30 Agosto 2023

The Winter King – Il Trono di Spade di Re Artù di Diego Castelli

Una rivisitazione interessante, ma soprattutto ben scritta, del vecchio mito arturiano

Pilot

Nel meraviglioso ed economicamente spossante mondo multipiattaforma che viviamo ormai da qualche anno, qui a Serial Minds abbiamo cercato di dare sempre più spazio alle recensioni di serie tv che fossero effettivamente disponibili in Italia (subito o con una data certa), tenendo gli altri prodotti, quelli non immediatamente a portata di clic, un pochino in secondo piano.
Questo, naturalmente, salvo eccezioni che possono diventare necessarie quando una serie sembra migliore delle altre, e suggerisce quindi un qualche tipo di sforzo per recuperarla.

Ecco, oggi vale la pena fare una di quelle eccezioni. Parliamo di The Winter King, serie inglese disponibile in Gran Bretagna su ITVX (servizio in streaming della rete ITV) e negli Stati Uniti su MGM+, anche se non ce n’è traccia sul MGM+ italiano, canale disponibile sia su Prime Video che su Infinity.
La storia è quella di Re Artù, l’aspetto è quello di Robin Hood – Principe dei Ladri, il mood tende a scivolare verso Game of Thrones.

Creata da Kate Brooke ed Ed Whitmore, la serie è in realtà tratta da una trilogia letteraria di Bernard Cornwell (chiamata The Warlord Chronicles), che mescolava storiografia e leggenda per costruire una rilettura del ciclo arturiano che riuscisse a incastrare meglio la figura mitica del sovrano britannico in un contesto storico più accurato, con tutte le fascinazioni ma anche i rischi del caso.

Al momento della sua trasposizione in serie tv, quello che otteniamo è un prodotto che ci trasmette un maggiore senso di realismo rispetto a, che ne so, La Spada nella Roccia, anche se naturalmente si muove in uno spazio fluido in cui una massa di personaggi completamente inventati (benché molto conosciuti da secoli) agisce in un contesto che ci sembra molto più adulto e “vero” rispetto alle favole e alle leggende della tradizione, magari mescolate, nel nostro ricordo, a cartoni animati particolarmente fantasy.

Il protagonista, neanche a farlo apposta, è Arthur (interpretato da Iain De Caestecker, che ricordiamo soprattutto per il suo Fitz si Agents of S.H.I.E.L.D.), figlio illegittimo di Uther Pendragon (Eddie Marsan di Ray Donovan), anziano e incarognito re di Britannia che combatte contro i Sassoni cercando al contempo di garantirsi una discendenza.

Senza entrare troppo nel dettaglio della trama, fin dall’inizio Arthur viene allontanato dalla corte e si prepara a una vita in esilio, se non fosse che a un certo punto, per motivi che non stiamo a specificare, il regno avrà nuovamente bisogno di lui, al punto che Merlino (Nathaniel Martello-White), suo vecchio tutore, dovrà andarlo a cercare per dirgli “oh, se non torni finisce male”.

E da qui parte tutto il resto della storia che in parte già conosciamo (Ginevra, Lancillotto ecc), e che nei primi due episodi finora visionati è ancora solo in potenza.

A piacermi, di questi due episodi, non è tanto il loro piglio realistico, che può sempre essere oggetto di polemiche e confutazione (partendo dai vestiti e passando per le scenografie, arrivando all’inclusività: non solo Merlino è nero, ma vive in una comunità piena di neri, che in teoria nel V secolo erano ben lontani dall’arrivare in Inghilterra in una quantità tale da non essere notati in quanto tali).

A piacermi sono cose molto più basiche e importanti come scrittura e recitazione.
The Winter King è potenzialmente una serie complicata, perché tratta di intrighi, famiglie nobiliari e politica, ma è anche un racconto che sa individuare alcuni specifici punti di forza che mirano dritti alla pancia degli spettatori: il fastidio provato da Uther nei confronti del figlio illegittimo, i giochi di sottomissione e ribellione al potere del sovrano, il senso generale di precarietà del regno, che ci appare dipendere da una cosa così fragile come la nascita di un bambino.

È uno scenario teso e pericoloso, in cui la sceneggiatura piazza sapientemente alcuni virogosi scoppi di violenza e di epica: quando la serie deve mostrare la malvagità, lo fa senza freni. Quando racconta la follia e la paranoia, le sentiamo vibrare sottopelle. Quando Arthur, che pure è un ragazzo mingherlino e non particolarmente imponente, deve trasformarsi nel potenziale salvatore della patria, lo fa dopo che, come spettatori, siamo stati debitamente istruiti sul macello che sta succedendo senza una guida sicura (e non troppo stronza) della nazione.

Tutta questa scrittura efficace è resa tale anche da un parco attori di livello, che regge bene il peso di una storia ormai plurisecolare.
Oddio, a dirla proprio tutta, ci potrebbe essere qualche dubbio sul protagonista e su Merlino (non esattamente due personaggi secondari) che in queste prime battute potrebbero anche risultare poco credibili, ma è più che altro una questione di aspettative: Arthur è ancora molto giovane, e Merlino trasmette questa vibe da druido della foresta, più che da mago di corte. Due aspetti che frizionano con le nostre aspettative.
Questo però può anche essere un pregio (e in effetti lo è) nella misura in cui ci dà l’idea di una ventata di novità che smuove un po’ le acque rispetto a una lunga tradizione.

Nello specifico, poi, trovo che Iain De Caestecker avesse già ai tempi di Agents of S.H.I.EL.D. una “gravitas” pure eccessiva rispetto a uno show che si voleva scanzonato, mentre ora la mette a frutto con un personaggio ancora giovane e ardimentoso, ma anche serio, pronto alla responsabilità.

A rubare la scena dei primi due episodi, però, è proprio Eddie Marsan, ovvero re Uther, che in pochi minuti deve passare attraverso diversi stati, da re incazzato a sovrano fragile, da padre vendicativo a paranoico difensore della linea di sangue. Tante facce diverse, tutte però utili alla creazione di una tensione che, malgrado due episodi forse troppo lunghi, non viene mai a mancare.

Non è tutta qui la storia, perché c’è una seconda metà della serie che parla di ragazze destinate al druidismo ma attirate dall’amore, giovani ragazzi scampati alla guerra che cercano di ricostruirsi una vita, e altre piccole sottostorie che arricchiscono le vicenda, non tutte forti allo stesso modo, ma avete capito l’andazzo.

Nel complesso, sarà pure per il titolo The Winter King (che non può essere tacciato di furberia, visto che è lo stesso del primo romanzo della trilogia, scritta a metà anni Novanta), a passare è un piacevole aroma da Game of Thrones prima maniera, quando più che dagli effetti speciali eravamo stupiti dall’affilatezza dei personaggi e dagli scoppi improvvisi di violenza.
Metto le mani avanti, non sto minimamente sostenendo che The Winter King sia “la nuova Game of Thrones“, temo che (almeno al momento) non ne abbia né i mezzi né l’ambizione.
Ma quando guardi un prodotto che è scritto con criterio e messo in scena con forza, beh, te ne accorgi.

Perché seguire The Winter King: interessante rivisitazione del mito arturiano, con una discreta capacità di appassionare e smuovere emozioni.
Perché mollare The Winter King: gioca con la tradizione in modo spregiudicato, e può non piacere a tutti.

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