi, che così è pure coerente con il titolo.

La si può prendere come serie a sé stante, come se fossimo semplicemente spettatori di Netflix che si trovano a contemplare un prodotto di fantascienza molto particolare.
Si potrebbe scegliere di analizzare il rapporto con il materiale originale, un romanzo (anzi, una trilogia di romanzi) scritto dall’autore Liu Cixin, considerato uno dei massimi esponenti della contemporanea fantascienza cinese.
Infine, si potrebbe spostare la lente e guardare tutto da un’altra prospettiva, considerando che gli autori dell’adattamento televisivo americano (esiste già una serie cinese tratta dagli stessi libri, che naturalmente qualcuno ritiene migliore di questa, ma non posso darvi pareri miei) sono David Benioff e D. B. Weiss (oltre ad Alexander Woo), ovvero i creatori di Game of Thrones, probabilmente la serie tv più importante, amata, e infine perfino odiata degli anni Dieci.

Scegliere un solo approccio è difficile, stavolta ho pure letto il primo dei tre romanzi da cui la serie è tratta, e sicuramente la mia percezione è almeno parzialmente distorta. Ma proviamo ad andare con ordine (dovrei anche farcela senza spoiler, spero).

3 Body Problem (sono indeciso se usare o meno il titolo italiano, perché “Il problema dei 3 corpi” è comunque un bel titolo e fa riferimento a uno specifico concetto della fisica) inizia con la storia di Ye Wenjie, che in giovane età vede il padre (astrofisico e insegnante) picchiato a morte dai giovani della Rivoluzione Culturale cinese perché non si allinea alla loro visione della scienza, che va purgata da ogni influenza straniera.

Ye Wenjie, anche lei scienziata di grande talento, viene arruolata nell’esercito e infine piazzata nella Costa Rossa, una stazione radar misteriosa, dagli scopi sconosciuti, costruita in mezzo alla foresta.

Nella Costa Rossa, Ye Wenjie fa una scoperta clamorosa, che poi finisce col riverberare per i decenni successivi fino a un presente in cui conosciamo un intero altro gruppo di personaggi, costretti a fare i conti con un evento di portata sconvolgente.

Il mezzo spoiler che ha senso fare senza pensarci troppo, anche perché la stessa promozione della serie non ne fa grande mistero, è che Il Problema dei 3 corpi parla di una potenziale invasione aliena.
Con il particolare non secondario che questo concetto viene affrontato in maniera molto diversa rispetto a un qualunque prodotto hollywoodiano d’azione, in cui arrivano delle navicelle impertecnologiche con cui combattere a colpi di mitra.

Fin dal romanzo, 3 Body Problem è una storia in cui l’elemento “fanta” della fantascienza viene costantemente delimitato, recintato, imbrigliato da una base scientifica rigorosa, che nel libro raggiunge livelli piuttosto importanti di nerdismo. Questa scelta, che porta a non infrangere con leggerezza leggi scientifiche assodate, preferendo lavorare su ciò che la ricerca attuale effettivamente non conosce e solo ipotizza, spinge la narrazione dall’azione più sincompata al racconto di un’attesa.

3 Body Problem, per lo meno nel primo libro e in questa prima stagione, non racconta la lotta effettiva fra umani e alieni, descrivendo invece la preparazione a quella lotta, l’effetto di una notizia dirompente sulle menti e società umane, i metodi di comunicazione e di influenza interstellare che possono effettivamente essere ipotizzati senza finire dentro Star Wars e Star Trek.

Sulla base di questo approccio, dunque, Il problema dei 3 corpi acquista un esplicito spessore filosofico, religioso, antropologico, che va ben oltre la media di questo genere. Diventa una serie che, come la fantascienza migliore, quella che scuote e che “resta”, ragiona sull’essere umani nel suo complesso, e su come la presenza di uno sguardo “altro” serva, prima ancora che a conoscere qualcosa di estraneo, a riflettere su di noi, sul posto che abbiamo o pretendiamo di avere nell’universo, su come definiamo i nostri obiettivi di vita, le nostre prospettive, i nostri sogni.

Il tutto con un riferimento nemmeno troppo velato ai problemi del nostro tempo, primo fra tutto il cambiamento climatico, che presentando una questione che riguarda soprattutto i nostri figli e nipoti, ci impone una riflessione su quanto siamo disposti a sacrificare in nome del bene di qualcuno che ancora non esiste.

È possibile che le righe appena sopra vi siano sembrate un po’ altisonanti e poco concrete, ma stavo (e sto) cercando di non fare troppi spoiler. 3 Body Problem però ha effettivamente questa portata filosofica, questo sguardo allargato, allargatissimo, ed è esattamente ciò che la differenzia da altri prodotti dello stesso genere.

E questo nonostante alcune deviazioni, anche molto vistose, fra la serie e il romanzo.
Tanto per dirne una, la serie presenta un sistema di personaggi molto più ricco rispetto al primo libro, prendendo alcuni caratteri dai romanzi successivi e cambiando alcuni generi (perché figurati se l’inclusività non batte la visione dell’autore originale, vabbè).

Più in generale, al netto del mantenimento della maggior parte degli eventi e del tono generale, si percepisce il tentativo di rendere la storia più gestibile per il piccolo schermo e per il grande pubblico, con un ritmo più serrato e il sacrificio di alcuni degli approfondimenti scientifici più lunghi e complessi della versione letteraria (molti dei quali appartenenti a un misterioso videogioco che è assai rilevante anche nella serie, ma aveva un peso specifico più vistoso nel romanzo).

Ma al netto di questo, o forse proprio in virtù di questa evidenza, la notizia sorprendente è che funziona praticamente tutto. Weiss e Benioff, che hanno già dimostrato di essere grandissimi adattatori (a fronte di qualche problema in più quando si tratta di fare le cose per loro conto), si prendono delle libertà che probabilmente faranno arrabbiare certi puristi del romanzo, ma che sono libertà consapevoli, motivate: gli autori sanno che la serie non può essere identica al romanzo, è un medium interamente diverso, e per questo modificano quello che serve per non perderne lo spirito, risultando però più digeribile per il pubblico audiovisivo.

Così, per esempio, avere più personaggi ugualmente protagonisti permette di usare i dialoghi per veicolare informazioni che nel romanzo erano semplicemente scritte dal narratore, nonché di costruire piccole sottostorie che permettono di dare al racconto un’umanità più sanguigna e drammatica.
Il ritmo, poi, viene condensato e velocizzato per ottenere otto episodi pieni di eventi, misteri e scoperte, che sembrano avere un’atmosfera alla Lost ma che di Lost non ereditano il difetto dell’indeterminatezza, offrendo agli spettatori degli enigmi che vengono effettivamente risolti nel corso della stagione.

Non sto neanche a parlavi del cast, che non a caso vede molti ex volti di Game of Thrones (John Bradley, Liam Cunningham, Jonathan Pryce), e che fa complessivamente un buon lavoro, senza necessariamente arrivare all’eccellenza, ma servendo adeguatamente una storia che ha proprio nelle sue idee i suoi maggiori punti di forza.

Per me, 3 Body Problem è la miglior serie del 2024 finora, e lo è anche per un motivo che non mi capita spesso di contemplare.
Solitamente, se si è letto il romanzo da cui una serie è tratta, si finisce per paragonarli nel tentativo di scegliere cosa è meglio.

Ecco, a mio giudizio siamo di fronte a una situazione particolare, in cui una stessa storia trova semplicemente due diverse incarnazioni, ugualmente valide e potenti: più scientifica, approfondita, forse immaginifica, ma anche più pesante la versione letteraria (scritta da un ingegnere che a volte sembra più desideroso di costruire un mondo affascinante che di ritmare una storia che funzioni); più lineare e “semplificata”, ma anche appassionante, incalzante, digeribile la versione televisiva.

Questo naturalmente non significa che non si possa scegliere cosa preferire, perché le vie del gusto sono infinite. Ma a stupire è proprio il lavoro fatto sui due mezzi, riconoscendone le specificità, i pregi e i difetti, e insistendo sulle naturali attitudini dei due strumenti.

Alla fine, l’applauso doveroso è proprio per gli autori.
Liu Cixin ha scritto un romanzo, vincitore del premio Hugo, che sposta i limiti della fantascienza convenzionale per restituire un grande affresco politico, filosofico e antropologico. Soprattutto, una storia che, risultati alla mano, aveva le potenzialità per diventare fonte di immagini poderose.

Weiss, Benioff e Woo, dal canto loro, hanno colto le potenzialità audiovisive di un racconto di portata letteralmente cosmica, operando un’effettiva traduzione, in cui il rispetto di certi concetti di base non impedisce di esplorare le possibilità di un linguaggio diverso, che a volte si limita a illustrare (penso alla straordinaria scena della nave, che non vedevo l’ora di “vedere” dopo averla letta su carta), e in altri casi modella, smussa, riplasma.

Il risultato, per quanto mi riguarda, è la visione di una singola stagione di otto episodi che mi ha divertito e appassionato anche se sapevo già quasi tutto ciò che sarebbe accaduto, e che ora mi ha fatto venire ancora più voglia di leggere i due romanzi rimanenti, in attesa di una seconda stagione che non è ancora confermata, ma per la quale spero non ci siano dubbi.
E quando finisci di fruire un prodotto culturale sentendoti così pieno, così arricchitto e insieme desideroso di non smettere, siamo di fronte all’eccellenza.

Perché seguire 3 Body Problem: è una storia che pungola le intelligenze e allarga le prospettive, scritta con intelligenza e messa in scena con gusto.
Perché mollare 3 Body Problem: è una fantascienza che rifugge le forme più classiche del genere, e che può quindi frustrare chi a quelle forme è particolarmente legato.

PS 3 Body problem ha un solo problema vero, che però non riguarda la serie ma la sua distribuzione su Netflix: il binge watching è una croce per un prodotto di questo tipo, in cui ogni episodio avrebbe meritato del tempo di assorbimento, di discussione, di riflessione. Tanto più che gli autori si ricordano quasi sempre di piazzare dei bei cliffhanger gustosi in ogni finale. Guardare tutto in una volta ci dà sicuramente un boost di emozione e di coinvolgimento, ma potrebbe limitare la capacità della serie di diventare “fenomeno”.
Vedremo.



CORRELATI