Monarch: Legacy of Monsters – Drammi familiari, Godzilla e Kurt Russell di Diego Castelli
È un aereo! No, è un uccello! Guarda bene, è Godzilla.
Ogni volta che mi imbatto in una serie che, per un motivo o per l’altro, si inserisce in un immaginario vecchio di decenni, mi chiedo se non fosse più semplice la vita degli appassionati di storie di boh, seicento anni fa, quando c’erano solo i libri, e nemmeno poi tanti, e ci si poteva bullare di aver letto dieci romanzi in vita propria.
Che poi, probabilmente, i nerd tignosi c’erano anche all’epoca: se facevi un commento su un romanzello, di sicuro arrivava qualcuno a farti le pulci perché, stolto, non avevi letto il prequel, cioè una specifica raccolta di leggende vergate a mano da un monaco bavarese.
Tutto questo per dire che oggi parliamo (anche) di Godzilla, un mostrone cinematografico nato nel 1954 e che oggi, se uno volesse essere molto esperto della faccenda, dovrebbe aver visto qualcosa come trentatre film, più un numero imprecisato di fumetti, videogiochi, vecchissime serie tv ecc ecc.
Per fortuna, però, Monarch: Legacy of Monsters di Apple Tv+ fa riferimento a un mondo che sì, è quello del buon vecchio Godzilla (e di King Kong, se è per questo), ma che da una decina d’anni si pone come reboot di tutta la faccenda, avendo cura di non pretendere dagli spettatori chissà quale conoscenza pregressa.
Già solo per questo le si vuole un po’ bene.
Monarch: Legacy of Monsters, debuttata lo scorso 17 novembre con i primi due episodi, fa parte del cosiddetto “Monsterverse”, un franchise prodotto da Warner Bros. e Legendary Pictures che, per l’appunto, recupera la tradizioni dei grandi mostroni del cinema per costruire una nuova mitologia che sia accessibile anche a una nuova generazione di fruitori, senza comunque dimenticare un po’ di sano omaggio ai film del passato, in particolare la lunga saga cinematografica dedicata a Godzilla e prodotta dalla Toho Co., Ltd.
Il Monsterverse ha debuttato nel 2014 con il Godzilla di Gareth Edwards, un film che recuperava molti elementi narrativi ma anche stilistici del Godzilla originale, e che presentava il mostro come una sorta di eroe suo malgrado: era cioè una lucertolona che, nel tentativo di difendere il suo territorio, finiva indirettamente con il proteggere gli umani da altri mostri, che nel franchise sono definiti con l’acronimo M.U.T.O., ovvero “Massive Unidentified Terrestrial Organism” (il fatto che la parola “muto” abbia effettivamente un significato in italiano è cosa che gli ammmeregani non sapevano, e quindi ce la teniamo così, un po’ buffa).
Da quel primo reboot sono poi seguiti altri film e una serie animata di Netflix (Skull Island), che hanno aggiunto al mix anche King Kong e che ora approdano alla serialità live action con un prodotto – il nostro Monarch: Legacy of Monsters – che punta ad approfondire la genesi e il ruolo della Monarch, l’agenzia segreta sorta con lo scopo di comprendere la natura dei mostroni per meglio difendere la vita dei poveri, piccoli esseri umani.
Monarch si trovava di fronte una doppia sfida. In primo luogo doveva inserirsi in un mondo narrativo già ben avviato, ma che non necessariamente sarebbe stato conosciuto da tutti i potenziali spettatori della serie. In secondo luogo, e soprattutto, si portava dietro il timore che sempre ci assale di fronte alla versione televisiva di un franchise cinematografico improntato sui grandi effetti speciali e i budget robusti: che la serie, cioè, potrebbe essere troppo piccola, troppo modesta, per stare a pieno titolo in un territorio pieno di creature titaniche portate a schermo con grande dispendio di mezzi.
Ebbene, non senza una qualche sorpresa, Monarch se la cava con entrambe le sfide.
Sul tema della comprensibilità, è vero che la serie inizia dando per scontati gli eventi del film del 2014, ma non nel senso che dobbiamo conoscere particolari dettagli relativi a personaggi che non compaiono qui. Semplicemente, ci viene spiegato che Godzilla è comparso, che i mostri hanno fatto danni, e che l’umanità sta cercando di organizzarsi per gestire questo problema che certamente si ripresenterà. È in questo contesto che ci viene presentata una protagonista, Cate (Anna Sawai), che è una sopravvissuta del “G-Day”, cioè il giorno della comparsa di Godzilla.
Non ci serve sapere altro per entrare in questa storia, perché le vicende successive, e il livello del trauma subito da Cate, ci verranno spiegati efficacemente senza lasciarci spaesati con la bocca aperta piena di domande senza risposta.
La seconda sfida viene vinta con un metodo che è molto semplice in teoria, e un po’ meno facile da mettere in pratica: la buona scrittura.
Monarch non è una serie sui mostri, è una serie su un’organizzazione gestita da esseri umani per affrontare il problema dei mostri. Per giustificare il fatto che seguiamo una storia che tocca il mondo dei titani, ma non è incentrata sulle risse fra gigantesche lucertole e altrettando mastodontici dinosauri e scimmioni, Monarch deve costruire una storia soprattutto umana che funzioni, che appassioni, che ci incuriosisca abbastanza da non sbuffare ogni volta che si parla troppo e ci si mena poco.
Per fare questo i due creatori Chris Black e Matt Fraction costruiscono una trama che tocca diverse epoche storiche: si parte da Cate che va in Giappone per recuperare informazioni sul padre recentemente deceduto solo per trovare alcune grosse sorprese, e si va poi indietro nel tempo di un paio di generazioni, quando due scienziati e un soldato si addentrano nelle foreste tropicali per trovare tracce di mostri che, negli anni Cinquanta, erano poco più che miti e leggende.
A connettere i vari passaggi temporali c’è ovviamente la Monarch, che nei primi due episodi è un’organizzazione particolarmente oscura e piena di angoli bui, ma anche il personaggio di Lee Shaw, il soldato a cui si accennava poco fa, che è l’unico a vedersi in epoche diverse e per la cui interpretazione si è scelto il trucco simpatico: nella sua versione anziana ha il volto di Kurt Russell, mentre il Lee giovane è Wyatt Russell, figlio di Kurt.
Questa storia familiare, che include continenti diversi, personaggi inizialmente molto distanti e le misteriose ombre di un’organizzazione segreta, funziona perché gestisce con buon ritmo il continuo sovrapporsi di misteri e risoluzioni, tale per cui a ogni svelamento corrisponde a stretto giro una nuova domanda, che necessita di un’ulteriore risposta, e via di questo passo per due ore che, in questo modo, passano molto velocemente.
La cosa bella è che questo ritmo e questo thrilling prescindono almeno in parte dal fatto che l’ignoranza dei personaggi su certi fatti non coincide sempre con la nostra: quando guardiamo i personaggi del passato, sappiamo cosa stanno per trovare, e anche nel presente (che poi è il 2015) la Monarch non è sconosciuta a noi tanto quanto lo è ai protagonisti.
A non farci perdere interesse non è (solo) la mancanza di informazioni, bensì una scrittura e un montaggio che costruiscono una catena di eventi, misteri e chiarificazioni che ci prende di peso, ci mette sul carrellino delle montagne russe, e ci spara sulle rotaie senza chiederci il permesso.
Poi certo, se i mostri non si vedessero mai, sarebbe comunque un problema, un po’ come quando, in Agents of S.H.I.E.L.D. (altra serie accessoria a un universo narrativo più grande), la parentela con i film di Iron Man e Captain America divenne sempre meno stretta, con qualche effetto distorsivo sulla capacità di tenere alta l’attenzione.
Da questo punto di vista, se vogliamo fare questo paragone un po’ azzardato, Monarch: Legacy of Monsters è proprio su un altro livello.
Come detto, il focus non è sui combattimenti fra mostri, ma le creature si vedono eccome, e il livello è pienamente cinematografico. Non è solo questione di effetti speciali, ma di fotografia, di ricchezza delle ambientazioni, perfino di ritmo: i primi due episodi di Monarch sembrano la prima parte di un classico filmone avventuroso, quella in cui i personaggi si infilano in una storia più grande di loro, i cui contorni massicci si svelano a poco a poco con livelli sempre più alti di stupore.
Lungi dall’essere solo un’appendice televisiva ed economica dei film del Monsterverse, le prime due puntate di Monarch mostrano spesso i muscoli, dandoci l’impressione di essere di fronte a un “evento” che ci strappa un’attenzione urgente, un occhio sveglio e riempito di buone immagini.
Non stiamo parlando di un capolavoro della serialità, soprattutto perché manca quell’originalità, quella visione deviante e distonica, che quasi sempre ci aspettiamo da prodotti in grado di segnare una cesura rispetto al passato e al contesto in cui si trovano.
Senza contare che, dopo due episodi ad alto budget, non si può escludere un calo nelle puntate centrali, in attesa di un finale nuovamente ricco. Non ce ne potremmo stupire, ma non per questo vivremmo bene quattro, cinque, sei episodi di puro dialogo in quattro stanze (in tutto saranno dieci).
Detto, questo, però, Monarch: Legacy of Monsters va promossa, perché restituisce un profumo da grande produzione cinematografica che non è così usuale nelle serie tv, e perché il suo esordio è molto più svelto, denso e interessante di quello che avremmo potuto pensare.
Insomma, gli americani che sanno raccontare storione da americani. Ci siamo venuti grandi così, figurati se ci lamentiamo.
Se poi servisse correggere il tiro, ci risentiamo a fine corsa.
Perché seguire Monarch: Legacy of Monsters: per il livello produttivo sorprendentemente alto e per una scrittura salda e consapevole.
Perché mollare Monarch: Legacy of Monsters: se non vi piacciono i rettili.