Ted – L’orsacchiotto di Seth MacFarlane è ancora adorabile di Diego Castelli
Lo spinoff / prequel dei due film con Mark Wahlberg si trasformano in una specie di parodia volgare (ma anche tenera) delle sitcom anni ’90
Ho aspettato qualche settimana prima di parlare di Ted, la nuova serie di Seth MacFarlane (creatore fra gli altri di Family Guy), perché essendo un prodotto di Peacock non aveva ancora trovato una collocazione nei palinsesti o nello streaming italiani.
E non l’ha ancora trovata, peraltro. Solo che non mi andava più di attendere, perché Seth MacFarlane mi piace da sempre, perché Ted è un personaggio che adoro fin dal debutto del primo film a lui dedicato, nel 2012, e soprattutto perché la serie, che funziona da prequel di quel primo (di due) film, ha superato le mie aspettative, che erano quanto meno prudenti.
Quindi insomma, Ted in Italia non c’è, ma è consigliata. Di più non posso dire.
Per chi non avesse mai visto il film originale – che all’epoca sbancò il botteghino ben oltre le più rosee aspettative, che pure non erano bassissime grazie alla presenza di una star come Mark Wahlberg e, appunto, alla scrittura e alla voce di Seth MacFarlane – la storia è quella di John, un ragazzo ormai cresciuto che, in gioventù, espresse con grande forza un desiderio di quelli così sinceri e profondi, che non possono essere ignorati dalle potenze celesti, qui rappresentati dalla classica stella cadente.
Quel desiderio, per magia, diede vita a Ted, l’orsacchiotto di peluche di John (“Teddy” è il nome classico degli orsacchiotti per gli anglofoni e non solo), che da allora divenne il suo amico più inseparabile.
L’idea comica alla base del film, quella su cui si basava tutta la costruzione del personaggio di Ted e poi delle battute che lo riguardavano, nasceva da una semplice considerazione: se un orsacchiotto prende vita accanto a un ragazzo adolescente e poi “diventa adulto” insieme a lui, non c’è motivo di pensare che la storia rimanga nei binari nella fiaba. È invece molto più probabile che anche l’orsacchiotto parli e agisca come un normale essere umano.
Da qui ad avere un pupazzo volgare, vizioso, caciarone, irrispettoso, vagamente sessista e razzista, il passo era molto breve, e la resa comica sullo schermo particolarmente efficace, grazie all’immediato contrasto fra il mondo fanciullesco e puro che normalmente associamo agli orsacchiotti di peluche, e l’effettivo tamarro senza speranza che effettivamente ci veniva presentato dal film.
Da questo punto di vista, una serie che decidesse, nel 2024, di raccontare l’inizio di quella storia, si sarebbe portata dietro alcune sfide non indifferenti.
La prima e più rilevante, perché legata all’identità stessa del brand, era sicuramente quella di riuscire a rimanere fedeli a se stessi, nonostante un contesto mutato: nel 2012 Ted era già politicamente scorrento, ma nel 2024 lo è ancora di più, e non era detto che, passando al contesto televisivo potesse restare pienamente in quel solco (con tutto che Peacock non è una rete generalista, ma ci siamo capiti).
La buona, ottima notizia, è che Ted è ancora Ted, e l’ulteriore sorpresa ha riguardato il modo in cui MacFarlane ha scelto di declinare il mondo intorno all’orsacchiotto, trasfomando la sua serie in una specie di omaggio-parodia delle sitcom anni Novanta.
Ted è ancora Ted perché scherza su tutto, nella migliore tradizione dei prodotti di MacFarlane che su FOX, da ormai un quarto di secolo, rivendicano il loro diritto a ironizzare con ferocia e brillantezza su qualunque fede politica, religiosa, e su qualunque issue del momento, anche le più delicate.
Da questo punto di vista, la nuova Ted perde forse qualche sfumatura di volgarità dei film, ma non risparmia nulla in termini di contenuti, permettendosi di fare battute su qualunque argomento.
E naturalmente molte di queste riguardano, seppur indirettamente visto che siamo negli anni Novanta, la cultura woke, qui rappresentata da Blaire (Giorgia Whigham), cugina di John (Max Burkholder) che vive con lui e con gli zii e rappresenta l’anima liberal della famiglia, quella più attenta alle istanze del femminismo, del pacifismo, dell’uguaglianza fra i generi e via dicendo.
La cosa bella, però, riguarda l’intento nostalgico a cui accennavamo prima.
Ted è pensata per essere una versione riveduta e corretta delle sitcom di trent’anni fa, con le quali condivide l’ambientazione spaziale (la villetta con giardino), la struttura familiare (padre, madre, un figlio o forse due se contiamo l’orsacchiotto, e la cugina), e molte delle forme narrative dei singoli episodi, concepiti in larga parte come autoconclusivi: si parla della scuola, dei rapporti con l’altro sesso, della vita coniugale, delle incomprensioni fra genitori e figli.
Insomma, cose che avremmo potuto trovare anche in Genitori in Blue Jeans o Otto sotto un tetto (senza le risate in sottofondo però).
La differenza, naturalmente, la fa il tono dissacrante, la capacità di mostrare le questioni da una prospettiva diversa, e in generale il puro e semplice stile comico di Seth MacFarlane, che per esempio si concrettizza in certi dialoghi assurdi che partono da una premessa di per sé quasi normale, o comunque non necessariamente esilarante, per poi deviare per la tangente fino alla più pura follia affabulatoria.
In questo processo, però, la cosa deliziosa è la capacità di mantenere l’effettiva anima delle sitcom anni Novanta. Quell’impronta non è un guscio vuoto che Ted semplicemente brutalizza e avvelena con la sua contemporaneità.
Al contrario, questa resta effettivamente una sitcom familiare, in cui le persone litigano ma alla fine si vogliono bene, in cui gli errori si ricompongono nelle scuse, in cui le stronzate fatte perché si è giovani portano poi a momenti di apprendimento e crescita.
Anche la presenza di certi ruoli classici delle sitcom (come il padre tendenzialmente “americano duro e puro” interpretato da Scott Grimes, e la madre “casalinga, gentile e sottomessa” impersonata da Alanna Ubach) vengono usati come base da cui partire per una crescita e per la scoperta di nuovi equilibri.
E il miglior risultato si ottiene proprio con Blaire, la nipote liberal che non è solo (anzi, direi quasi mai) una semplice cagazzi, ma una persona a 360 gradi capace di intelligenza ma anche esagerazione, coerenza ma anche eccezione, insomma una che dà alla serie molti spunti comici, ma anche una certa consapevolezza generazionale tutt’altro che ridicola o ridicolizzata.
Il risultato sono sette episodi di grande fruibilità, molto divertenti, che riescono a trattenere l’identità dei film ma anche a dare alla storia una prospettiva nuova e sorprendente.
Se la paura era quella di una pura operazione di marketing, che riproponesse stancamente le stesse dinamiche di due film in cui già il secondo aveva fatto meno successo del primo, mi sembra che i timori si siano rivelati infondati: Ted è una bella comedy, realizzata con criterio, perfettamente consapevole di ciò che è e di dove si colloca in termini temporali e culturali.
Al momento di scrivere questa recensione, la serie non è stata ancora rinnovata per una seconda stagione, che però molti considerano scontata: Ted, infatti, ha raccolto un ottimo successo di pubblico per gli standard di Peacock, che quindi avrebbe tutto l’interesse a tenersela stretta.
Staremo a vedere.
Perché seguire Ted: divertente come i film, con pure una sfumatura di riuscita nostalgia anni Novanta.
Perché mollare Ted: la comicità di Seth MacFarlane è riconoscibilissima, se già l’avete sperimentata senza divertirvi, lasciate perdere.