Willow su Disney+ – Dagli anni Ottanta un fantasy light (pure troppo) di Diego Castelli
Con Willow, Disney riporta in vita un cult del 1988, aggiornandolo in un modo che, naturalmente, fa felici alcuni e fa incazzare gli altri
Secondo me non serve fare un’introduzione che pontifichi sul fatto che Disney è andata a ripescare un titolo di quasi quarant’anni fa per crearci sopra una serie tv.
Quante volte l’abbiamo visto succedere, ormai? Quante volte siamo stati in bilico fra la gioia di rivedere vecchi personaggi e il fastidio nel constatare che mai come in questi anni ci si prendono pochissimi rischi?
E quanta sorpresa potrete mai avere nel sapere che Willow, la serie di cui parliamo oggi e tratta da un film del 1988, è stata apprezzata da alcuni e odiatissima da altri?
Ecco, non stiamo neanche a dircelo e andiamo al sodo.
I natali di Willow, peraltro, sono piuttosto nobili.
Fra i film fantasy per ragazzi partoriti da Hollywood in quella decade, probabilmente non è quello rimasto più impresso a livello mondiale, superato (almeno nel nostro paese) da altri titoli cult come La Storia Infinita o La Storia Fantastica.
Però è anche un film scritto da George Lucas, all’epoca già venerato padre di Star Wars, e diretto da Ron Howard, che era solo agli inizi della sua lunga carriera di regista, ma aveva già diretto un paio di chicche memorabili come Splash – Una sirena a Manhattan e Cocoon.
Ora Disney, come detto, è tornata sui suoi passi, ha rimesso la bacchetta magica in mano a Warwick Davies, protagonista di allora e nel frattempo diventato una delle facce più conosciute e utilizzate dal cinema fra gli attori affetti da nanismo, e ci ha portato un vero e proprio sequel, ambientato alcuni anni dopo la storia originale.
Nel film del 1988, George Lucas aveva mescolato la tradizione dell’high fantasy di Tolkien (in termini di ambientazione, di temi, ma anche di specifiche scelte come quella di rendere protagonista una persona “piccola” destinata a grandi imprese, appartenente a una razza schiva che là erano “Hobbit” mentre qui sono “Nelwin”) con un’approccio caro al suo Star Wars: quindi high fantasy, streghe cattive, maghi potenti e creature favolose, ma anche spazio per una certa (auto)ironia e per personaggi che sembrano richiamare in maniera precisa certe figure nella saga galattica dello stesso Lucas (che a sua volta, naturalmente, ricalcava tutto un insieme di convenzioni e pratiche narrative vecchie letteralmente di secoli).
Per esempio, una delle necessarie mancanze di questa nuova versione di Willow è un personaggio molto importante del film, uno spadaccino mercenario di nome Madmartigan che aveva molto in comune con Han Solo e che purtroppo, date le condizioni di salute del suo vecchio interprete Val Kilmer, non poteva proprio essere inserito in questo sequel.
Il protagonista invece è sempre lui, Willow, che nel film era un ragazzo ancora giovane (benché padre di famiglia), appassionato di magia e desideroso di diventare apprendista del mago del villaggio.
Quello che non sapeva, era che a un certo punto i suoi figli avrebbero trovato una bambina abbandonata, che era stata affidata alle acque di un fiume per sfuggire alla furia della perfida regina Bavmorda, una potente strega che voleva fare strage di neonate per impedire il realizzarsi di una profezia che prediceva la sua fine per mano di una bambina con una specifica voglia sulla pelle.
(come si vede, i riferimenti non sono solo al classico fantasy centro e nord europeo, ma pure alla tradizione cristiana, con Bavmorda associata a una specie di Erode)
Nel film, la regina viene sconfitta e Willow, dopo aver contribuito alla salvezza della piccola Elora, può tornare da eroe al suo villaggio e intraprendere effettivamente gli studi che gli consentiranno di diventare un grande mago, mentre nel frattempo il trono vacante di Bavmorda viene preso da sua figlia Sorsha, principessa guerriera che all’inizio del film era in combutta con la madre, salvo poi ribellarsi alle sue macchinazioni anche a seguito dell’innamoramento per Madmartigan.
Nella serie, Willow è effettivamente diventato il mago del suo villaggio, ed è anzi uno degli ultimi maghi rimasti al mondo, ma viene nuovamente chiamato all’azione dalla stessa Sorsha (ancora interpretata da Joanne Whalley), dopo che suo figlio Airk è stato rapito da alcune entità note come “The Gales” (in italiano “i Flagelli”).
Per recuperare Willow, con cui aveva perso i contatti anni prima, Sorsha spedisce una compagnia stranamente assortita che comprende sua figlia Kit (per la verità il personaggio più antipatico della serie), il suo promesso sposo principe Graydon, la migliore amica di lei (ma in realtà anche interesse amoroso) Jade, lo spadaccino Thraxus Boorman che è una specie di versione indiana dello scomparso Madmartigan, e infine Dove, l’umile cameriera innamorata di Airk, che in realtà, consentitemi lo spoiler non particolarmente incredibile, è proprio Elora, la bambina salvata da Willow nel primo film.
E dunque, dov’è che Willow opera le sue magie (se le opera), e dove invece fa incazzare tutti?
Beh, vale la pena considerare che noi abbiamo iniziato questa stagione televisiva con il confronto fra due serie (House of The Dragon e Rings of Power) che pur fra molte differenze sostanziali e con risultati molto diversi, sembravano voler insistere su un immaginario tutto sommato simile: parliamo del fantasy “impegnato”, sia in termini di temi che di toni, sia in termini di mezzi produttivi. Due serie “grosse” che si proponevano di essere in qualche modo totalizzanti, di ottenere la corona di serie fantasy più gagliarda che c’è.
In questo senso, e in modo molto simile al film da cui è tratta, Willow punta a essere più rilassata.
Il suo è un fantasy più giovane, più sbarazzino, più leggero.
L’ironia già presente nell’originale qui viene mantenuta e anzi potenziata, senza alcuna paura di rendere più espliciti certi meccanismi di genere in favore di un pubblico più smaliziato.
Soprattutto, è una serie che ha la possibilità di dare una ripulita anche e soprattutto visiva a un mondo che, onestamente, non è invecchiato benissimo.
Non potendo contare sull’originalità di una Star Wars (ma anche de La Storia Infinita), e senza nemmeno potersi affidare a tecnologie più moderne che di lì a pochissimi anni ci avrebbero mostrato le magie di Terminator 2 e Jurassic Park, Willow oggi sembra un film più vecchio di quello che è, con un sacco di pupazzoni che si muovono in stop motion e molti effetti visivi che, poveracci, mostrano il segno del tempo.
E pure la storia, per quanto molto generica in questi due primi episodi, richiama schemi classici che rassicurano e che giustificano la creazione di una “compagnia” diversificata che poi è la base di questo genere narrativo.
Dove iniziano i problemi? Beh, ovviamente proprio nell’operazione di “aggiornamento”.
Se cercate su internet, troverete molti commenti di spettatori e fan del film che lamentano un “inutile” ammodernamento delle musiche, la scrittura di dialoghi palesemente più moderni e quindi stridenti con l’ambientazione fantasy-medievale, l’onnipresente inclusività che non può esimersi dalla quota LGBT o dalla presenza di personaggi appartenenti a etnie debitamente diversificate.
Ritorniamo però a un tipo di riflessioni e polemiche che abbiamo trattato tante volte.
Da una parte, utilizzare il franchise di Willow per attirare i vecchi fan per poi offrirgli un prodotto che, nelle sue sfumature, “suona” troppo diverso dall’originale, è un’operazione almeno parzialmente disonesta.
Dall’altra parte, però, lo stesso film di Willow aveva degli elementi di modernità che i giovani di allora seppero apprezzare, ma che magari contrastavano con il gusto di spettatori più anziani, e quindi ora ha perfettamente senso, in termini commerciali ma in fondo anche editoriali, che questa nuova Willow provi ad attrarre l’interesse di chi è giovane ora.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe accusarmi di usare due pesi e due misure in relazione a Wednesday, dove avevo fatto lo stesso discorso sull’aggiornamento di vecchi franchise, rimanendo però significativamente più accondiscendente.
In parte si deve al fatto che Wednesday, di per sé una buona serie, tradisce però il senso più profondo de La Famiglia Addams (risultando paradossalmente meno originale), mentre il tradimento di Willow mi sembra più formale che sostanziale.
Ma la grande verità, e so di svelare un segreto di quelli tosti, è che è tutto soggettivo. Stabilito che il tal prodotto tradisce almeno in parte la sua origine, quanto quel tradimento faccia male o debba farci male non è un dato misurabile e uguale per tutti, ma dipende, per esempio, da quanto si è affezionati al prodotto arrivato per primo (e io ero certamente più affezionato agli Addams di quanto non fossi affezionato a Willow).
In questo senso, da fan non accanito del primo film (che mi sono rivisto appena prima dei primi due episodi della serie e che non vedevo da boh, venticinque anni), la mia impressione è che Willow sia ancora sostanzialmente Willow.
Siamo insomma di fronte a un fantasy leggero leggero, che vuole essere avventuroso e simpatico prima che potente e filosofico. Alcune regole di genere, soprattutto nella costruzione del gruppo protagonista, sono rispettate da manuale, mentre altri dettagli sono un pelino più forzati per amor di modernità.
Gli elementi di inclusività non mi fanno né caldo né freddo, anche se ogni volta che si tirano in ballo personaggi LGBT in un’ambientazione medievale bisognerebbe anche avere il coraggio di tematizzare la cosa un po’ di più. Va pure detto però, che questo non è il medioevo, bensì un mondo e un tempo fantastico che gli assomigliano per certi aspetti, ma privo dei vincoli più stringenti di una serie storica.
Rivedere Warwick Davis nei panni di Willow, in compenso, fa un bell’effetto. Ed è l’effetto pienamente “seriale” di vedere certi personaggi invecchiare per davvero, non perché recastati o ringiovaniti al computer, ma perché c’è una persona vera, reale, che quasi trentacinque anni dopo dice “sì, torno e lo rifaccio”.
E comunque, da qualunque angolazione la vogliate guardare, è più divertente di Rings of Power.
Perché seguire Willow: è un fantasy leggero e simpatico, buono per il periodo di feste.
Perché mollare Willow: se siete fan dell’originale, alcuni ammodernamenti potrebbero risultarvi indigesti.