The Sandman su Netflix – A sorpresa, missione compiuta di Diego Castelli
L’adattamento audiovisivo di The Sandman era un’operazione rischiosissima. E invece Netflix e Neil Gaiman l’hanno portata a casa
Premessa 1 alla recensione di The Sandman
Qui a Serial Minds siamo umani, e in quanto umani sempre a rischio di errore, di inciampo, di ipocrisia.
Per esempio, una delle nostre linee guida da sempre è la ferma credenza che una serie tv debba saper essere un oggetto indipendente, che funziona in sé e per sé: se una serie, per essere apprezzata almeno un po’, ha bisogno della lettura del libro a cui è tratta, allora non è una serie funziona. O per lo meno, per non essere troppo rigidi, è una serie che ha un grosso difetto.
Da qui il tentativo di valutare ogni serie tv prescindendo dal posto da cui arriva, un posto che non necessariamente tutti conoscono e/o che non necessariamente ha in sé tutte le risposte.
Allo stesso tempo, come detto sopra, siamo umani, quindi i nostri buoni propositi a volte si incrinano perché effettivamente conosciamo il materiale di partenza, e se quel materiale effettivamente lo conosci, fare gli splendidi dicendo “farò finta che non esiste” è non solo un’operazione complicata, ma a volte proprio impossibile.
Detto questo, diciamo che ci si prova anche con The Sandman, che arriva da uno dei fumetti più importanti e premiati della storia, ma era necessario fare questa premessa. E anzi, ne facciamo un’altra.
Premessa 2 alla recensione di The Sandman
Siccome vorrei effettivamente provarci, a scrivere un’analisi che non sia tutta un continuo paragone con il fumetto, facciamo che quel paragone lo concentriamo il più possibile in questa seconda premessa.
Pubblicato fra il 1988 e il 1996 per la DC Comics (da un certo punto in poi sotto l’etichetta Vertigo), The Sandman è una saga a fumetti nella quale il suo creatore Neil Gaiman recupera un vecchio personaggio DC per rilanciarlo, dargli nuova veste, e infonderlo di tutto ciò che ha reso Neil Gaiman… Neil Gaiman. L’amore per la mitologia (anzi, per le mitologie del mondo), l’incastro di storie provenienti da culture diverse (temi che avevamo già trattato per American Gods, opera successiva di Gaiman, ma arrivata in tv prima di Sandman), l’attenzione alle parole di un autore che è anche romanziere di successo, che scrive una storia disegnata in cui la parola scritta conta molto, moltissimo, tanto che i disegni (realizzati da molte matite diverse nel corso degli anni) sembreranno soprattutto uno strumento con cui illustrare, spesso in modo volutamente poco dettagliato, la forza poetica di quelle parole.
Ecco, se in questi giorni state leggendo una maggioranza di pareri positivi su The Sandman, è anche (e in alcuni contesti soprattutto) per l’impressione che Gaiman, autore anche della serie tv insieme a David S. Goyer e Allan Heinberg, sia riuscito a infondere nello show alcuni degli elementi fondamentali del suo lavoro su carta, tralasciando cose che forse era inevitabile tralasciare, e aggiungendone alcune il cui inserimento è sembrato logico e fertile.
Su tutto, è riuscito a dare al Sandman televisivo quel tocco, appunto, di poesia, che spesso la tv non può permettersi, che qui non arriva comunque ai livelli del fumetto, ma che si vede, si percepisce, ed è “bastato” per soddisfare una bella fetta di fan che, col coltello fra i denti, erano pronti a gridare al tradimento e alla lesa maestà.
Ok, ora parliamo della serie tv (forse)
Ma chi è sto benedetto Sandman, che detto così potrebbe ricordare pure uno dei nemici dell’Uomo Ragno, quello che era appunto fatto di sabbia e tirava i pugnoni spiaggiosi?
Ecco, non c’entra niente. Il termine “Sandman”, che così costruito potrebbe far pensare a un supereroe, è solo uno dei molti appellativi di uno degli Eterni, il Re dei Sogni, Morfeo, o comunque vogliate chiamare l’essere preposto alla creazione e alla gestione dei sogni e degli incubi dell’umanità.
Il nostro Sogno (“Dream” è il modo in cui viene chiamato più spesso, mi pare), è ovviamente una creatura molto particolare e molto potente, ma nel 1919 viene evocato e quindi imprigionato da un rito magico compiuto da un normale essere umano, che in realtà sperava di evocare e catturare la Morte (che di Sogno è una delle sorelle).
Imprigionato in una boccia di vetro per quasi un secolo, il nostro protagonista perde la presa sul suo magico regno, che infatti comincia a decadere, con conseguenze nefaste anche per l’umanità, in cui molti si addormentano senza potersi svegliare, sognano sogni sbagliati, finiscono in imprevisti abissi di incubo, e via dicendo.
A un certo punto, però, il nostro Morfeo riesce a liberarsi, e a quel punto deve ricostruire il suo potere, nel frattempo molto indebolito, recuperando fra l’altro tre Strumenti (la sabbia, l’elmo e il rubino) che costituiscono buona parte della sua forza e della sua anima, e che nel frattempo erano andati perduti.
Questo è sostanzialmente l’inizio della storia, che poi vedrà Morfeo impegnato nella ricerca dei suoi strumenti e nella risoluzione di nuovi problemi che deriveranno da quella ricerca e dagli incontri che il protagonista farà all’interno di essa.
Ci sono alcuni macro-elementi, in The Sandman, che sono immediatamente riconoscibili anche a un pubblico digiuno dei fumetti.
In fondo, al netto di tutto l’hype e la fama del fumetto, siamo all’interno di una serie fantasy, con mondi impossibili, costosi effetti speciali, un protagonista (interpretato da Tom Sturridge, che avevamo già visto in Sweetbitter e recentemente anche in Irma Vep) gustosamente stralunato e ambiguo (d’altronde non è nemmeno umano), e un po’ di “quest” a sfondo magico che il nostro deve superare.
Sotto questo aspetto, la serie di Netflix funziona perché il livello produttivo è alto, l’atmosfera molto immaginifica, il cast largamente azzeccato. Ci sarebbe da fare la solita nota inclusive, perché i personaggi dell’originale fumettistico (in larga parte maschi e bianchi) sono stati modificati nel nome della maggiore diversità etnica e di genere.
Tuttavia, per quanto l’operazione sia tecnicamente forzata (a Netflix hanno proprio la tabella in mano con le voci da spuntare, ormai è palese), è anche molto ben riuscita. Non solo perché per alcuni personaggi genere e colore non hanno effettivamente importanza, non solo perché alcune scelte appaiono gustosamente sorprendenti (come dare a Gwendoline Christie, la cara Brienne di Game of Thrones, il ruolo di Lucifero), ma anche perché ci sono casi in cui il cambiamento sembra perfino giovare alle dinamiche in gioco, come la scelta di trasformare il famoso John Constatine in Johanna, che con la faccia di Jenna Coleman (Doctor Who, Victoria, The Serpent) diventa un personaggio pieno di carisma e molto divertente.
Non c’è solo questo, però, perché The Sandman fa anche alcune scelte coraggiose. E non coraggiose perché lontane dall’originale fumettistico, ma proprio perché fedeli ad esso, nonostante la difficoltà dell’adattamento di quelle scelte a un nuovo mezzo.
Ne cito due, quelle che mi sembrano più rilevanti, e che sono in parte collegate.
La prima è il carattere del protagonista. Morfeo, Sogno, come vogliamo chiamarlo, è insieme un creatore di mondi e un custode di regole. Non ha una psicologia umana come siamo abituati a conoscerla nelle classiche serie tv, e per questo può apparire straniante, incomprensibile, decisamente poco empatico, a volte perfino cattivo.
Come tipo di personaggio, più che un protagonista sembra una di quelle creature che un altro protagonista incontrerebbe in un suo viaggio.
La scelta di mantenere intatto questo spirito – anche se c’è il rischio che Tom Sturridge, che non è disegnato ma in carte e ossa, a volte sembri semplicemente un emo – è una delle chiavi della forza del personaggio e della sua diversità rispetto a quasi tutto quello che siamo abituati a vedere.
La seconda scelta di “mantenimento” è molto più grossa, e riguarda proprio le forme della narrazione.
Il fumetto di Sandman (che io non ho finito, lo stavo recuperando proprio per la serie, e diciamo che sono un pochino oltre gli eventi raccontati nella prima stagione) non ha un’architettura narrativa granitica. Sì, parte con una storia e degli obiettivi precisi, ma poi cambia, svicola, si ferma, riparte, devia.
Più che una storia con un inizio e una fine, The Sandman ha i tratti dell’antologia, un luogo dove una storia principale effettivamente esiste, ma c’è anche lo spazio per veri e propri racconti a sé stanti, in cui Morfeo appare poco o non appare per nulla, diventando quasi un pretesto: raccontiamo questa storiella perché il mondo narrativo che abbiamo creato per Morfeo ce lo consente.
Ora, voi capite come questo approccio, che su un fumetto d’autore per adulti a cadenza più che mensile poteva avere tutto il senso del mondo (ma ricordiamo pure che The Sandman ha avuto l’impatto che ha avuto anche perché, sotto tanti aspetti, era veramente “nuovo”), su una serie tv diventa complicato.
Le serie tv, per loro natura, devono catturare l’attenzione degli spettatori per tanti episodi, spesso per anni, e una narrazione troppo farraginosa, in cui l’intento poetico diventa prominente, sarebbe forse insostenibile (anche se qualche eccezione qui e là c’è eccome, pensiamo a Legion).
Ebbene, The Sandman (nel senso della serie), cerca e trova un equilibrio efficace fra queste due spinte.
Non parte completamente per la tangente come fa il fumetto, ma allo stesso tempo si concede di non essere rigida, e di andare dove la porta il cuore.
Quello che si ottiene, per esempio, è un episodio come il quinto, in cui il vero protagonista è John Dee (interpretato dal sempre fantastico David Thewlis), che in una diner costruisce una specie di esperimento sociale sulla verità, le bugie, e le conseguenze degli istinti umani. Oppure come il nono, in cui buona parte dell’azione è ambientata in un convegno di serial killer in cui Morfeo è un protagonista abbastanza lontano dal centro della scena.
Non solo. Cambiano i cattivi. The Sandman non è la serie procedural in cui c’è un cattivo diverso ogni puntata, ma nemmeno la classica serie orizzontale in cui viene fissato un antagonista e quello rimane. Qui abbiamo numerosi malvagi, che però cambiano continuamente posizione e importanza relativa: alcuni rimangono per tre puntate, altri si prendono la scena finale pur essendo comparsi giusto una o due volte nel resto dei dieci episodi, alcuni raggiungono vette di grande carisma e poi spariscono, letteralmente, nella polvere.
Ma non che per i buoni sia tanto diverso: se guardate il primo episodio e poi guardate boh, il settimo (non ci sono tanti episodi fra primo e settimo) vi sembrerà di stare guardando un’altra serie.
Insomma, un sogno. Proprio nel senso onirico del termine.
The Sandman nasce come un fumetto, che nel corso della sua storia editoriale, più che la storia di un personaggio è diventato un crogiolo di storie, di spunti, di impressioni, immaginazioni e poesie. Tutto unito da fili evidenti eppure volutamente sottili.
Sbarcando su Netflix, The Sandman ha dovuto scendere a compromessi con un mezzo e un pubblico diversi, e certamente ha sacrificato alcune sue caratteristiche difficilmente trapiantabili nella serialità da piccolo schermo (per esempio, gli elementi fantasy della serie sono molto più netti, precisi, forse perfino banali, rispetto ai disegni scuri, abbozzati, indecidibili dell’originale).
Allo stesso tempo, però, ha conservato anche alcune delle sue caratteristiche fondanti, che in tv sono diventate qualcosa di fresco, originale, diverso. Diamine, non ho nemmeno parlato dei parenti stretti di Morfeo, fra cui bisogna per forza citare Death, la Morte (interpretata da Kirby Howell-Baptiste) che soprattutto nel sesto episodio si prende tutta la scena per una puntata delicata, commovente, che a tratti sembra ricordare Afterlife con Ricky Gervais.
Poi certo, c’è l’ipocrisia, e il nostro essere umani.
Avevo detto che avrei parlato poco del fumetto, e non è andata proprio così.
Avevo detto che avrei cercato di scrivere qualche commento “neutro”, e non credo di farcela.
Non so dire se quel carattere ondivago, quella capacità di spostarsi su temi e personaggi diversi e inaspettati, che io ho percepito come una grande ricchezza, sarà recepito dallo stesso modo da chi invece, digiuno del fumetto, sperava in un racconto più dritto e coeso.
Non so dire se il personaggio di Morfeo, che mi è parso così simile, nelle caratteristiche che contano, al suo originale, sarà invece recepito come un dio autistico che parla poco e fa le faccette.
Tutto è possibile, anche se mi sembra che l’accoglienza sia buona “in generale”.
Immagino che ognuno dovrà farsi una sua idea, se non se l’è già fatta. Ma visto che su Serial Minds spesso e volentieri ci auto-imponiamo il compito di suggerirvi cosa sia rilevante guardare o meno nel marasma seriale che c’è in giro, ecco, The Sandman è una serie rilevante.
Non perché sia più o meno simile a un fumetto che avete tutto il diritto di non conoscere, ma perché si porta dietro tante cose, tanti approcci, tanti spunti e riflessioni, che nelle serie tv non vediamo esattamente tutti i giorni.
Se poi non vi piace, va benissimo, ma già che siamo ad agosto e non c’è nient’altro, non cogliere l’occasione di guardare una serie così particolare, mi parrebbe proprio un peccato.
Perché seguire The Sandman: perché trattiene gli elementi più giusti del fumetto per costruire una serie fantasy dal sapore particolarissimo.
Perché mollare The Sandman: ci sono tanti elementi, a partire da una narrazione tutt’altro che rigida, che potrebbero spaventare chi ama solo storie dritte, rapide e sfacciatamente epiche.
PS mi viene da aggiungere una considerazione che mi fa sorridere: il paradosso, nel lavoro di Neil Gaiman, è che abbiamo avuto una serie come American Gods che, pur partendo da un materiale narrativo tutto sommato più lineare, si era incastrata in una pomposa sequenza di scene madri anche molto ben “dipinte” sullo schermo, ma che tutte insieme non sapevano evitare una grande pesantezza e l’impressione di raccontare poco. The Sandman, invece, che parte da una base molto più strana e difficile da maneggiare, è diventata una serie godibile, fresca, che si segue con molta più facilità, eppure pienissima di cose, di eventi, di suggestioni.
Vedi a volte, basta avere bene in testa qualche sia la direzione giusta, e il resto vien da sé.