The Big Door Prize – Scopri il tuo potenziale su Apple Tv+ di Diego Castelli
Una cittadina tranquilla, una macchina misteriosa, e previsioni sul futuro che cambiano la vita della gente
Avete presente quella classica domanda filosofica, in cui si chiede a qualcuno se, potendo, vorrebbe conoscere data e ora della propria morte? Una domanda a cui si può anche rispondere d’istinto, in un senso o nell’altro, ma che diventa più complessa e meno scontata man mano che ci si riflette sopra.
The Big Door Prize, nuova serie di Apple Tv+ dal titolo italiano di “Il premio del destino”, non lavora su quella specifica questione, ma su una dinamica tutto sommato simile: al centro della sua trama ci sono scampoli di futuro (un futuro possibile, auspicabile, oppure temuto, o ancora spiazzante) che nella loro semplicità possono ribaltare un’intera cittadina: perché tutti vorremmo “sapere”, ma la conoscenza, in certi casi, è un oggetto che va maneggiato con grande cautela.
The Big Door Prize è creata da David West Read, che si è fatto le ossa come produttore e sceneggiatore di Schitt’s Creek, e che qui adatta il romanzo omonimo di M.O. Walsh.
Protagonista è Dusty, interpretato da Chris O’Dowd (attore che abbiamo visto tante volte, ma che è associato soprattutto a The IT Crowd). Dusty fa l’insegnante, non ha particolari talenti se non quello di fischiettare molto bene, e vive una vita tranquilla con la moglie Cass (Gabrielle Dennis) e la figlia Trina (Djouliet Amara).
A sconvolgere la vita del paesello, uguale a molti altri della provincia americana, arriva una misteriosa macchina. Sembra un videogioco cabinato, e viene installato in un negozietto di alimentari senza che né il proprietario né il suo garzone si accorgano di niente.
La macchina fa una sola cosa: se le dai due dollari, ti prende le impronte digitali e il codice fiscale, e tira fuori un bigliettino blu su cui c’è scritta una sola parola, che ha lo scopo di rivelare il tuo vero potenziale, la tua vocazione, quello che la vita ha davvero (o potrebbe avere) in serbo per te.
La serie non inizia al momento dell’arrivo della macchina (che viene poi recuperato tramite flashback), ma un po’ dopo, quando alcune persone l’hanno già utilizzata, mostrando di credere alla sua efficacia. Persone, insomma, che sostengono di aver avuto una qualche sorta di rivelazione dopo averla usata, una singola parola che gli ha fatto mettere in discussione tutto il proprio presente e il proprio futuro.
Quello che vediamo nel primo episodio è l’avvicinamento di Dusty a questa famigerata “Morpho”, lui che tende a essere scettico su questi fenomeni da baraccone, ma che volente o nolente è trascinato dentro un tema di discussione che sta monopolizzando l’attenzione della cittadina.
Vorrei evitare il più possibile gli spoiler, perché The Big Door Prize è anche una serie che vive di sorprese, perché questo benedetto bigliettino blu diventa almeno una volta, in tutte e tre gli episodi finora rilasciati da Apple, motivo di trepidante attesa non solo da parte dei personaggi, ma anche nostra, che aspettiamo di sapere cosa viene rivelato a questa o quella persona, per vedere cosa ne sarà della sua vita da quel momento in poi.
Perché il succo della faccenda, ricollegandoci all’analogia di inizio articolo, sta proprio qui: non sappiamo, né credo che mai sapremo, se la macchina fa effettivamente previsioni corrette, anche se probabilmente, a giudicare da una specifica scena del terzo episodio, su questo aspetto ci sono ancora misteri da svelare.
Quello che conta, però, è che le persone che ricevono quella previsione cominciano a crederci, trasformandole (o minacciando di trasformarle) in profezie che si autorealizzano.
The Big Door Prize ha dalla sua un’idea molto precisa, molto forte, il cui sviluppo estramente lineare e semplice, senza grosse complicazioni narrative, apre comunque un enorme ventaglio di riflessioni esistenziali e filosofiche.
Le persone che si fanno predire il futuro dalla macchina sono molte, e altrettante sono le conseguenze, con apparentemente un unico comune denominatore: la vita di tutti viene sconvolta, e il fatto che venga sconvolta in meglio o in peggio non dipende strettamente da cosa c’è scritto, ma da come la persona interpreta quello che c’è scritto.
In questo senso, abbiamo persone semplici e ottimiste che si buttano a capofitto in nuove imprese. Ma ci sono anche quelle che sono deluse dalla profezia, e per questo iniziano a farsi domande su tutta la loro vita. E non c’è nemmeno pace per chi vive già la sua profezia (come se la promessa di una possibile seconda vita fosse diventata in brevissimo tempo la possibilità di dare un senso più profondo a un’esistenza che appare improvvisamente troppo ordinaria), oppure per chi ne ottiene una particolarmente favorevole, ma così grande e importante da diventare una terribile fonte di ansia da prestazione.
Non è un caso che The Big Door Prize sia stato scritto da un autore americano, e anzi da uno scrittore della Louisiana, che insegna scrittura creativa a New Orleans.
Perché effettivamente una storia del genere gioca proprio con un certo tipo immagine prefabbricata della felicità, quella scatoletta standardizzata (spesso nota col nome di Sogno Americano) che impone alle persone di trovare realizzazione in un lavoro onesto, una famiglia modello, una vita semplice e bucolica in una città a misura d’uomo.
Che non è mica un brutto sogno, per carità, ma non necessariamente va bene per tutti in qualunque momento. La macchina veggente di The Big Door Prize, fonte di opportunità e contemporaneamente di minaccia dello status quo, ha il compito di creare una crepa in quel sogno standardizzato e teoricamente valido per tutti.
La Morpho piazza un “e se invece?” che sconvolge le vite degli abitanti della città perché in tutti, in modo o nell’altro, esiste una tensione, un’insoddisfazione, l’istinto a cercare qualcosa di più. Non stanno “male”, e certamente c’è chi sta peggio, ma la vita che conducono è in qualche modo anestetizzata, e basta un’anonima macchina sforna-biglietti, a cui si concede un credito sempre crescente, per far crollare un intero sistema di certezze. Tutto in nome di una felicità, di una soddisfazione, e soprattutto di un “senso”, la cui forza di gravità diventa piano piano sempre più inarrestabile.
Sogno americano, desideri inconsci, paure recondite, e un più generale discorso sulla conoscenza e le sue molte facce, che mettono a nudo la nostra fragilità di piccoli corpuscoli in viaggio perenne su una palla blu sparata nello spazio. Crediamo di sapere tutto, di aver organizzato per benino tutta la nostra esistenza, eppure basta pochissimo, anche una sola parola, per rivoltarci come calzini.
I primi tre episodi di The Big Door Prize, come detto semplicissimi da seguire ma estremamente densi nella loro forza drammatica e intellettuale, riescono a essere così profondi pur essendo leggerissimi, perché in fondo stiamo parlando di una commedia, non di quelle da sganasciarsi, ma comunque un show con episodi da mezz’ora che di certo non si potrebbero definire particolarmente drammatici.
Eppure è proprio qui, nella semplicità con cui ci impone domande esistenziali profondissime, che The Big Door Prize svela tutta la sua forza.
Vedremo come si svilupperà nei prossimi episodi, ma se ci dice bene potremmo essere in presenza della Severance di quest’anno: non per lo stesso livello di dramma o di “mindfuck”, ma per la capacità di Apple Tv+, quando si impegna, di piazzare la serie strana che improvvisamente ci si pianta nel cervello.
Perché seguire The Big Door Prize: per la storia semplice e commediosa, eppure capace di una profondità filosofica immediata e vertiginosa.
Perché mollare The Big Door Prize: se non vi piacciono gli spunti fantasy tipo “è così perché è così”.