True Blood: fuori i canini e a letto i bambini di Diego Castelli
Non dovrei scrivere un post su True Blood. E non dovrei perché non sono aggiornato: sono a metà della seconda stagione, quando in America la terza è iniziata ormai da un po’. Però me ne sbatto, perché ha davvero senso parlarne e non ci sarebbe tempo dopo le vacanze, nel ribollente calderone delle serie settembrine.
Spero che voi, miei fidi adepti, sappiate già di cosa si parla, ma se per caso foste distratti dal sole estivo, riassumo: True Blood (creata da Alan Ball, già dietro Six Feeet Under) altro non è che la versione HBO della mania vampiresca di questi anni. Quindi la base della storia è sempre la stessa: ragazza bella e di animo nobile (e pure illibata) che si innamora del vampiro buono e dal passato tormentato. Per di più, come di consueto, c’è alle spalle una serie di romanzi, scritti da Charlaine Harris. “Ah ok, solita menata”, direte voi. E invece no: ciò che cambia è l’approccio, in una rete che si rivolge a un pubblico maturo e smaliziato, ben lontano dagli adolescenti di Vampire Diaries o di Twilight (e voi sapete bene quanto, comunque, io apprezzi Vampire).
Due sono gli elementi che True Blood aggiunge allo schema classico: il primo è narrativo; il secondo attiene alla messa in scena.
L’elemento prettamente narrativo riguarda la consapevolezza dell’esistenza dei vampiri da parte degli umani. Nel mondo di True Blood, i succhiasangue si sono rivelati al mondo, rivendicando i propri diritti civili e scatenando un acceso dibattito sociale. Da qui, ad esempio, l’introduzione sul mercato del “True Blood”, un sangue sintetico – ma praticamente identico a quello vero – che i coscienziosi vampiri possono ordinare in molti bar, per rifocillarsi senza bisogno di mordere giovani colli verginei.
L’outing dei vampiri, che di per sé potrebbe parere poca cosa, contribuisce alla costruzione di un mondo che rilegge molti temi attuali della nostra società globalizzata: il rapporto con l’altro, le minoranze, l’amore interraziale. Tutti argomenti che esplodono con violenza quando gli umani, invece di ignorare l’esistenza dei vampiri, possono guardarli con sospetto o disgusto. E dunque le creature della notte non sono altro che i nostri omosessuali, e gli extracomunitari, e tutti i “diversi” oggetto di discriminazioni più o meno esplicite. Ringranziando il cielo, però, non c’è una banale divisione buoni-cattivi con gli uomini nella parte dei bigotti ignoranti: i vampiri, oltre che fascinosi e malinconici immortali, sanno essere dei gran figli di puttana, cosa che conduce a una visione d’insieme complessa e stratificata, che poi è specchio fedele della realtà quotidiana in cui viviamo.
L’altro elemento di interesse, si diceva, riguarda la messa in scena. True Blood è ambientato a Bon Temps, immaginaria cittadina della Louisiana. E proprio la Lousiana (con tutto il sud degli States) è intrisa di una storia secolare fatta di superstizioni, sette religiose, paludi fumose, Ku Klux Klan e schiavitù, piccoli bar sudaticci, foreste impenetrabili e vecchie case di legno risalenti alla Guerra di Secessione. La serie è impregnata di questa atmosfera, di questi luoghi in cui il tempo sembra essersi fermato in uno strano limbo contadino, penetrato a fatica dalla modernità dell’indipendenza vampiresca.
True Blood, se non si fosse capito, è un mezzo capolavoro: potente, sboccato, coraggioso e violentissimo. Non sarebbe la stessa cosa se mancasse anche uno solo dei molti elementi che abbiamo citato – compreso, tanto per fare un esempio, il caricatissimo accento del sud che tutti gli attori sono costretti a riprodurre – che insieme formano un mosaico estremamente suggestivo. Persino le scene più spinte ed esplicite, che ovviamente servono ad attirare in egual misura curiosità e critiche, rientrano a buon titolo in un progetto che, provocatoriamente, vuole mostrare il “true blood”: non una bevanda per vampiri (che è solo un pretesto), quanto il “vero sangue” che ci si dovrebbe aspettare da un mondo popolato da novelli Dracula. Niente adolescenti ingellati e cheerleader ingenue: qui ci sono arti mozzati, ettolitri di sangue, orge e riti voodoo. I vampiri di True Blood, quando mordono qualcuno, non si preoccupano di sporcare di rosso il cuscino. Anzi, in quel sangue si rotolano e scopano come ricci.
Molte altre cose si potrebbero dire, dalla bravura degli attori (Anna Paquin ha vinto un golden globe per la parte, e peccato solo per l’enorme e inquietante spazio tra gli incisivi…), al potere/maledizione di Sookie (legge nel pensiero, e di solito legge sconcezze). Ma come introduzione basta così.
Eventualmente mi rifarò vivo quando avrò visto che ne sarà stato della Compagnia del Sole, setta di fondamentalisti cristiani che assume particolare rilevanza nella stagione 2, e che la serie trasforma in feroce critica nei confronti di tutti quei “culti simil-religiosi/gruppi di life coaching” che fottono la mente e i soldi di un sacco di gente con le loro emerite puttanate.
Intanto, voi dateci un occhio, che merita (True Blood, non le sette religiose).
PS Vi linko i titoli di testa della serie, senza dubbio una delle migliori sigle mai concepite per un telefilm (dagli stessi geniacci già al lavoro su Six Feet Under e Dexter).
[youtube vxINMuOgAu8]
2 commenti a True Blood: fuori i canini e a letto i bambini
concordo assolutamente con ciò che hai scritto…è una serie davvero scioccante.Ti consiglio di vedere al più presto tutte le puntate disponibili…sono grandiose.
Sto seguendo la seconda stagione su MTV e devo dire che mi piace un sacco!!