Criminal Record – Una bella serie inglese su Apple Tv+ di Diego Castelli
Un crime teso e solido, che affronta scottante questioni politiche e culturali senza mai dimenticare l’intrattenimento
È capitato spesso, in questi anni molto accesi, di trovare in film e serie tv il difetto di voler lanciare un preciso messaggio politico-culturale (poco importa ora che quel messaggio ci veda d’accordo o meno), dimenticandosi dell’intrattenimento, inteso qui come termine-ombrello per indicare la capacità di un certo prodotto narrativo di divertire, emozionare, coinvolgere.
Per dirla in altro modo, tu puoi anche avere in tasca la verità più bella e giusta del mondo, ma se la spiattelli sulla faccia del pubblico come una lezione universitaria è molto facile che di quella lezione, nella testa degli spettatori, rimanga ben poco.
Non solo: se poi dai l’impressione che la bontà di quella lezione sia sufficiente a promuovere la tua opera, beh, puoi dare per scontato che qualcuno la insulterà con gusto, di fatto ottenendo l’effetto contrario a quello che volevi.
Per fortuna, però, non tutti cadono in questo errore: Criminal Record, la nuova serie di Apple Tv+ con protagonisti Cush Jumbo e Peter Capaldi, affonda ampiamente le mani in uno spinosissimo calderone fatto di razzismo, misoginia, violenza, privilegio. Eppure, nemmeno per un secondo si dimentica qual è il modo migliore per veicolare i suoi ragionamenti, riflessioni e prese di posizione: costruire un thriller solido, teso, appassionante, che non molla lo spettatore neanche per un secondo.
La storia, scritta da Paul Rutman, inizia con una telefonata anonima: una ragazza chiama la polizia perché teme che il suo ragazzo voglia farle del male. Durante la telefonata, la donna fa capire che l’uomo avrebbe già ucciso in passato, passandola liscia grazie all’errata condatta di un povero cristo che non c’entrava niente.
La telefonata, registrata dall’operatrice, viene girata alla detective June Lenker (Cush Jumbo), che si mette a spulciare qualche scartoffia trovando convincenti corrispondenze fra il contenuto della chiamata e un caso vecchio di dieci anni, un femminicidio che portò alla condanna del marito della vittima, e che ora a June appare come un caso segnato da più di un’ombra.
Proseguendo con la sua indagine, June arriva al detective che all’epoca si occupò della vicenda, Daniel Hegarty (Peter Capaldi). Hegarty è un investigatore vecchia scuola, prossimo alla pensione, che sotto una patina di apparente gentilezza e disponibilità nasconde una feroce difesa del suo operato: non è disposto ad accettare che una giovincella appena promossa metta in dubbio la sua professionalità.
E da qui in avanti è tutta discesa.
A giudicare dai primi due episodi al momento disponibili, Criminal Record è una buona serie prima di tutto perché ha ritmo: gli eventi si susseguono rapidamente ma in modo chiaro, fasi di quiete si alternano efficacemente con scene ad alto tasso di suspense o dichiaratamente action, la trama si infittisce progressivamente con la precisa volontà di far emergere ombre sempre più scure e inquietanti all’interno della polizia, seminando indizi, dubbi e certezze in cui i personaggi finiscono impigliati come in una ragnatela.
Ma oltre a questa capacità nuda e cruda di costruire il giallo e la suspense, c’è un bel lavoro sui protagonisti, sia in fase di scrittura che di interpretazione.
Lenker e Hegarty non sono due macchiette monolitiche, la buona e il cattivo messi al centro di un ring ben definito. O meglio, è probabilmente così dal punto di vista macro, ma la serie riesce a lavorare di sfumature costruendo figure che abbiamo uno spessore a 360 gradi.
La protagonista, per esempio, è sì una donna affamata di giustizia, ma è anche una madre, una moglie e una figlia che non sempre fa le scelte giuste, che mostra dei difetti, sia in termini morali sia in termini di performance: è una brava detective, ma non un’eroina a cui riesce tutto bene perché sì.
Hegarty, dal canto suo, sarà anche il cattivo della situazione, ma è un cattivo non smaccato, volgare, violento. È un subdolo, uno che sa indossare maschere di piena legittimità, al punto da far riuscire a dubitare anche lo stesso pubblico sul fatto che sia o meno del torto marcio.
Soprattutto, è un cattivo convintissimo di essere un buono: alla fine sono i migliori.
Questa capacità di costruire un ambiente e dei personaggi che, in virtù della ricchezza di dettagli, ci appaiono vivi e realistici, contribuisce poi alla buona riuscita dell’approfondimento politico e culturale di cui parlavamo all’inizio.
Da un certo punto di vista, le pedine sulla scacchiera sono chiaramente identificabili: c’è la poliziotta giovane e nera che si prende a cuore il destino di una vittima anch’essa non-bianca. C’è il cattivo maschio e anziano che non sembra gestire bene (eufemismo) il suo rapporto con le colleghe e con le persone con colore della pelle diverso dal suo. C’è il ragionamento su un mondo di provilegi a volte nemmeno troppo visibili, ma che incrinano la credibilità delle istituzioni e del loro lavoro.
Questi elementi potevano essere usati per la famosa lezione universitaria, per qualche discorso pontificante declamato dalla cima di un piedistallo, mentre così non è.
Il citato spessore dei personaggi fa sì che anche la protagonista debba interrogarsi sulla sua percezione e sul suo punto vista (per esempio nel rapporto con il marito bianco). Allo stesso tempo, Capaldi dà vita a un personaggio che effettivamente sembra agguerrito nella lotta contro la violenza, il cui atteggiamento è però sporcato da questo ego e questo cameratismo che tradiscono invece la difesa del privilegio maschile e bianco.
Fra i personaggi secondari troviamo la stessa varietà: non tutti gli aiutanti sono simpatici e non tutti gli antagonisti sono odiosi, e l’impressione è sempre quella di trovarsi dentro una realtà complessa, non sempre codificabile secondo una prospettiva binaria.
Criminal Record è dunque una storia di omicidio e di investigazione, piena di suspense e colpi di scena, che all’interno di quella struttura riesce a inserire organicamente alcune riflessioni più ampie, senza che la cosa appaia forzata, e soprattutto senza che quelle stesse riflessioni diventino bigini da snocciolare agli spettatori dall’alto di un pulpito.
Si può fare un esempio concreto di questa complessità e stratificazione: la protagonista, già a inizio pilot, fa dei controlli sulla targa di un furgone sospetto segnalato dalla madre, che vive da sola e con qualche problema mentale. June non potrebbe fare questa cosa, o per lo meno non nel modo in cui la fa, e quindi la vediamo infrangere le regole per un tornaconto personale.
Il fatto che in una storia che parla, in maniera ora più diretta ora più sfumata, di violenza sulle donne, di razzismo, di misoginia, di privilegi, il fatto che la stessa protagonista, senza dubbio vittima di pregiudizi e bias culturali, usi anche il suo privilegio (privilegio professionale, legato al mestiere di poliziotta) per ottenere un vantaggio privato, rende tutto molto più vero, a misura umana. Nessuno è infallibile o senza macchia, e l’invito è ad abbracciare il mondo nel suo complesso, prendendo misure difficili, valutando pesi contrastanti.
Meno proclami e più realtà sanguigna, sporca, complicata.
In un mondo seriale che molto spesso si bea della propria purezza morale a scapito della capacità di emozionare, Criminal Record è dunque la prova che, con maestria e sensibilità, è ancora possibile costruire storie che sappiano tenere insieme tutto, che provino a leggere una realtà complessa, a volte oscura e ingiusta, senza semplificarla in modo stucchevole, ma allo stesso tempo senza bisogno di riproporla in modo incomprensibile.
Naturalmente è un giudizio in sospeso, dopo soli due episodi, ma è difficile pensare che una serie capace di iniziare con questa solidità possa perdersi via nel giro di poche puntate. L’impressione, anzi, è che possa avere ancora altro da dare, mentre sballotta i suoi personaggi in una storia sempre più densa, fangosa e violenta, da cui probabilmente i buoni usciranno vincitori, ma non senza pagare alcun prezzo, e non senza lasciarsi alle spalle la consapevolezza di un intero mondo che non funziona come dovrebbe.
Staremo a vedere.
Perché seguire Criminal Record: per la capacità di tenere insieme grande suspense, approfondimento dei personaggi e critica sociale.
Perché mollare Criminal Record: Giusto se il genere non vi interessa in alcun modo, perché altrimenti non vedo motivi.