28 Giugno 2023

I’m a Virgo su Prime Video – Piccoli giganti crescono di Diego Castelli

I’m a Virgo è una delle serie più strambe e originali che vedrete in questo periodo. Evviva!

Pilot

Quando guardi tante serie tv, per passione, lavoro, hobby, quello che volete, inevitabilmente maturi un certo gusto per le cose pazzerelle. Perché sì, puoi anche avere una passione specifica per certi generi molto codificati (il procedural, il medical ecc), ma quando poi vedi qualcosa che ti suona realmente originale, la differenza la vedi, per lo meno nelle intenzioni.

Per questo era inevitabile provare un’istintiva curiosità per I’m a Virgo, nuova serie di Prime Video creata da Boots Riley (ex rapper passato alla sceneggiatura e alla regia, noto per la surreale commedia Sorry to Bother you).
Una serie che parte da una premessa stramba, che si sviluppa su direttrici altrettanto strambe e con una messa in scena tutta particolare, per arrivare a riflessioni politico-sociali niente affatto astruse, ma che sono comunque stranianti rispetto al mondo seriale in generale, dove di solito non ci si addentra in questioni politiche così esplicite, o per lo meno lo si fa in modo più laterale.

Cootie, interpretato da Jharrel Jerome (Mr. Mercedes, When They See Us), sarebbe un ragazzo nero come tanti, abitante a Oakland, in California. “Sarebbe” perché ha un vistosa particolarità: è alto quattro metri.

Un vero e proprio gigante che quando era neonato era grosso come un vitellino, e che ora vive con gli zii in una casa in cui deve stare sempre chino, perché altrimenti sfonda il soffitto.
Da diciannove anni a questa parte, gli zii hanno nascosto Cootie al mondo, sapendo che prima di buttarlo nella mischia della realtà avrebbero dovuto prepararlo a tutte le possibili conseguenze, prima fra tutte un’attenzione morbosa da parte dei media e magari pure della giustizia.

Le cose però non vanno esattamente come previsto: affamato di conoscenza e contatto umano, Cootie entra conosce dei ragazzi del quartiere che lo portano fuori di casa e gli fanno vedere la città.
Cootie conosce il mondo e il mondo conosce Cootie, e da lì inizia una spirale di opportunità e casini che comprendono anche ragazze superveloci, gente rimpicciolita, e un supereroe “alla Batman” (nel senso di riccone che spende i soldi in super-tute) interpretato da Walton Goggins.

Come avete visto, già solo il concept di I’m a Virgo (tradotto malamente e/o furbescamente in italiano con “Sono Vergine”, quando la traduzione corretta sarebbe “Sono della Vergine”) solletica la curiosità, ma naturalmente c’erano molti modi di banalizzarlo comunque, per esempio costruendo una classica storia supereroistica in cui un personaggio con un particolare potere deve trovare la sua strada da giustiziere in mezzo al mondo.
Fortunatamente questo non succede, perché anche il supereroismo, che comunque è un tema importante della serie, è trattato in modo molto peculiare, distorto attraverso filtri non comuni nelle serie americane.

Certo, alla superficie di tutto, al livello del purissimo intrattenimento, c’è la storia di questo ragazzo enorme che deve trovarsi nuovi amici, magari anche una fidanzata (che fa la cassiera in un fast food e ha il potere della super velocità), e poi uno scopo nella vita, che potrebbe appunto essere quello di combattere i malvagi.

Ma già solo nella definizione di questi potenziali cattivi, la serie mostra tutto il suo potenziale filosofico e politico, trasformando le sue suggestioni fantasy in metafore molto esplicite.

Bastano un paio di episodi per rendersi conto di alcune delle riflessioni centrali portate avanti da Boots Riley.
Una delle principali, per un autore che si definisce attivista comunista, è la questione di classe, che si mescola alla questione razziale sempre ai primi posti negli Stati Uniti.

Cootie è nero, e viene da un quartiere relativamente povero, dove la gente fa lavoretti sottopagati elargiti da grandi compagnie ricche e sfruttatrici.
Il personaggio centrale in questo senso è Jones (Kara Young), una ragazza dotati di particolari poteri di proiezione psichica con i quali è capace di entrare nella testa delle persone per mostrargli certe verità con ardite sequenze oniriche.

Jones è un’attivista, lotta contro l’avidità dei potenti e nel corso della prima stagione di I’m a Virgo si impegna per promuovere uno sciopero nel quartiere che ridia un po’ di potere al lavoratori.
La sua attività politica è estremamente esplicita e descritta in modo minuzioso, con intere scene di smaccato anticapitalismo, costruito con ampia creatività visiva ma anche con un piglio descrittivo volutamente didascalico, da “comunismo for dummies”.

In questo cornice, la vicenda di Cootie assume subito tratti metaforici.
Il protagonista non è solo “un ragazzo alto quattro metri”, bensì “un ragazzo nero-e-povero alto quattro metri”.
E cosa succede a un ragazzo che vorrebbe essere un supereroe, ma è nero e povero? Se è Miles Morales diventa Spider-Man, ma nel fantasy ideato da Boots Riley, molto più centrato sulle contraddizioni della realtà, agli occhi del mondo diventa un cattivo ideale.

Un nero di quattro metri? Beh, non potrà che essere pericoloso, giusto?
Pare questa la domanda che si fanno tutti quelli che non siano i vicini di casa di Cootie, e di certo è la domanda che si fa The Hero, giustiziere autoproclamato che diventa simbolo di un modo molto preciso di inquadrare la questione razziale e in generale l’amministrazione della giustizia.
The Hero, che è ricco e bianco al punto da avere anche l’armatura bianca, ama essere un eroe, ama costruire per sé (anche attraverso un fumetto di sua creazione) questa narrazione semplicistica, e per sostenerla non fa altro che andare per quartieri neri e poveri a cercare disordini da sedare, senza minimamente rendersi conto (questo ci dice la serie) che i veri cattivi stanno altrove.

Cootie è un grande fan di The Hero, per lo meno in quanto lettore dei fumetti, ma quando incontra quello vero non può che notare uno scollamento fra gli ideali del personaggi di carta, e la reale condotta di un uomo talmente ricco ed egoriferito, che l’appartamento in cui vive e lavora ha un ascensore “al contrario”: non è l’ascensore che sale e scende, è tutto il resto dell’edificio che si sposta in alto e in basso, per dare a Jay Whittle (questo il nome del personaggio) l’accesso ai vari piani.

Non solo: oltre al rapporto sbilanciato fra The Hero e la gente del quartiere, ci sono i mass media che con la loro forza rappresentativa impongono questa o quella narrazione della realtà, per esempio evitando accuratamente di andare da Cootie per conoscerlo, e lasciando che sia la gente che non ne sa niente ad esprimere i propri pregiudizi e sparare vere e proprie invenzioni.

Insomma, avete capito che I’m A Virgin non è il classico fantasy, o la classica serie supereroistica.
È invece è un racconto che prende le mosse da un’idea particolare, trovando il modo di diventare un romanzo di formazione, ma anche un’appassionata lezione di filosofia ed economia, ma anche un modo per raccontare le disuguaglianze, la lotta di classe, il buon vecchio proletariato urbano, mescolando influenze e stili diversi.

In termini di messa in scena, non c’è meno creatività di quella messa nella sceneggiatura: ci sono effetti speciali “vecchia scuola”, legati alle tecniche di ripresa più che alla CGI, per rappresentare le dimensioni di Cootie. C’è una scena di sesso tenera e strana per cercare di raccontare le difficoltà di un ragazzo che evidentemente non può fare sesso come tutti gli altri (ma che proprio questo diventa iperbole e metafora delle ansie di qualunque adolescente). Ci sono cartoni animati super-dark e sogni comunisti che paiono installazioni teatrali sperimentali.

Insomma, non c’è un solo momento di I’m a Virgo dove si possa prevedere con assoluta precisione cosa accadrà al minuto successivo, perché in questo festival del surreale tutto può succedere, e probabilmente succederà.

Ma quindi è la serie dell’anno? La botta di originalità che spazza via tutto il resto?
Momento.

Sicuramente, I’m a Virgo è una serie che mi sento di consigliare senza se e senza ma, perché in pochi, rapidi episodi mette in campo una tale quantità di idee e riflessioni, che vale come altre 4-5 serie messe insieme.
Pure se doveste trovarvi a non condividere certe affermazioni o “lezioncine”, la cura messa nella loro articolazione a schermo merita comunque la vostra attenzione.

C’è però qualcosa che manca, e che manca anche in virtù dell’impostazione vistosamente surreale e straniante che è la cifra della serie.
Manca un po’ di semplice passione per i personaggi. Guardando I’m a Virgo è facile incuriosirsi per la grande originalità del tutto, ma è altrettanto facile dedicare alla serie un interesse prima di tutto intellettuale, tutto relegato nel cervello.

Quello che manca, e non è una mancanza da poco, è la capacità di legare le nostre emozioni al vissuto dei personaggi, alla stessa crescita di Cootie, alle battaglie identitarie dei protagonisti. Si guarda I’m a Virgo come un gustoso esperimento filosofico e seriale, ma non ci si ritrova a stringere i braccioli della poltrona pregando a bassa voce per questo o quel destino, non si finisce la visione con la sensazione di essere stati trascinati in una storia che ci ha ribaltato il cuore e lo stomaco, oltre che la testa.

Non è un peccato mortale, per una serie che ha così tanto altro da raccontare. Resta però il limite vistoso di un prodotto altrimenti eccellente, che però sceglie di misurarsi in un’arena in cui la capacità di provare sincero entusiasmo, oltre che accademica curiosità, resta un elemento troppo importante per non essere minimamente contemplato.

Ah, e ci sarebbe un’ultima nota da scrivere, un po’ più cinica.
Quando vedo un autore che scrive e dirige una serie appassionatamente anticapitalista, in cui molte scene sono spese per raccontare l’avidità dei ricchissimi ai danni dei poveracci, diventa più difficile alzare il pugno chiuso se quello stesso racconto viene offerto da un’azienda come Amazon.
Cioè, ehm… awkward…

Perché seguire I’m a Virgo: è una delle serie più originali degli ultimi tempi, a tutti i livelli.
Perché mollare I’m a Virgo: genera un piacere soprattutto intellettuale, ma poco viscerale.



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