14 Novembre 2023

Loki 2 – La meglio Marvel che c’è (oggi) di Diego Castelli

Con un ottimo finale di stagione, Loki 2 si conferma una serie creativa, corposa, ostica ma interessante. Più del resto del MCU.

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ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE DI LOKI

Che ci sia crisi nel Marvel Cinematic Universe, solitamente abbreviato in MCU come se fosse un piccolo droide puccioso di Star Wars, non lo scopriamo oggi.
Le cause di questa crisi, conclamata da tiepide recensioni soggettive e da ben più oggettivi disastri al box office, sono diverse e dal peso variabile.
Alcuni dicono che la gente si è semplicemente stancata dei supereroi e di un mondo narrativo che diventa sempre più articolato e difficile da maneggiare. Altri sostengono che, dopo il successo spettacolare di Avengers Endgame, Marvel e Disney non siano riusciti a far ripartire una nuova storia complessiva capace di appassionare come la precedente. Altri ancora si scagliano con l’insistita inclusività dei film del MCU, con The Marvels ultimo e vistoso esempio di un’operazione che bada a piantare bandierine woke piuttosto che scrivere buone storie.

A seconda del film di cui parliamo, è probabile che tutte queste cause e altre ancora abbiano effettivamente un loro peso, e resta tuttora da capire se e quando i film Marvel ricominceranno a macinare profitti invece di perdere soldi e consenso a ogni uscita cinema.
In tutto questo, è facile finire nel paradosso: è facile, cioè, che una serie Marvel disponibile su Disney+, lontano dai bagliori del grande schermo e teoricamente relegata nei “di più” di quello piccolo, finisca con l’essere abbastanza ben scrittra, ben strutturata e interpretata, da essere la miglior cosa nuova con sopra il bollino Marvel.

Diamo a Loki quel che è di Loki.

In realtà, se ci avete seguito in queste settimane sul nostro podcast Salta Intro potreste avermi sentito avanzare qualche piccola lamentela per una certa difficoltà nel seguire la trama della seconda stagione di Loki.
Dopo aver decantato le lodi della prima, molto divertente e creativa, piena di invenzioni visive e narrative e di buoni personaggi, la seconda cercava di proseguire la storia che aveva visto spuntare Colui che Rimane (interpretato da Jonathan Majors), ovvero Kang il Conquistatore, qui immaginato in veste di custode di una Sacra Linea Temporale che, se lasciata libera di ramificarsi, avrebbe potuto portare alla fine dell’intero Multiverso.

Loki, per l’appunto, contribuiva a introdurre il Multiverso nel MCU, e la seconda stagione, per quattro episodi, vedeva il protagonista impegnato a venire a capo della faccenda, cercando di capire cosa fosse meglio fare, con la sua variante Sylvie animata da due spinte contrastanti (il desiderio di vivere una vita placida lontano dalla battaglia unito a quello di ammazzare Kang), e l’arrivo sul campo da gioco del buffo O.B. (interpretato dal premio oscar Ke Huy Quan), un tecnico a cui fare domande pregnanti sul funzionamento della TVA.

In questi quattro episodi, se si esclude la comparsa di O.B., la serie non puntava a introdurre chissà quali concetti nuovi, si limitava a provare a mettere un po’ d’ordine nei suoi stessi casini, e ci riusciva fino a un certo punto, con Loki sballottato in involontari viaggi e viaggetti temporali in cui si faticava (almeno, io) a tenere il filo, perdendo qualcosa in termini di suspense.

Con gli ultimi due episodi, invece, la svolta.
Di riffa o di raffa si arriva a una completa definizione della posta in gioco. Con l’aiuto di O.B. e di Victor Timely, Loki e Mobius cercano di potenziare il Telaio della TVA, cioè la struttura che tiene insieme le potenziali ramificazioni del Multiverso. Il problema, come Loki scopre nell’ultimo episodio, dopo una serie loop temporali pieni di prove, errori e pure una laurea in fisica (ci viene detto che Loki fa prove letteralmente per secoli), è che potenziare il Telaio non servirà, le ramificazioni sono troppe, praticamente infinite (che poi era il motivo per cui la TVA cancellava le ramificazioni nuove appena si creavano).

Loki si trova dunque di fronte a un’amara Verità: forse Colui che Rimane aveva ragione. Forse aveva effettivamente senso permettergli di cancellare violentemente tutti i rami, per permettere a una sola Sacra Linea Temporale di esistere. In questo modo, almeno, non ci sarebbero state altre varianti dello stesso Kang, quindi niente guerra del Multiverso, quindi niente distruzione di tutto ciò che esiste.

Loki, insomma, sembra pronto ad accettare il Male Minore, e per questo impedisce a Sylvie di uccidere Kang, ancora e ancora e ancora, in un loop infinito che però, a quel punto, sembra l’unica cosa giusta da fare.

Ci vuole proprio Sylvie a ricordare a Loki un altro piccolo dettaglio: il libero arbitrio. Distruggere sul nascere le ramificazioni, come la TVA ha fatto per anni, non significa solo distruggere le vite di miliardi di persone alla volta (un’inezia…), ma anche privarle di qualunque libertà di scelta, di lotta, di consapevolezza.

Loki dunque cambia idea, ma deve anche trovare un modo per gestire le ramificazioni, perché il Telaio che esplode resta un problema da risolvere.
E qui arriviamo all’ultimo passo: Loki decide per un ultimo sacrificio, si sostituisce lui stesso al Telaio, e sfruttando la propria natura divina si fa carico di prendere fisicamente in mano le mille mila ramificazioni, costruendo intorno a sé un albero temporale (che ricorda un po’ l’Yggdrasil di asgardiana memoria) e diventando di fatto egli stesso un nuovo Custode del Multiverso.

In questo contesto, la TVA continua ad esistere, ma non per distruggere le ramificazioni, che invece ora si sceglie di lasciar prosperare. Invece la TVA senza Mobius (che per ora va in pensione per esplorare la sua vita potenziale dentro il Multiverso, e non fuori) si prende in carico il compito di trovare e gestire le varianti di Kang, che sono, o saranno, le potenziali responsabili della Guerra del Multiverso.

Al netto di questi risvolti prettamente narrativi, che spero di aver riassunto in modo vagamente decente, a colpire è proprio il percorso del personaggio-Loki.
Quello che era un vero e proprio cattivo del MCU (per quanto un cattivo simpatico e poco “odioso”), diventa non solo un eroe buono, ma addirittura cambia il suo ruolo divino, passando da un dio del caos a un dio dell’ordine, o quanto meno di “un” ordine, visto che il Multiverso potrebbe essere comunque inteso come abbastanza caotico.

Il percorso ha un che di metatestuale: in queste due stagioni si è cercato di dare a Loki un nuovo posto, un nuovo ruolo all’interno del MCU. Un bisogno che sentivano i suoi autori, desiderosi di non perdere un personaggio così amato, ma consci della difficoltà di riciclarlo in una nuova veste. E un bisogno che sentiva lui, proprio Loki in quanto persona (pardon, dio), che percepiva la necessità di un nuovo inizio dopo tutti i casini, le sconfitte, e anche i sacrifici, subiti nella saga dell’Infinito.

Ebbene, entrambe le necessità trovano soddisfazione: nel comprendere cosa può fare per aiutare i suoi amici e l’umanità tutta, Loki trova uno scopo personale e un posto nel mondo, e il fatto che quel nuovo posto imponga un importante sacrificio (il nuovo lavoro che si è scelto è potenzialmente infinito e a tempo pieno) ci dà il peso del suo sviluppo e del suo cambiamento. Nel fare questo, poi, Loki si ritaglia un ruolo importante nel MCU, perché ora, qualunque sviluppo avrà al cinema la saga del Multiverso, sarà comunque legato al fatto che da qualche parte c’è Loki che tiene fisivamente in mano tutte le ramificazioni.

Per tornare ai problemi del MCU di cui parlavamo all’inizio, nel suo piccolo (schermo) la seconda stagione di Loki riesce a fare quello che i film più recenti non sono riusciti nemmeno ad avvicinare (non ho ancora visto The Marvels, ma non mi pare che butti benissimo): costruire una storia coerente, di ampio respiro, che permetta un percorso vero e significativo del suo personaggio principale, e che aggiunga un tassello non banale nel puzzle complessivo.
Non solo, una storia che abbia un peso filosofico importante, perché prendere un personaggio e costringerlo a ragionare sul Male Minore, su cosa ci voglia davvero per essere un Eroe (e non poteva esserci personaggio migliore di Loki per questo percorso, lui che non nasce come eroe ma lo diventa), è qualcosa che va oltre i 6 episodi di un serie tv, ma ci chiama al ragionamento sulla nostra realtà, sulle mille volte che ci troviamo a ragionare proprio su di loro, sui mali minori, in una realtà che sarà sempre più complessa di un cinecomic.

L’impressione che si è avuta è che la portata commerciale più piccola di Loki (più complicata e strana di un normale film Marvel) le abbia concesso la libertà di sperimentare di più, ma anche di essere meno incatenata a certi obiettivi obbligati dei film, che devono piacere sempre a tutti (col paradosso di risultare spesso ripetitivi e annacquati).

Ieri leggevo che, a causa dello sciopero degli attori da poco concluso, l’unico film Marvel del 2024 sarà Deadpool 3, che mi immagino divertentissimo ma che con il complesso del MCU potrebbe centrare poco.
Per parecchi mesi, quindi, rimarremo con la consapevolezza che l’ultima, migliore esponente del un universo che si definisce “Cinematic”, è una serie tv.
In attesa di tempi migliori…

Un’ultima nota sul cast: da due stagioni, Tom Hiddleston è chiamato a un lavoro complicato. Molto più del suo compare Owen Wilson, che bene o male fa sempre il suo personaggio fra il simpatico e lo svanito, pur con qualche doverosa punta di malinconia in più.
No, a Tom Hiddleston è stato chiesto di prendere un personaggio che era cattivo-ma-simpatico, per trasformarlo in un buono-ma-malinconico, senza perdere carisma e senza perdere la presa sul suo appassionato pubblico di riferimento.

A mio giudizio, l’operazione funziona in buona parte, anche se non del tutto. Hiddleston ha certamente il range espressivo necessario per maneggiare più registri, e quando alla fine lo vediamo seduto nell’Albero con quello sguardo insieme conscio, soddisfatto e provato di chi sa di aver fatto una cosa proprio grossa, gli crediamo.
Allo stesso tempo, l’attore inglese perde forse un po’ troppo del brio del Loki originario (anche perché affiancato da personaggi più buffi di lui), e talvolta dà l’impressione di voler aumentare il proprio spessore con momenti di recitazione più vistosa, artificialmente melodrammatica.

Resta comunque una buona prova, nel complesso, e se c’era qualcuno con la faccia giusta per fare i tripli salti carpiati richiesti a Loki, quello era lui.
Chissà ora quale altro vestito gli verrà chiesto di indossare, la prossima volta che questo dio multiforme tornerà sul nostro schermo, piccolo o grande che sia.



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