Lucky Hank – L’immediato ritorno di Bob Odenkirk di Diego Castelli
Finita Better Call Saul, Bob Odenkirk smette i panni dell’avvocato e diventa professore. Ma neanche qui riesce a stare nei ranghi.
Uno pensa che Bob Odenkirk, dopo essersi preso elogi per anni grazie a Saul Goodman, voglia prendersi un po’ di riposo prima di buttarsi in un’altra serie (per la quale ovviamente sarà squadrato e giudicato con aspettative sopra la media).
E invece no: neanche il tempo di smettere di applaudire, ed eccolo protagonista di un nuovo show, ancora una volta per AMC (anzi, AMC+, per l’Italia dobbiamo ancora aspettare), in cui si vede pure qualche piccola somiglianza con il mondo che l’ha reso famoso. Oggi parliamo di Lucky Hank.
Creata da Paul Lieberstein e Aaron Zelman a partire dal romanzo Straight Man di Richard Russo, Lucky Hank si basa su uno di quei concept che, da solo, potrebbe anche non dire granché: la crisi di mezza età di un professore di inglese.
Quando hai un’idea del genere, che da sola non può reggere tutta la narrazione, devi essere capace di costruire l’intrattenimento con altre sfumature. E poi certo, avere Bob Odenkirk aiuta.
Come detto, William Henry Devereaux, Jr., per gli amici Hank, è responsabile del dipartimento di inglese di un college non particolarmente famoso. Ha una posizione di responsabilità e un matrimonio abbastanza felice con Lily (Mireille Einos, la protagonista di The Killing), ma a parte questo ha passato i cinquanta, non sente di aver raggiunto grandi risultati professionali, ha una figlia fancazzista che gli chiede soldi in continuazione, e un padre che non sente da quindici anni che lui vede come un mezzo bastardo, mentre il resto del mondo accademico lo applaude come grande e influente intellettuale.
In questa situazione, lo sbrocco è dietro l’angolo: durante una sessione di lettura con degli studenti, in cui uno di questi pensa di essere un futuro premio Pulitzer, Hank sbotta infastidito, blastando il ragazzo proprio mentre un’altra studentessa registra la conversazione.
L’errore è grave, la figuraccia palese, e Hank entra in una spirale in cui rischia di perdere il lavoro (nonostante l’amicizia con il preside, interpretato da Oscar Nunez di The Office) e quel po’ di credibilità costruita negli anni.
Per fortuna sua, però, è il protagonista di una comedy, quindi è circondato da personaggi strambi, buffi e tutti a loro modo difettosi, e quindi più che rischiare il posto rischia “solo” la sua stabilità mentale.
Come accennavo più in alto, c’è un sottile ma evidente filo rosso che lega il Bob Onderkirk di Lucky Hank con quello di Breaking Bad e Better Call Saul. Ci sono sempre di mezzo uomini di mezza età o poco meno che a un certo punto, in circostanze eccezionali ma a volte nemmeno troppo eccezionali, si trovano a prendere vie devianti, a mettere in discussione le regole, a sovvertire ordini costituiti da cui si sentono oppressi, e di cui vorrebbero cambiare i paradigmi fondativi.
Il tema delle crisi di mezza età degli uomini bianchi americani non è di per sé nuovo (il romanzo, peraltro, è del 1997) e Lucky Hank innerva quella specifica storia con un po’ di satira scolastica e di ufficio, mettendo in scena non solo la crisi di un uomo, ma quella di un intero sistema di sapere, di conoscenza, di apprendimento, mostrando i lati buffi e forse perfino malinconici di un apparato educativo pieno di disuguaglianze, di classi socio-economiche ben distinte, di destini già segnati dal semplice fatto di essere nati in una classe piuttosto che in un’altra.
In attesa di vedere come si svilupperà la storia nelle sue linee più filosofiche e politiche, quello che intanto ci interessa è capire se ci va di andare oltre il secondo episodio.
La risposta è certamente sì, magari con qualche precisazione.
Lucky Hank è una serie capace di creare rapidamente un contesto credibile, in cui il carisma di Bob Ondenkirk, nervoso, poi sconsolato, poi rabbioso, trova terreno fertile per scoppiettare in mille sfumature.
La tensione che percepiamo nel personaggio, imprigionato in una cornice con pochi sbocchi e ancora meno soddisfazioni, è percepibile fin da subito, così come è percepibile la sensazione che le cose non possano che peggiorare, garantendo a noi altri momenti di gustoso intrattenimento.
C’è poi una comicità pacata, quasi educata, eppure molto ficcante nel cogliere le piccole pigrizie e idiosincrasie del mondo accademico, quel dietro le quinte dove i professori sono meno professori e più sfigati come gli altri, ognuno alla ricerca di piccole affermazioni e rivincite.
Allo stesso tempo, e per onestà intellettuale, il pilot di Lucky Hank non è una “bomba”. Non è l’episodio pieno di invenzioni, di risate a crepapelle, e di sorprese continue, che ti obbliga a rimanere a bocca aperta per la sorpresa e a parlarne con tutti gli amici appena possibile.
Non è neanche l’obiettivo di questo primo episodio. Lucky Hank è una commedia abbastanza sofisticata, a cui bisogna dare un po’ di fiducia per vederla crescere e, a un certo punto, esplodere in maniera rumorosa a partire da premesse all’apparenza molto piccole (o almeno così si spera).
Se dai pilot pretendete una soddisfazione piena e immediata, anche col rischio che poi si cali, Lucky Hank potrebbe sembrarvi insipida. Se invece vi viene facile dare spago a storie che partono piano ma hanno evidenti possibilità di crescita, allora ha senso rimanere nei paraggi per vedere che succede.
E di fatto mi sono bruciato il perché seguirla e perché mollarla.
Fuck.
Perché seguire Lucky Hank: per il carisma di Bob Odenkirk e l’impressione di essere di fronte a una serie intelligente.
Perché mollare Lucky Hank: di per sé, la situazione di partenza non brilla per originalità.