Obi Wan Kenobi – Emozioni, certo, ma si può dare di più di Diego Castelli
Obi Wan Kenobi era la più attesa serie a marchio Star Wars di Disney+, ma i primi due episodi soddisfano solo in parte
ATTENZIONE! SPOILER SUI PRIMI DUE EPISODI DI OBI WAN KENOBI
Da un punto di vista seriale, lo scorso 27 maggio doveva essere il giorno più clamoroso dell’anno, con l’apparizione contemporanea della quarta stagione di Stranger Things su Netflix e dei primi due episodi dell’attesissima Obi Wan Kenobi su Disney+.
A conti fatti, non è stata una giornata non “così” sfavillante, perché entrambe le serie, per motivi molto diversi, sono rimaste uno o due passi indietro alle (fin troppo alte?) aspettative.
Di Stranger Things abbiamo già parlato, mettendo in luce l’innegabile solidità di questi nuovi sette episodi, la loro indubbia capacità di intrattenere, ma anche la difficoltà nel rinfrescare una magia nostalgica che forse ormai è svanita come la pubertà dei suoi protagonisti. Ora è il turno di Obi Wan Kenobi, anch’essa presentatasi con un misto di luci e ombre che speravamo meno contrastato.
Andiamo con ordine.
Obi Wan Kenobi è la nuova serie di Disney+ ambientata nell’universo di Star Wars e dedicata a uno dei personaggi più famosi e amati della saga originale, quell’Obi Wan Kenobi interpretato a suo tempo da Alec Guinness e poi, nella trilogia prequel, da Ewan McGregor, che riprende il ruolo anche in questa miniserie, per la gioia dei fan che da sempre l’avevano eletto come uno degli elementi più riusciti dalla (non amatissima) trilogia prequel dei primi anni Duemila.
Obi Wan Kenobi è cronologicamente ambientata dopo Episodio III e prima di Episodio IV: la Repubblica è ormai crollata, quasi tutti i cavalieri jedi sono morti dopo il famigerato Ordine 66 (di cui vediamo alcune immagini anche all’inizio del pilot), e al potere è salito il senatore Palpatine, che nel frattempo è diventato Imperatore e ha salvato da morte certa il giovane Anakin Skywalker, sconfitto in duello proprio da Obi Wan.
Mentre Anakin, nelle mani dell’Imperatore, si trasforma nel mitico Darth Vader, l’ex generale Kenobi, d’accordo con il maestro Yoda, si fa carico di una missione fondamentale: nascondere e proteggere Luke, il figlio di Anakin, nella speranza che, una volta cresciuto, possa rappresentare una Nuova Speranza (cit.) per i popoli oppressi della galassia.
Veniamo subito alle cose buone, perché Obi Wan Kenobi doveva rispondere a una domanda molto importante anche solo per avere una base da cui partire, e secondo me dà a quella domanda una risposta convincente.
Guardando Episodio IV, ormai più di quarant’anni fa, gli spettatori vedevano Luke Skywalker scoprire fortuitamente un messaggio della Principessa Leia e andare poi alla ricerca di “Ben Kenobi”, un vecchio eremita che già conosceva e che si scoprirà essere, per l’appunto, un ex cavaliere jedi.
Stiamo parlando di un film, il primo capitolo di Guerre Stellari, in cui George Lucas non aveva nemmeno deciso che Vader si sarebbe rivelato il padre di Luke, quindi qui bisogna essere un po’ indulgenti. Rivedendo quel film non si ha per nulla l’impressione che Obi Wan non aspettasse altro che di istruire Luke, sembra tutto decisamente più casuale, ma l’aggancio con il finale di Episodio III, uscito vent’anni dopo, funzionò comunque, ebbe una sua coerenza, e ci diede un’altra informazione importante: dopo la nascita dell’Impero, Obi Wan è rimasto nascosto in provincia fino agli eventi di Episodio IV.
Ebbene, la decisione di produrre una miniserie su Obi Wan Kenobi (nata dopo una produzione molto travagliata che per qualche anno aveva immaginato lo show di cui stiamo parlando come un film da distribuire al cinema) presupponeva la formulazione e la conseguente risposta a una domanda molto specifica: considerando che Luke non si può toccare, perché è risaputo che fino agli eventi di Episodio IV non aveva mai fatto nulla di particolarmente eccitante in vita, cosa ci si può inventare per far sì che Obi Wan Kenobi non sia semplicemente una serie un po’ inquietante su un vecchio solitario che spia quotidianamente un ragazzino minorenne?
Ecco, in questo senso, e considerando quanto importante fosse la missione di Obi Wan nei confronti di Luke, lo sceneggiatore Joby Harold (che poi blasteremo per altri motivi) ha trovato quella che credo sia l’unica soluzione davvero convincente: usare Leia.
Al contrario di quella di Luke, dell’infanzia della Principessa Leia non si è mai saputo granché. Mentre il fratello veniva spedito su Tatooine con gli zii a fare il poveraccio, la bambina era stata adottata dal Senatore Organa (che torna in questa miniserie ancora una volta con il volto di Jimmy Smits), ma a parte questo non abbiamo mai saputo nulla della sua giovinezza.
Ovviamente, però, sapevamo che avrebbe avuto una vita più agiata, che sarebbe diventata “principessa”, e che avrebbe assunto un ruolo importante nella resistenza contro l’impero (cosa che sappiamo dalla prima scena di Episodio IV, e che vediamo bene nel magnifico finale di Rogue One). E naturalmente, ciliegina sulla torta, sapevamo che conosceva in qualche modo Obi Wan Kenobi, a cui avrebbe mandato la famosa richiesta di aiuto che dà il via a tutta la saga cinematografica.
Obi Wan Kenobi, la miniserie, diventa di fatto la cronaca del loro primo incontro, a cui è ovviamente legata una bella avventura in giro per le stelle.
Molto banalmente, Leia viene fatta rapire da Reva (Moses Ingram), una jedi passata al Lato Oscuro e facente parte degli Inquisitori, un ordine di sith fondato dallo stesso Darth Vader con il compito di scovare e uccidere tutti i jedi rimasti dopo l’esecuzione dell’Ordine 66.
Reva (personaggio inventato apposta per la miniserie, mentre gli inquisitori si erano già visti nelle serie animate) spera di catturare Obi Wan Kenobi in quanto preda più ambita da Vader, e per questo fa rapire Leia. Non perché sappia niente della vera identità della bambina o dell’esistenza di Luke (sennò ci salta tutto il castello di carte), ma semplicemente perché sa che il senatore Organa era un amico di Obi Wan, e spera quindi che il vecchio jedi spunti fuori ad aiutarlo quando gli rapiscono la figlia, cosa che effettivamente avviene.
È una scelta che mi piace perché effettivamente non saprei immaginare molti altri motivi per i quali Obi Wan avrebbe abbandonato la sorveglianza di Luke. Ed è una scelta che acquista sostanza e stile quando conosciamo effettivamente la giovane Principessa Leia, anni dieci, interpretata da Vivien Lyra Blair.
A ben guardare, la giovane Leia è un po’ antipatica, una pigna in culo, se mi passate un’espressione tipica del pianeta Alderaan, ma è giusto così. Bastano due o tre scene per mostrare l’intelligenza della bambina e la sua indole ribelle, e non si fa fatica a immaginarla, qualche anno dopo, mentre si arruola segretamente nelle file dei ribelli per combattere l’Impero come una delle leader più stimare della resistenza.
Non solo: l’avventura appena iniziata con Obi Wan, quale che sia il suo sviluppo, è un espediente perfetto per giustificare il fatto che la stessa Leia mandi un messaggio ad Obi Wan all’inizio di Episodio IV.
(Finora avevamo pensato che lo conoscesse solo di fama, ma l’idea che abbiano vissuto un’avventura insieme rende tutto più solido ed emozionante)
Non è l’unica buona scelta di questo esordio, e soprattutto del pilot.
L’intera rappresentazione di Obi Wan Kenobi in quanto ex jedi ritiratosi nel deserto funziona molto bene. Non solo per la bravura e il carisma di McGregor (che è un talento coltivato ma anche un dono di natura, è così e basta), ma anche per alcune precise scelte di scrittura e messa in scena.
Il fatto che Obi Wan sia invecchiato, anagraficamente ma anche in termini di capacità di essere un soldato, potrebbe cozzare con l’idea di un “agente dormiente” che sta solo aspettando il momento buono per addestrare Luke (cosa che viene peraltro ribadita durante l’episodio).
Allo stesso tempo, nel vedere le noiose routine di una vita nascosta e oppressa dall’Impero, non è difficile immaginare la difficoltà di passare dieci anni nel deserto, senza più esercitarsi nelle vie della Forza, aspettando un momento che potrebbe anche non arrivare, in un mondo sempre più cupo e violento, con addosso il perenne senso di colpa derivante dal fallimento: Obi Wan sta aspettando il momento buono per addestrare Luke, sapendo però che l’ultimo ragazzo che a cui ha insegnato è diventato uno dei cattivi più importanti e spietati dell’universo.
Insomma, ce n’è abbastanza perché questo Obi Wan invecchiato e non esattamente scattante sia un personaggio credibile, rotondo, con il quale è facile empatizzare subito.
Quindi buone premesse, buona disposizione dei personaggi sulla scacchiera, e qualche altro piccolo tocco di classe qui e là, che si tratti della solita capacità dell’universo di Star Wars di autocitarsi in modo semi-commovente, o di scelte di stile più apprezzabili di altre (per esempio, tutta l’ambientazione da città cyberpunk del secondo episodio mi ha convinto molto, anche grazie all’inserimento di un personaggio leggero come il truffatore finto-jedi Haja Estree, interpretato dal sempre simpatico Kumail Nanjiani).
Poi però l’avventura che è stata così accuratamente preparata, va anche sviluppata narrativamente e messa in scena in un certo modo, ed è qui che Obi Wan Kenobi mostra qualche importante lacuna, soprattutto nel secondo episodio.
In termini narrativi si potrebbero andare a toccare micro-incongruenze che diversi siti specializzati di Star Wars stanno già mettendo in luce, ma visto che Serial Minds non è un sito dedicato a Guerre Stellari, mi interessa stare un po’ più nel “macro”, perché ci sono comunque alcune forzature visibili anche a chi non è un super nerd della saga completa.
Il modo in cui è gestito il personaggio di Reva, per esempio, mostra abbastanza presto alcune debolezze. Una donna particolarmente ambiziosa, che mette in campo un piano tutto sommato furbo, ma che scade troppe volte nella macchietta: nel secondo episodio finisce con l’uccidere il Grande Inquisitore a cui era sottoposta, ma fino a quel momento la sua insofferenza all’autorità era così esplicita, che ci si chiede come abbia fatto sto tizio a essere così allocco da farsi ammazzare a quel modo.
Non solo, l’omicidio in sé è reso ancora più ridicolo dal fatto che avevano Obi Wan a un passo, e non riescono a catturarlo per un misero bisticcio fra di loro. Fossi in Vader, licenzierei tutti.
Quando poi la stessa Reva rivela a Obi Wan che Anakin è vivo, qui si sente l’intero universo di Star Wars che scricchiola. Un tremito nella Forza, se preferite.
Da sempre, nella saga, esistono alcune incongruenze o facilonerie a cui i fan passano sopra per quieto vivere, perché ci sono troppe altre cose belle per farsi rovinare il divertimento. Ma per esempio, il fatto che Obi wan si sia nascosto con il figlio di Anakin sullo stesso pianeta da cui Anakin proviene, negli stessi posti in cui è cresciuto, e senza che né Obi Wan né Luke abbiano cambiato cognome, è una roba che ormai non può che suonare ridicola. Del tipo “Lord Vader, abbiamo trovato le persone che cercava, stavano sull’elenco”.
Da questo punto di vista, le cose sono due: o la questione viene in qualche modo risolta, oppure sarebbe il caso di non farne proprio menzione. In questo senso, l’impressione è che il secondo episodio di Obi Wan Kenobi sfiori quegli stessi problemi e ne crei di nuovi dello stesso genere. Quando Reva, con uno spiegone da cattiva che fa proprio anni Ottanta, consegna a Obi Wan l’informazione circa la sopravvivenza di Anakin trasformatosi in Darth Vader, si ha l’impressione di qualcosa che non dovrebbe avvenire a quel modo, così spiattellato, e si potrebbe anche arrivare a dire che Obi Wan avrebbe dovuto già saperlo, visto che sono decenni che guardiamo questi jedi avere sempre una coscienza piuttosto precisa e soprannaturale della vita o della morte delle persone a loro più care.
Ma mi rendo conto che, nonostante quello che avevo dichiarato, sto rischiando di diventare troppo nerd.
Passiamo allora alla messa in scena, dove di magagne ce ne sono più che nella scrittura.
In linea generale, queste due puntate ci presentano il consueto mondo di Star Wars, aggiungendoci un po’ di Forza e di spade laser che nelle altre serie di Disney+ non potevamo vedere granché per ovvi impedimenti di trama (se si escludono i poteri del piccolo Grogu in The Mandalorian).
Allo stesso tempo, però, non si riesce ad aggiungere granché, non c’è una scena che colpisca per la sua qualità tecnica, e anzi al contrario ce ne sono alcune che risultano mal concepite.
Nel primo episodio, per esempio, il rapimento di Leia passa attraverso una fuga nei boschi in cui una bambina di dieci anni tiene in scacco – per quelli che sembrano interi minuti – una banda di esperti mercenari. Ora, va bene che vogliamo dipingere Leia come una giovincella piena di risorse, però forse si esagera un po’.
Idem per il secondo episodio, dove Obi Wan e Leia devono fuggire da Reva, e quest’ultima fa davvero tutto quello che può per non catturare le sue prede.
In particolare, c’è una scena di inseguimento sui tetti che è proprio montata male, in cui Reva corre fortissimo, saltando qui e là tipo Trinity di Matrix, senza però mai raggiungere Obi Wan e Leia, che nel frattempo però si stanno muovendo pianissimo perché rallentati da altri cacciatori di taglie e dal fatto che Leia ha le gambe corte.
Qui peraltro si potrebbe sottolineare un altro passaggio debole della scrittura: a un certo punto Leia, appena liberata da Obi Wan, teme che lui possa essere solo un altro carceriere. Per questo gli chiede di dimostrare di essere effettivamente un jedi usando la Forza per sollevarla.
Obi Wan le dice di no, che non può farlo perché non vuole attirare attenzione su di sé.
Peccato che un istante dopo, impaurita da questo rifiuto, Leia fugga via, costringendo Obi Wan a inseguirla gridando a più riprese il suo nome, facendolo finire in una sparatoria con dei mercenari, e rischiando la vita mentre cerca di saltare nello spazio troppo largo fra due tetti (ma non era furba, sta bambina?), cosa che obbliga Obi Wan a usare effettivamente la Forza per salvarla (una Forza un po’ stitica visto il decennio passato senza usarla).
È difficile terminare questa scena, orchestrata in modo non particolarmente epico o efficacie, senza dire “certo che Ben, magari se accettavi di sollevare un sasso con la Forza, ti evitavi tutto sto macello”.
Naturalmente, poi, il secondo episodio finisce in furbizia: già sapevamo che Hayden Christensen sarebbe tornato a interpretare Anakin/Vader in questa miniserie, e che l’ultima inquadratura del doppio episodio sia dedicata a lui (con l’iconico respiro da cyborg) è una cosa tanto scontata quanto, a conti fatti, inevitabile, e ci sta pure bene.
Il tema però è proprio questo: Obi Wan Kenobi è una miniserie che, al contrario di The Mandalorian, tocca esplicitamente alcune delle corde più importanti dell’intera saga di Star Wars. Da un certo punto di vista, è LA miniserie di Guerre Stellari, quella che più di altre, per i personaggi coinvolti, dovrebbe assomigliare ai più famosi film della saga, lasciandoci la stessa sensazione di meraviglia.
Da questo punto di vista, le potenzialità sono ancora altissime, e sono certo che ci saranno momenti in cui, da fan, mi strapperò il cuore e lo offrirò allo schermo. In parte l’ho già fatto qui e là, sentendo il muscolo cardiaco stringersi di fronte a questo o quel viso, questo o quel gesto (per esempio, vedere da lontano il giovane Luke che gioca a fare il pilota, aiuto, qualcuno mi dia un fazzoletto).
Allo stesso tempo, un progetto dichiaratamente così importante e sentito avrebbe avuto bisogno di una rifinitura maggiore, di una calibrazione più precisa e meno pacchiana di certi snodi, di evitare quella complicazione di cose semplici che è uno dei difetti storici della saga, per lo meno nelle sue propaggini più recenti. E forse aveva anche bisogno di più soldi.
Manca perfino una colonna sonora che sia davvero convincente, che voglio dire, con il tesoretto sonoro della saga non doveva essere così complicato, e invece il doppio pilot non rimane particolarmente impresso nelle orecchie.
Stupisce, in questo senso, la decisione di affidare la miniserie a due persone, Joby Harold alla sceneggiatura e Deborah Chow alla regia, il cui curriculum sia così scarno. Non che la storia di Hollywood non sia piena di ciofeche partorite da grandi artisti, e capolavori tirati fuori dal cilindro di semi-sconosciuti. Ma giusto per dirne una, la mancanza di Jon Favreau e Dave Filoni, che hanno orchestrato alcuni dei momenti più belli di The Mandalorian (serie al momento nettamente superiore a Obi Wan Kenobi), si sente parecchio.
In ogni caso, ci risentiamo alla fine.
Perché seguire Obi Wan Kenobi: perché altrimenti come fai a dirti fan di Star Wars? E poi c’è Ewn McGregor, c’è Leia bambina, tornerà Dart Vader, dobbiamo stare qui.
Perché mollare Obi Wan Kenobi: i primi due episodi di una miniserie così importante avrebbero dovuto essere semplicemente migliori, sia in termini di scrittura che di messa in scena. Il compitino non ci basta.