Lessons in Chemistry – Brie Larson fra pentole e provette di Diego Castelli
Una protagonista premio oscar, un romanzo di successo, una storia di riscatto al femminile: a Apple piace vincere facile
L’altro giorno il Villa mi scrive e mi fa: “Ho visto la prima puntata di Lessons in Chemistry e c’è una cosa che proprio mi infastidisce: sembra una storia vera ma non lo è.”
Lessons in Chemistry è la nuova serie di Apple Tv+ tratta dal romanzo omonimo di Bonnie Garmus, e per quanto sia uno show di alto valore produttivo, che non possiamo che mettere in una posizione abbastanza alta della nostra classifica, è anche una storia che si porta dietro qualche stranezza, che crea qualche corto circuito che in sede di recensione potrebbe diventare perfino più interessante di tutte le cose che la serie fa effettivamente bene.
Adattata per la tv da Lee Eisenberg, che ha un curriculum che spazia da The Office a WeCrashed, Lessons in Chemistry vede il premio oscar (nonché Captain Marvel) Brie Larson nei panni di Elizabeth Zott, una laureata in chimica che negli anni Sessanta vorrebbe fare per davvero la ricercatrice, ma viene continuamente messa in disparte da colleghi maschi che vedono in lei solo un semplice tecnico di laboratorio a cui eventualmente far fare i caffè per tutto l’ufficio.
La storia, fin dalla locandina che vedete in alto, gira intorno a uno specifico twist, cioè il fatto che Elizabeth, appassionata di cucina oltre che di chimica (con un preciso filo rosso a unire le due attività, perché in fondo saper cucinare significa saper usare la chimica per trasformare gli ingredienti nel piatto finito) a un certo punto smette di lavorare in laboratorio per dedicarsi a un programma di cucina in tv. Programma con cui, però, Elizabeth punta a insegnare la chimica alle tante signore all’ascolto da casa.
I primi due episodi finora disponibili, in realtà, parlano relativamente di questa seconda attività, perché descrivono il “prima”: sono il racconto preciso dei motivi che hanno portato una scienziata brillante e certamente non interessata ai riflettori, a cambiare in maniera così radicale la propria vita.
Si diceva di alcuni corto circuiti che in parte possono essere considerati dei difetti e in parte elementi interessanti di analisi.
Vale la pena iniziare, però, dal riconoscere a Lessons in Chemistry (che in italiano trovate come “Lezioni di Chimica”, per fortuna) il fatto di essere una buona serie tv.
C’è un livello produttivo di tutto rispetto, una ricostruzione credibile degli anni Sessanta, e una scrittura che sceglie consapevolmente di non buttarsi subito nell’elemento più originale della trama (cioè il programma di cucina) per prendersi il tempo di prepararlo al meglio, spiegando con cura non solo gli eventi che portano a quella scelta, ma anche la psicologia molto precisa della protagonista, che è fatta di un carattere particolare, di eventi traumatici, di improvvise novità e speranze, di aspre delusioni.
Tutto questo prima che inizi la vera storia, quella pubblicizzata dai promo e dalle brevi sinossi che trovate in giro per internet. Una scelta rischiosa eppure vincente, perché i primi due episodi, per quanto tecnicamente preparatori, sono anche densi di avvenimenti importanti che meritano di essere raccontati come si deve.
Lessons in Chemistry è una storia femminista, che non fa nulla per mascherare il suo impegno politico. Nel corso dei primi due episodi, Elizabeth è vittima di una lunga serie di piccole e grandi vessazioni, molte delle quali suonano attuali anche se la trama è ambientata negli anni Sessanta.
La difficoltà, per la protagonista, di essere presa sul serio da quelli che dovrebbero essere suoi pari, è raccontata in modo esplicito, dichiarato, senza troppe sottigliezze, e il risultato è una frustrazione crescente sia per Elizabeth sia per gli spettatori, che non si placa nemmeno quando la donna, incontrato un affascinante scienziato famoso che crede davvero nelle sue capacità (Calvin Evans, interpretato da Lewis Pullman), riesce a fare qualche passo avanti, ma sempre perché c’è qualcuno che la spinge.
In termini strettamente emotivi è il risultato migliore delle prime due puntate, benché sia quello raggiunto nel modo più grezzo possibile: dal punto di vista della condizione lavorativa e sociale della protagonista, Lessons in Chemistry non sceglie le sottigliezze da film d’autore, ma picchia duro sul tasto di una discriminazione esplicita.
Potrebbe essere un problema, qualora un discorso politico così evidente non venisse sostenuto da una scrittura e messa in scena di livello, con il rischio di presentare un semplice manifesto con poco spessore artistico.
Questo problema viene evitato proprio in virtù di una capacità evidente di costruire un racconto che funziona e che bilancia in modo efficace molte anime diverse, compresa una vena romantica mai stucchevole e, peraltro, molto utile alla narrazione.
E qui arriviamo alla prima sensazione “stravagante”, di cui parlava il Villa.
Perché effettivamente Lessons in Chemistry sembra una storia vera, anche se non lo è. È perfino difficile descrivere con precisione questo concetto, che attiene a precise scelte di messa in scena, di ambientazione (se una serie è ambientata in un passato visivamente realistico, è naturale chiedersi se provenga effettivamente dalla Storia), ma anche di contesto, perché la serie di Apple Tv+ arriva in un momento seriale in cui la maggior parte delle serie “fatte così” è effettivamente tratta da una storia vera e si può dunque essere facilmente ingannati.
La domanda è: il fatto che non sia una storia realmente accaduta benché lo sembri, le fa perdere dei punti? Cioè, capiamoci, è ovvio che la storia del cinema e delle serie tv è piena di vicende inventate di sana pianta, ma che riescono comunque a essere emozionanti e di grande ispirazione. Ma se una serie sembra vera, facendo scattare quei meccanismi psicologici tali per cui si trae piacere dal conoscere una storia realmente accaduta, salvo poi scoprire che non lo è, può suscitare uno strano eppure sincero “ah vabbè, ma non è successo veramente”.
Non è l’unico corto circuito di Lessons in Chemistry, e possiamo evidenziarne almeno un altro, che riguarda proprio la protagonista.
Nel descrivere Elizabeth come donna diversa dalle sue contemporanee, una donna appassionata di scienza e di “cose importanti”, con esplicito contrasto fra i suoi interessi e quelli di molte sue colleghe che fremono per il concorso di bellezza dell’azienda e per il gossip dell’ufficio (la sfida di Elizabeth non è dunque solo contro gli uomini, ma anche contro le donne che hanno interiorizzato il patriarcato), la serie si spinge fino a costruire il personaggio come se fosse Sheldon Cooper.
Elizabeth è ossessionata dalle strutture rigide, sembra a disagio in qualunque contesto sociale, appare incapace di cogliere le sfumature politiche delle relazioni umane, rimanendo fissata solo sui suoi interessi accademici e sperimentali. Nemmeno la passione per la cucina e la possibilità dell’amore sembrano salvare Elizabeth da questa sua palese alterità rispetto a tutto il resto.
La scelta, sia ben chiaro, è del tutto legittima, narrativamente efficace, e perfino molto classica, perché di personaggi maschili così sono pieni gli schermi.
Mi chiedo però se, all’interno di una serie dal messaggio politico così chiaro e così attuale, non si rischi di far passare un sotto-messaggio non proprio edificante, del tipo: care ragazze, non provateci nemmeno ad eccellere, se non siete così clamorosamente geniali e diverse da tutte le altre. O anche: non ti azzardare a farti piacere cose frivole, perché se ti piacciono cose frivole significa che non vali abbastanza e non hai diritto a niente.
Naturalmente sto un po’ estremizzando. È del tutto probabile che per la maggior parte delle ragazze alla visione Lessons in Chemistry possa rappresentare una storia altamente aspirazionale e da battaglia, così come è probabile che anche chi non dovesse avere bisogno di quel messaggio, potrà semplicemente godersi la svolte e le emozioni della trama.
Sono però delle tensioni e delle scelte che credo dicano molto del periodo che stiamo vivendo, dentro e fuori i prodotti di finzione: un periodo di poche sfumature, di messaggi espliciti, di impegni dichiarati, che in qualche modo impongono la ricerca di nuovi equilibri nell’uso di tecniche inizialmente concepite per prodotti un po’ diversi.
Lessons in Chemistry sembra appartenere alla versione più riuscita di questo cambio di paradigma, perché è una serie esplicitamente militante ma che non dimentica il suo ruolo di intrattenimento di qualità su una piattaforma a pagamento, eppure non può eliminare del tutto certe frizioni fra vecchio e nuovo che sembrano inevitabilmente parte di questo specifico momento storico.
Aspettiamo i prossimi episodi per capire che direzione finirà col prendere. Se saranno necessarie riflessioni differenti, ci risentiamo.
Perché seguire Lessons in Chemistry: è una storia ben raccontata, molto attuale e capace di smuovere emozioni forti.
Perché mollare Lessons in Chemistry: il suo impegno politico è così netto, che potrebbe infastidire chi cerca intrattenimenti più sfumati o, comunque, meno militanti.