The Crowded Room su Apple Tv+ – 4 ore per avere una cosa interessante di Diego Castelli
Tom Holland e Amanda Seyfried protagonisti di un thriller psicologico che nei primi quattro episodio è moscio e, probabilmente, mal centrato
Dopo che Apple Tv+ aveva fatto uscire contemporaneamente i primi tre episodi di The Crowded Room, ho voluto comunque aspettare di vedere il quarto prima di scriverne. Questo perché ero rimasto abbastanza infastidito dal fatto che, in tre interi episodi, una serie scritta da un premio oscar come Akiva Goldsman, e interpretata da gente del calibro di Tom Holland, Amanda Seyfried ed Emmy Rossum, non era riuscita a farmi provare praticamente alcun interesse.
È possibile che il fatto che abbiano scelto Emmy Rossum per interpretare la madre di Tom Holland, quando fra i due ci passano solo dieci anni e Emmy Rossum sembra sempre giovane, sia stato un primo momento di straniamento che mi ha impedito di immergermi a dovere nella trama, ma temo che le cose sia meno semplici di così.
Andiamo con ordine.
The Crowded Room, basata sul romanzo The Minds of Billy Milligan di Daniel Keyes (in italiano Una stanza piena di gente) del 1981, racconta la storia di Danny (Tom Holland), un ragazzo che, nel 1979, viene arrestato per un crimine per poi venire a lungo interrogato dall’esperta Rya Goodwin (Amanda Seyfried) che insieme a lui cerca di ricostruire l’accaduto e la travagliata vita del giovane fino a quel momento.
E qui incontriamo già uno scoglio interessante.
The Crowded Room, come detto, è tratta da un libro, che però non è un romanzo, bensì un testo di non-fiction che racconta una vita vera, quella del Billy Milligan che dà titolo all’edizione originale del libro, e che diventa Danny nella serie di Apple Tv+.
Questa informazione, che Apple ha fornito fin da subito, può facilmente spingervi a cercare su wikipedia o su qualunque altro sito la storia di Billy Milligan, scoprendo così nel giro di cinque secondi il principale twist narrativo su cui si basa The Crowded Room.
Ora, visto che si parla dichiaratamente di una storia vera, io non dovrei sentirmi minimamente in dovere di nascondere quel twist, perché sarebbe come scrivere una recensione su una serie dedicata a Cristoforo Colombo, nascondendo deliberatamente il fatto che alla fine il buon genovese arriverà in un posto che non è esattamente l’India.
Per dirla in altro modo, scrivere una serie su una storia vera, soprattutto nel 2023, dovrebbe significare trovare il modo di rendere interessante quella storia senza dare per scontato che le persone che la guardano non ne sappiano nulla.
Siccome però un nostro assiduo lettore e ascoltatore ci ha detto che abbiamo spoilerato con troppa leggerezza quando abbiamo presentato la serie nella relativa puntata del nostro podcast Salta Intro (in un momento in cui avevamo visto solo un trailer), voglio accogliere questa richiesta di surplus di cautela, e provare a parlarvi della serie senza contemplare lo svelamento del twist.
Potrebbe non essere semplicissimo, considerando che proprio la conoscenza pregressa del twist ha influenzato il mio giudizio sui tre episodi iniziali – colpevoli di fare pacchianamente gli gnorri rispetto al twist che sta per arrivare – ma temo che i problemi di The Crowded Room vadano ben oltre quel singolo problema.
Sì perché il tema, con The Crowded Room, non è tanto il fatto che si aspetti troppo a introdurre un pezzo importante di narrazione che buona parte del pubblico probabilmente già conosce. È che proprio non succede niente.
Nella prima scena della serie vediamo Tom Holland che, in compagnia di una ragazza (Ariana, interpretata da Sasha Lane), pedina un tizio sconosciuto fino al momento in cui, teoricamente, dovrebbe sparargli, cosa che però non riesce a fare, costringendo la sua amica a entrare in azione, senza però riuscire a uccidere la misteriosa vittima.
Quando Danny viene arrestato, viene poi condotto al cospetto di Rya, la donna che lo interrogherà, e che comincia a esplorare la vita e il passato di Danny, nel tentativo di trovare una quadra a un po’ di elementi che non sembrano tornare come dovrebbero, non aiutati dal fatto che il ragazzo, come sottolineato anche più volte nel trailer, ha dei vuoti di memoria.
Nei primi tre episodi, e in buona parte del quarto, non c’è assolutamente nulla di interessante.
Il racconto di Danny non è particolarmente accattivante, e il tentativo di tessere una trama gialla che complichi quella che dovrebbe essere la semplice vita di un adolescente, si risolve in una giustapposizione di nomi e facce che mostra poca coerenza e poca organicità.
Soprattutto, per quasi quattro intere puntate ci manca uno scopo. Considerando che Danny viene arrestato per un crimine tutto sommato di poco conto (non ha effettivamente ammazzato nessuno), non capiamo perché ci dovremmo appassionare alla storia di questo tizio. Che ce ne frega esattamente di lui, della sua vita, di sua madre che viene da Shameless?
La risposta a questa domanda, paradossalmente, può venire solo da chi già sa perché questo tizio è diventato famoso. Ma se sa perché è diventato famoso, se quindi conosce il famoso twist, allora il problema è ribaltato, perché del famoso twist non si parla per quattro interi episodi (su dieci totali), rendendo questo brodo così allungato da essere quasi insostenibile.
Alla fine della quarta puntata, invece, il twist viene rivelato. Forse non in modo “così” esplicito, ma insomma, se a quel punto non hai capito dove va a parare la storia, sono pure problemi tuoi. E quindi arriva un momento in cui si sarebbe tentati di dire “ok, adesso diventa interessante”.
Questo perché, una volta liberati da ‘sta spada di Damocle, possiamo pensare che l’intera messa in scena subisca una modifica prima di tutto narrativa, in cui l’interesse di chi guarda non stia nella risoluzione di un enigma, quanto nella descrizione creativa di una situazione alquanto bizzarra, compresi cambi di location e slanci verso il futuro (perché la storia, nel suo complesso, segue diverse tappe anche molto diverse).
Proprio per questo motivi ero stato tentato di aspettare anche il quinto episodio, e magari anche il sesto, e perché allora non tutta la serie, come alle volte qualcuno ci chiede di fare, perché infastidito dal fatto che la recensione di questo o quel pilot non è andata come sperava.
Ho deciso di scrivere dopo il quarto perché, pur vedendo il possibile spiraglio verso un miglioramento, non si può non denunciare il fatto che, per quattro episodi su dieci, The Crowded Room non riesce a essere mai davvero interessante, mai davvero ispirata.
Perché alla fine, nel nostro presente così pieno di serialità da tutte le parti, diventa ancora più importante una regola che anche le piattaforme dovrebbero aver ereditato dai giorni gloriosi della tv generalista, quelli in cui la gente era disposta a concederti un quarto d’ora prima di farsi tentare dello zapping (che al giorno d’oggi comprende anche lo schermo del cellulare): lo spettatore lo devi catturare subito, e se gli chiedi quattro ore (o forse più) del suo tempo prima di offrirgli qualcosa di succoso, poi non ti puoi lamentare se quello se ne va.
E se la sceneggiatura zoppica e sbanda (dopo l’oscar per lo splendido A Beautiful Mind, Akiva Goldsman ha scritto film sempre meno riusciti, forse sta navigando verso la pensione), non troviamo gioia nemmeno nella messa in scena, abbastanza ordinaria per uno show che dovrebbe essere pieno di suspense psicologica, e soprattutto nel cast: tutti ridotti al compitino, a partire da un Tom Holland che in questi giorni spopola su internet soprattutto per l’orrenda (anche se fedele all’originale) capigliatura, piuttosto che per la sua performance.
Insomma, al momento The Crowded Room è un pastrocchione. Una storia vera di sicuro interesse (anche se un po’ invecchiata) su cui non si è riusciti a lavorare per aggiornarne il fascino al tempo presente, risolvendosi in idee e concetti già visti e in una diluizione eccessiva delle premesse.
Se poi avrò voglia di vedere come va avanti, e dovessi scoprire che migliora tantissimo (Apple Tv+ mi ha già fatto questo scherzo con Extrapolations), ve lo farò sapere. Se non mi sentite, date per scontato che la situazione non sia migliorata.
PS Adesso il fatto che Akiva Goldsman sia lo sceneggiatore del sequel di Constantine mi mette obiettivamente un po’ d’ansia.
Perché seguire The Crowded Room: nella speranza che la storia sia troppo feconda per non portare, prima o poi, a qualcosa di buono.
Perché mollare The Crowded Room: non solo i primi quattro episodi sono noiosi e privi di idee, ma l’impressione è proprio quella di scelte sbagliate al momento di decidere come adattare la storia (vera).