Exile – La verità nascosta nella mente di Diego Castelli
Dal creatore di Shameless, una miniserie da non perdere
Di solito è il Villa a occuparsi delle serie british, ma stavolta facciamo un’eccezione. E mi è andata pure bene, considerando che Exile, miniserie creata da Paul Abbott (già padre di Shameless), è proprio un prodottino coi fiocchi!
Pubblicizzata da riviste e siti specializzati come una “miniserie sull’alzheimer”, Exile è in realtà una storia più complessa, che abbraccia generi e approcci differenti per unire temi difficili e piacevolezza di visione.
Protagonista è Tom (John Simm, già volto di Life on Mars), giornalista che si è molto impegnato nel buttare al vento una brillante carriera. Strumenti dell’operazione: donne, alcol, una spolverata di droga. Ormai senza lavoro e senza grandi idee di riscatto, Tom torna a casa e ritrova la sorella Nancy e il padre Sam, anche lui ex giornalista di grido, da tempo malato di alzheimer. L’incontro e la successiva convivenza col genitore malato non sono certo semplici, e tutto viene complicato da un inaspettato mistero che la mente danneggiata di Sam si ostina a nascondere.
L’elemento migliore della miniserie è senza dubbio la trasformazione della patologia di Sam in uno strumento di suspense. Exile procede infatti su due binari distinti, che si intrecciano in continuazione.
Da una parte c’è il racconto familiare, la difficoltà di Tom di gestire la demenza del padre, compito assai gravoso che l’uomo finora aveva accuratamente evitato. Ne deriva una narrazione colma di disagio, confusione, rabbia repressa, amara nostalgia dei tempi andati, anche se quei tempi erano tutt’altro che rose e fiori. Nell’incontrare suo padre, Tom sente riaffiorare una mole di emozioni che negli anni aveva sopito, ora bisognose di un qualche tipo di confronto che il vecchio malato, ovviamente, non è grado di fornire. Da qui la frustrazione di un figlio che si trova di fronte una pallida imitazione dell’uomo capace, forte e duro che conosceva in passato.
Dall’altra parte c’è la componente thriller, che come dicevamo usa l’alzheimer come base fondante del mistero: anni prima, Sam è forse venuto a conoscenza di segreti molto sporchi, che ora la sua mente non riesce a ricostruire se non per brevi, incompleti frammenti. La storia di Tom, quindi, diventa anche un’indagine nella vita passata del padre, alla ricerca di una scomoda verità le cui implicazioni sono tutte da scoprire.
Di Exile possiamo apprezzare la buonissima scrittura – perfettamente calibrata tra la necessità di fornire continui indizi e la contemporanea esigenza di non svelare troppo – e l’ottima recitazione degli attori. Su tutti spicca Jim Broadbent, conosciuto per i suoi ruoli cinematografici in film come Bridget Jones e Harry Potter, che dà vita a un Sam praticamente perfetto, continuamente in bilico tra placida apatia, rabbiosa follia e rari momenti di lucidità.
Ma la vera differenza la fa l’immagine: fin da subito, il regista John Alexander imposta il racconto come un thriller psicologico tendente al noir, con lunghi momenti di riflessione alternati a improvvise sorprese e accelerazioni. Le inquadrature sono quasi tutte sghembe, volutamente decentrate, a sottolineare l’atmosfera instabile e precaria in cui il protagonista si muove, incapace di vedere il proprio futuro e insieme impossibilitato a dare un senso preciso al passato e al presente. Simili accorgimenti visivi, uniti a una colonna sonora estremamente efficace, permettono di sentire sulla propria pelle tutto il peso psicologico sopportato da Tom, senza per questo abbandonare una certa sobrietà che rifugge qualunque tono da melodramma lacrimevole.
Ovviamente, non siamo di fronte a un prodotto mainstream: è una serie inglese e molto ricercata, non adatta a una serata con gli amici e il pop corn. Ma il mio consiglio è di darle un’occasione, non saranno tre ore buttate via.
Previsioni sul futuro (che poi sono solo altre due puntate): Tom scaverà nella vita e nella mente del padre, risolvendo il mistero politico-giornalistico ma trovando anche risposte alle sue domande personali.
Perché guardarlo: la qualità è molto alta, ma non scivola mai nel classico mattone filosofico.
Perché mollarlo: se cercate qualcosa di molto classico, e magari un po’ adrenalinico, Exile non fa esattamente per voi.