Vikings: Valhalla – Netflix: il sequel di Vikings su un popolo in crisi di Marco Villa
Vikings: Valhalla è ambientata 100 anni dopo Vikings e racconta l’implosione del sistema di valori di un intero popolo
Non ci sono più i vichinghi di una volta, signora mia. Prima qui era tutto conquistare, depredare e umiliare gli avversari. E via così, aggiungete pure voi frasi fatte declinate a tema Vikings. Al netto dell’ironia, il senso di Vikings: Valhalla è proprio qui: cento anni dopo le geste di Ragnar e soci, i vichinghi sono alle prese con il più grosso attentato alla loro stessa esistenza. E non si tratta di un’invasione con le armi (non solo, almeno), ma di una crepa che spacca a metà la loro identità più profonda, la loro essenza di popolo.
Dopo le sei stagioni prodotte da History Channel che hanno trasformato Vikings in un grande successo, Netflix ha pensato bene di investire direttamente nella serie con un sequel che è ambientato all’incirca un secolo dopo gli eventi narrati nella serie madre. Come in Vikings, anche in Vikings: Valhalla (disponibile dal 25 febbraio) il grosso della faccenda vede i popoli vichinghi contrapposti agli inglesi. Là era una sorta di primo incontro, seguito dal tentativo di confrontarsi e trovare un modo per vivere senza scannarsi da mattina a sera.
Quel tentativo veniva poi trovato e per decenni alcuni clan vichinghi si sono stabiliti proprio in Inghilterra, in un territorio chiamato Danelow. La convivenza tiene, fino all’anno 1002, quando il re inglese Athelred decide che si è stancato e ordina il massacro di tutti i vichinghi, convinto di avere ormai la forza per reggere l’onda d’urto di una eventuale invasione.
Segue quindi strage e mobilitazione dei vichinghi, che riuniscono clan da ogni latitudine e si imbarcano verso l’Inghilterra. Questa è la faccenda più guerresca, quella più semplice da raccontare e mostrare. La parte più interessante di Vikings: Valhalla, però, è un’altra ed è tutta interna ai popoli vichinghi: nel tempo, il continuo confronto con gli inglesi è diventato uno scambio sotto ogni punto di vista, compreso quello culturale e religioso.
Tantissimi vichinghi si sono convertiti al cristianesimo e l’adesione ai vecchi dei o al dio dei cristiani è un discrimine violento, che sta distruggendo tutto il popolo. Da una parte chi è fedele alla tradizione, dall’altro chi guarda ai primi come a dei rozzi primitivi e, convinto della propria superiorità, non si fa problemi ad ammazzarli in nome del proprio dio.
Ovvero: a tanto così dalla guerra civile, spezzando quel racconto di un popolo diversificato, ma inscalfibile che ci aveva consegnato Vikings. Questo doppio binario- guerresco e religioso – è rappresentato dalle vicende di due fratelli, che arrivano dalla Groenlandia per una vendetta personale e restano poi incastrati dalla vendetta collettiva nei confronti degli inglesi.
Sono Leif (Sam Corlett) e Freydis (Frida Gustavsson): il primo viene portato a combattere gli inglesi, la seconda inizia invece un pellegrinaggio per andare a toccare con mano le radici degli antichi culti, nella consapevolezza che potrebbero avere i giorni contati.
È questa la differenza principale di Vikings: Valhalla rispetto a Vikings: la messa in discussione dell’identità dei propri eroi. In Vikings era un tema che toccava l’interiorità di alcuni personaggi (Ragnar su tutti), mentre qui diventa una questione legata alla sopravvivenza stessa di un intero popolo e per questo motivo si tratta senza dubbio dell’aspetto più interessante di questo sequel.
Per inserire questa faccenda, viene semplificato tutto il resto, trovando così una notevole compattezza, ma lasciando sempre, in ogni puntata, la sensazione che un intero mondo sia in via di disfacimento, che un popolo ha perso un elemento che lo rendeva unico. Che non ci sono più i vichinghi di una volta, per tornare all’inizio del pezzo.
C’è poi un’ultima questione, che non si può non citare, ma su cui passiamo velocissimi: nella serie, Caroline Henderson interpreta la Jarl Haakon, una capa vichinga dalla pelle nera, elemento in evidente contrasto con quel piccolo sistema di fatti e avvenimenti chiamato “storia”. Il personaggio è infatti basato su una figura realmente esistita, Haakon Sigurdsson, che però era un uomo bianco. Si tratta di una scelta politica della produzione, che non ha presupposti storici e che non ha conseguenze concrete sul piano narrativo. Insomma, un gigantesco boh.
Perché guardare Vikings: Valhalla: perché introduce la tematica dello scontro fratricida a tema religioso
Perché mollare Vikings: Valhalla: perché se non vi ha catturato la prima serie, difficilmente lo farà questa