27 Ottobre 2023

I Leoni di Sicilia – Quando Disney+ pareva Rai Uno di Diego Castelli

La serie tratta dal best seller di Stefania Auci ci riporta a una Sicilia che non c’è più, ma pure alla buona e vecchia generalista (o quasi)

Pilot

PICCOLI SPOILER, MA ROBETTA PROPRIO

Se siete ascoltatori/trici del nostro podcast Salta Intro, ma ancora di più se non lo siete, vi consiglio di ascoltare la puntata uscita oggi (la 5×07) perché si parla di un argomento, quello delle scelte presenti e future delle piattaforme di streaming in termini di serialità, che c’entra molto anche con la serie di cui parliamo oggi, ovvero I Leoni di Sicilia.

Si tratta dell’adattamento seriale, disponibile su Disney+, dell’omonimo, doppio romanzo di Stefania Auci, caso letterario italiano subito diventato materia per una serie “local” ma dall’evidente ambizione internazionale, ambientata in una sognante Sicilia di inizio Ottocento, e diretta da Paolo Genovese, che all’estero è conosciuto soprattutto come “quello che con i diritti di Perfetti Sconosciuti ci campa tre vite”.

I Leoni di Sicilia, che ha per sottotitolo “La saga dei Florio”, racconta di una singola famiglia, inizialmente composta da due fratelli (Paolo e Ignazio) e dalla moglie di Paolo, Giuseppina, che da un paesino brullo della Calabria si trasferiscono nella ricca Palermo per sviluppare la loro attività di commercio delle spezie, in una città piena di opportunità ma anche di rischi, posizionata in un punto molto particolare della storia d’Italia, quello appena precedente e successivo all’Unità, che la rende uno snodo commerciale e militare di portata europea.

La miniserie, come i due romanzi, racconta un periodo di tempo piuttosto lungo, partendo dalla migrazione dei fratelli Paolo e Ignazio, e arrivando a rendere protagonista il figlio di Paolo, Vincenzo, che possiamo considerare il vero personaggio centrale del romanzo e della serie, interpretato nella sua versione adulta da Michele Riondino e affiancato da Giulia, che ha il volto di Miriam Leone.

Fino a due settimane fa non avevo ancora letto il libro di Auci, e mi sentivo in colpa. Per fortuna mi è venuto in soccorso Ninni Bruschetta, che ha prestato la voce per l’audiolibro disponibile su Audible, e così mi sono sparato 14 ore di saga familiare ottocentesca mentre andavo in ufficio o caricavo la lavastoviglie.

Senza voler fare troppi paragoni, che non è nostro costume, ci sono probabilmente un pregio e un difetto del libro che sono stati trasposti nello stesso identico modo nella serie.
Il pregio è la capacità di evocare con pochi tratti un intero mondo. La scrittura di Auci, mai difficile o pomposa, è però efficacissima nel trasportarci nella Sicilia di primo Ottocento, un luogo che sentiamo vivo, concreto, materico e odoroso, e che nella serie esplode sullo schermo grazie a un budget evidentemente molto ricco (effetti speciali, costumi, comparse), ma anche a precise scelte di regia e fotografia: il fatto che le scene notturne siano effettivamente molto buie, apparentemente illuminate solo dalla luce di candele e lanterne, è un rischio calcolato quando si parla di serie generalista, ma anche una specie di marca di realismo che si fa molto apprezzare.

Il difetto, sia del libro che della serie, riguarda invece la rapidità: lo scorrere rapido degli anni ci aiuta ad avere un quadro complessivo delle vicende storiche, economiche e politiche, ma rende più difficoltoso costruire profonde tensioni drammatiche, a cui spesso manca un po’ di respiro, nonostante la presenza di linee di forza molto evidenti, come per esempio l’odio di Giuseppina per il marito e, contemporaneamente, l’affetto per il cognato.
Il problema, presente nel libro, si acuisce nella serie, che già sconta un certo didascalismo da sceneggiatura italiana, e deve pure fare tutto di fretta, favorendo il blando trasferimento di informazioni a scapito di un approccio più sfumato e poetico.

È chiaro il tentativo, da parte di Disney, di costruire un prodotto che sia evidentemente italiano, ma che abbia anche respiro internazionale.
Il pubblico estero è costantemente affamato di italianità verace, e una storia ambientata in un Ottocento poco conosciuto fuori dai nostri confini (solitamente, e per ovvie ragioni, si parla più di America, Inghilterra e Francia) ha un appeal quasi scontato, anche a prescindere dal risultato effettivo.

Da questo punto di vista, I Leoni di Sicilia ha dei meriti evidenti, in parte già accennati: siamo in Italia, sì, ma il livello della produzione è alto e visibile, come raramente ci capita di vedere in fiction nostrane. I temi in ballo, poi, sono tutt’altro che puramente ottocenteschi e “local”: il ruolo delle donne nelle famiglie tradizionali e tradizionaliste, la questione delle migrazioni, i conflitti fra nazionalismi.
È una Storia (con la S maiuscola) che si ripete e spiega sempre le stesse lezioni, ogni volta a orecchie nuove e quindi non sempre pronte a sentirle.

Dal nostro punto di vista, però, I Leoni di Sicilia è anche una serie che si porta dietro alcuni classici problemi della serialità italiana, primi fra tutti il citato approccio molto didascalico (non aiutato dal materiale di partenza) e una certa teatralità della recitazione e della regia, che spesso indugiano in quei secondi aggiuntivi di melodramma che fanno subito venire alla mente certe parodie del Trio Solenghi-Marchesini-Lopez.

In realtà è un paradosso, che fa parte dell’accennata questione del futuro seriale di cui parliamo nel podcast. Dopo anni passati ad accogliere ed elogiare le sperimentazioni della serialità americana d’autore, ci troviamo ora in un momento storico in cui anche le grandi piattaforme cercano prodotti più generalisti, capaci di allargare il bacino d’utenza degli abbonati. Perché alla fine, che ci si sintonizzi su una rete televisiva finanziata dal canone o ci si abboni a un servizio di streaming, il “grande pubblico” (concetto mitologico tipo Balena Bianca) sempre quello è, un pubblico che ama storie dritte e semplici, con temi chiari e passioni altrettanto chiare.

Il risultato, tutt’altro che casuale, è che I Leoni di Sicilia, grande produzione per Disney+, ai nostri occhi sembra fin troppo una fiction di Rai Uno, con più mezzi e possibilità, ma con la stessa patina vintage da sceneggiato.
Un approccio, ribadisco, evidentemente ricercato e probabilmente molto funzionale sui mercati internazionali, ma che qui nel nostro piccolo di Serial Minds difficilmente più andare oltre un “era meglio Downton Abbey“.

Si potrebbe discutere ancora a lungo sui singoli dettagli che spostano costantemente l’indicatore da “grande produzione internazionale” a “Un medico in famiglia”, e ne riparleremo probabilmente nella prossima puntata di Salta Intro+.

C’è però un unico, grosso difetto che non si può tacere, e che rappresenta a mani basse l’aspetto peggiore della serie.
Parliamo della colonna sonora, in cui fa parlare di sé un singolo di Laura Pausini, ma che in generale è composta da un pop/rock completamente slegato da quello che vediamo sullo schermo.

Non si capisce se Genovese & Co. abbiano voluto fare un’operazione di svecchiamento e modernizzazione per evitare che I Leoni di Sicilia sembrasse troppo pizza e mandolino, ma il risultato è completamente straniante: non c’è nulla, nel romanzo di Auci o nella messa in scena di questa serie, che possa suggerire l’inserimento di una musica così lontana dal contesto storico della vicenda, che spezza continuamente la tensione e ci “tira fuori” dall’immersione nell’atmosfera del racconto.
La cosa è così imbarazzante, che a volte sembra di vedere un porno girato con due lire, in cui siano state scelte musiche a caso, libere da diritti d’autore.

Nel complesso, I Leoni di Sicilia è una di quelle serie che si possono valutare da più punti di vista diversi: furba operazione commerciale diretta (anche) verso l’estero, oppure polpettone generalista fin troppo italiano, come direbbe il buon Stanis; racconto corale di buon carisma (attori e attrici tutti bravi, cosa che non ho sottolineato a sufficienza), ma anche collezione di figurine solo abbozzate nelle loro caratteristiche principali; grande affresco ad alto budget e con buone idee di regia, oppure baraccone teatrale e musicato malissimo.

Non ci viene, onestamente, di promuovere la serie a pienissimi voti, perché fatica in molte delle caratteristiche che su questo sito associamo alla qualità.
Allo stesso tempo, se consideriamo che in questi anni molte delle serie italiane da piattaforma erano al livello di Luna Nera o della recente Everybody Loves Diamonds, beh, allora I Leoni di Sicilia è un fottuto capolavoro.

Perché seguire I Leoni di Sicilia: è un produzione grossa, con i muscoli, e alcuni pregi molto specifici.
Perché mollare I Leoni di Sicilia: resta volutamente legata ad alcune scelte apertamente fictionose che potrebbero essere poco digeribili. E quanto è brutta la colonna sonora.



CORRELATI