Accused – Uno sfizioso legal antologico di Diego Castelli
Su FOX una serie generalista che per una volta ci fa dire “to, una bella serie generalista”
Se siete serialminder con più di venticinque anni, probabilmente siete diventati appassionati seriali grazie alla tv generalista (americana o magari anche nostrana): le serie che uscivano una volta a settimana, pensate per il grande pubblico, che si guardavano su canali televisivi gratuiti in cui i telefilm venivano interrotti dalla pubblicità.
Tutte cose che esistono ancora, naturalmente, e che anzi rappresentano la principale esperienza seriale della maggior parte della popolazione mondiale. Ma forse non la vostra, voi che seguite le serie tv con un pizzico di passione in più e che leggete un sito che, per mille motivi, finisce con l’interessarsi maggiormente ai prodotti delle reti cable e delle piattaforme di streaming.
Ma sarà forse per quei ricordi lontani, e per un affetto difficilmente cancellabile per la tv generalista (per la quale io lavoro, peraltro, scusate se penso pure al mio stipendio), che quando vedo una nuova serie meritevole provenire da quegli altrimenti dimenticati pascoli catodici, provo un piccolo senso di orgoglio, come se non tutto fosse perduto.
Parliamo quindi Accused, in onda in America su FOX.
Che Accused potesse essere qualcosa di più della solita serie generalista ormai trita e ritrita, lo potevamo capire da due cose: l’origine e gli autori.
Accused è tratta da una serie inglese del 2010 (che ci eravamo pure dimenticati di aver recensito), e come tale parte da una base più solida, perché gli inglesi ne capiscono.
Poi certo, questo non è garanzia di successo, perché se è vero che ogni tanto gli americani imbroccano alla grande le trasposizioni a stelle e strisce di serie britanniche (Shameless, The Office), altre volte toppano sonoramente.
E qui allora passiamo ai nomi coinvolti: Accused è creata da Howard Gordon, per anni produttore di 24 e poi co-creatore di Homeland, e ha fra i produttori esecutivi Alex Gansa (l’altro co-creatore di Homeland) e David Shore (padre di House e più di recente di The Good Doctor).
Insomma, gente che la televisione la sa fare.
Ma anche a non sapere nulla di questa gente, te ne accorgi subito che Accused non è la solita robetta scialba buona solo a riempire i palinsesti come capita.
Parliamo di una serie antologica in cui ogni episodio è completamente a sé stante in termini di trama e cast, ma dove il format è comunque sempre riconoscibile: si segue la storia dalla prospettiva di una persona accusata di un certo crimine, ma nei minuti iniziali non capiamo quale sia questo delitto (vero o presunto), che diventa parte di un mistero poi svelato lentamente attraverso numerosi flashback.
All’epoca, parlando della serie inglese, il Villa disse che era un crime senza indagine e un legal senza processo. E tutto sommato è vero anche per la versione americana: la vera indagine è la nostra, più che quella dei personaggi, perché siamo noi che veniamo condotti piano piano alla scoperta di un insieme di fatti e circostanze che i personaggi effettivamente conoscono già.
Ci mettiamo in pari con loro, insomma, e in questo metterci in pari troviamo la suspense che deriva dalla precisa consapevolezza che è successo qualcosa di molto brutto, senza però sapere ancora di che si tratti.
Il primo episodio ha per protagonista Michael Chiklis, mitico protagonista di The Shield (e de Il Commissario Scali, se ve ne ricordate), che qui interpreta un padre di famiglia e stimato chirurgo, alle prese con un figlio problematico e forse, chi lo sa, potenzialmente pericoloso.
L’accusato è proprio lui, il padre, e l’episodio ci spiega passo passo perché si trova in quella posizione. Come detto, percepiamo fin da subito la gravità della situazione, e a quel punto non possiamo che seguire con trepidante attesa lo svolgersi degli eventi (anzi, il loro ricordo) per poter essere messi a parte di un segreto che è segreto solo per noi.
Un gioco semplicissimo eppure funzionale, che ha il merito primo (e forse anche unico, ma tanto basta) di impedirci di alzarci dal divano.
Da questo punto di vista, Accused funziona anche come ripasso di ciò che effettivamente è la tv generalista, cioè un luogo in cui più canali fra loro concorrenti si sfidano per l’attenzione di un pubblico che non ha pagato un metaforico biglietto per essere lì, e quindi è abituato a spostarsi da un canale all’altro non appena l’attenzione comincia a calare.
Il limite della tv generalista rispetto a tutte le altre è l’impossibilità di riflettere troppo, di spendere troppo tempo a presentare storie e personaggi, a maggior ragione in un momento storico in cui le distrazioni arrivano non solo dalla stessa tv, ma anche da altre fonti come il cellulare.
Ma questa, naturalmente, è anche un’opportunità: se hai poco tempo e devi catturare l’attenzione della gente, devi saper mettere in scena storie che colpiscano fin da subito. E quando ci riesci, può pure essere che l’effetto sia quello di un sollievo rispetto a tante serie d’autore (o semplicemente da binge watching) in cui l’impressione è quella di un film dilatato in dieci ore.
Ecco, Accused non è solo generalista, è pure antologica, quindi i suoi episodi sono di fatto dei mediometraggi di neanche 45 minuti, in cui la storia la devi raccontare tutta.
Ed è qui, sul sottile confine fra la bombetta di suspense e la ciofeca frettolosa, che entra in gioco la professionalità degli autori di cui sopra.
Il primo episodio di Accused – che è pure piuttosto pesantiello, perfino coraggioso nell’affrontare di petto alcune tematiche spinose e, queste sì, non così generaliste – funziona proprio perché ci catapulta immediatamente nel dramma, ne delinea in brevissimo tempo gli elementi più interessanti, e tiene fuori i dettagli che andranno svelati lentamente (dove “lentamente” è un concetto relativo).
Il risultato è un puntata che si guarda tutta d’un fiato e, se non ci lascia la curiosità di vedere il resto di una storia già finita, ci convince del fatto che questo format funziona, e che se torniamo un’altra volta probabilmente proveremo le stesse emozioni, anche con un’altra trama e un altro cast.
L’unico difetto che mi sento di trovare in un episodio che altrimenti viaggia come un fuso, è che lo scavo psicologico è in effetti… un po’ rapido.
So che ho appena detto che il bello di una serie come questa è la possibilità di non dilatare i tempi e andare al sodo, ma ovviamente (e ci siamo detti anche questo) è un equilibrio precario e difficile da mantenere con costanza.
Il primo episodio di Accused racconta una storia chiara, precisa, appassionante, è ben messo in scena e ben interpretato. Poi però deve scendere a qualche piccolo compromesso, che nello specifico è la difficoltà, per limiti di tempo, di affrontare in maniera più ampia un tema sociale e di pubblica sicurezza che è davvero troppo grosso per 42 minuti di prodotto, con il rischio di creare un buon meccanismo di suspense, che pecca però di superficialità.
Ciò non toglie, però, che non è mica scontato saper creare buona suspense, ed era un po’ che non finivo un pilot generalista con questa sensazione di onesta soddisfazione.
Vediamo se tiene…
Perché seguire Accused: il suo format preciso e antologico promette molti episodi di buona emozione e grandissima comodità.
Perché mollare Accused: ormai siamo così abituati a una narrazione seriale ampia e diluita, che questi bocconcini thriller-legal potrebbero fare l’effetto di un fast food.