Full Circle: Steven Soderbergh fra criminalità e riti strani di Diego Castelli
Un grande cast e un regista premio oscar per un crime che non è esattamente il solito crime
Di solito, quando guardiamo un drama a sfondo criminale, i personaggi non fanno molti errori. Voglio dire che, solitamente, ci sono dei criminali capaci e dei detective altrettanto capaci, e la sfida è fra due bravure, più che fra due inettitudini.
Poi certo, prima o poi qualcuno un errore lo commette, ma lo viviamo come l’inciampo di chi sta correndo davvero forte, e che quindi correva l’effettivo rischio di cadere.
Ecco, guardando i primi due episodi di Full Circle, nuova miniserie di MAX (cioè la ex HBO Max, ancora inedita in Italia), che pure sono abbastanza ricchi di spunti, mi ha colpito soprattutto questo: che si sia deciso di raccontare anche e soprattutto le conseguenze di un errore madornale, accettando la sfida di rendere la storia interessante proprio per quello.
Scritta da Ed Solomon (già sceneggiatore, fra gli altri, di Men in Black e Now You See Me) e diretta dal buon vecchio Steven Soderbergh, regista premio oscar per Traffic e firma di tanti film abbastanza memorabili, Full Circle ha una trama abbastanza particolare, che proverò ad esporre senza lasciar cadere lo spoiler più gustoso (che comunque si scopre già nella prima puntata).
Il pilot si apre sul funerale del cognato di una boss del crimine, Mrs. Mahabir (CCH Punder), originaria della Guyana. Il morto è stato ucciso nell’ambito di una guerra fra bande criminali, ma di questo ci interessa fino a un certo punto.
Quello che davvero importa è che Mrs. Mahabir fa una capatina in Guyana, e parlando con una specie di santone locale si convince del fatto che la sua famiglia è stata colpita da una maledizione. Per scioglierla, il santone le dà alcune precise istruzioni, la più importante delle quali riguarda il rapimento e l’assassinio del figlio di una ricca famiglia bianca di New York.
Solo con questo atto perpetrato su una famiglia che (a quanto ci è dato sapere al momento) non ha nulla a che vedere con lei, Mrs. Mahabir riuscirà a spezzare la maledizione.
E a questo punto conosciamola questa famiglia, al cui interno troviamo un bel po’ di vecchie conoscenze: i genitori di Jared, il ragazzo preso di mira, sono interpretati da Claire Danes e Timothy Olyphant, mentre il nonno (famoso chef della tv) ha il volto di Dennis Quaid.
Qui arriverebbe il momento dello spoiler, per il quale mi limiterò a dire che qualcosa, nel rapimento, non va come dovrebbe, viene commesso un grosso errore, e da lì in poi, inevitabilmente, Full Circle devia dalla solita strada della persona rapita e di chi la cerca, per trovare una via tutta sua, in cui parte dell’intrattenimento sta nel guardare i personaggi girare in tondo a cose che lo spettatore conosce, ma che loro non sanno, in attesa di vedere cosa succederà quando si accorgeranno di aver toppato alla grande (ma la generazione Z, ammesso che ci legga, sa cosa vuol dire “toppare alla grande”?).
A descriverla così potrebbe effettivamente sembrare un dramedy, perché l’elemento comico-ironico poteva essere dietro l’angolo.
In realtà, però, non c’è proprio niente da ridere. Per quanto bizzarra (a partire da un’azione criminale che si muove sulla base di una palese superstizione), la trama è smaccatamente thriller, e Soderbergh la mette in scena senza mezzi termini: camera a mano per avere un’immagine sempre traballante, precaria e per questo ansiogena, montaggio serrato, attori e attrici chiamati a interpretare lo stress costante del non-detto e del non-saputo, con l’arrivo continuo di nuove informazioni a sparigliare le carte.
L’ambientazione è esclusivamente notturna, le luci sono quasi sempre e quasi solo quelle dei lampioni o di lampade molto tenui, che lasciano ampie zone d’ombra dalle quali i personaggi continuano ad entrare e uscire, ingigantendo ulteriormente la sensazione di disagio.
Questo non toglie, comunque, che ci sia qualcosa di distonico, di deviante, rispetto a ciò a cui siamo abituati ad assistere in questo tipo di storie, e un’ironia di fondo effettivamente sembra spuntare, anche se su un piano esistenziale più che di genere.
Il “cerchio completo” del titolo fa riferimento sia ad alcune pratiche che Mrs. Mahabir deve mettere in campo per rompere la maledizioni, sia a un’idea più generale di destino che continuamente ritorna e che tutto ripara (o che tutto distrugge).
L’ironia dunque è quella della sorte, che prende questi personaggi e li manovra come pupazzi, togliendogli molto libero arbitrio, buttandoli in un’arena di cui conoscono solo parte delle regole del gioco.
Il tutto sullo sfondo di una New York affascinante ma anche pericolosa, percorsa da culture diverse fra le quali il dialogo è particolarmente complesso (parte dei problemi sembra derivare perfino dall’incapacità di riconoscersi e di distinguersi).
Quindi un’idea interessante, un bel cast, e la mano non banale di Steven Soderbegh.
Fin qui, tutto bene.
Quello su cui Full Circle fa un po’ fatica, e non è nemmeno un dettaglio, è la facilità di accesso. Fin dal minuto uno, la serie stordisce lo spettatore con un gran numero di facce, nomi e situazioni diverse, sballottandolo in una trama che, nei primissimi minuti, può essere respingente proprio per la sensazione di “cosa diavolo sto guardando”.
Se si riesce a stringere i denti e rimanere concentrati, i primi due episodi riescono effettivamente a costruire una buona tensione e a dare l’impressione di qualcosa di originale.
Resta da capire in che modo Full Circle svilupperà la sua storia per tutti e sei gli episodi. Il suo taglio “strano” è la sua prima attrattiva, ma anche una potenziale trappola: se ci discosta dai canoni collaudati, il rischio di perdere la bussola è più alto.
Però insomma, è pure giusto prendersi qualche rischio.
Perché seguire Full Circle: è un drama-crime con una sua originalità strutturale, un bravo regista e ottimi interpreti.
Perché mollare Full Circle: è molto scuro e inizialmente abbastanza ostico. Bisogna rimanere concentrati e concedergli tutta l’attenzione possibile.