Fedeltà – Netflix: fredda cronaca di un amore in frantumi di Marco Villa
Tratta dal romanzo di Marco Missiroli, Fedeltà è la storia di un amore che va in frantumi, raccontata però con troppa freddezza
Il dramma adulto è una delle basi della serialità e della cinematografia di tutto il mondo. Ed è curioso che in Italia arrivi solo oggi la prima serie originale Netflix con questo tipo di protagonisti. Prima ci sono stati giovani di ogni tipo (Baby, Summertime, Generazione 56k, SKAM…), lune di ogni tipo e perfino una serie animata. Solo adesso, a cinque anni dall’esordio di Suburra, arriva il primo drammone dei sentimenti prodotto in Italia da Netflix: è Fedeltà, serie tratta dall’omonimo romanzo (di grande successo) pubblicato da Marco Missiroli per Einaudi nel 2019, da cui prende le mosse, per poi cercare strade autonome.
Un drammone amoroso in sei episodi che è soprattutto un dramma della gelosia e del sospetto. La storia, brevemente: Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone) sono una coppia sui 35 anni. Lui è uno scrittore che porta a casa lo stipendio insegnando scrittura, lei una architetta che porta a casa lo stipendio lavorando come agente immobiliare.
Stanno insieme da tempo, in apparenza sono la coppia perfetta, piena di progetti da costruire, compresa una casa più grande da acquistare. Tutto precipita quando Carlo ha un incontro ravvicinato con Sofia (Carolina Sala), una sua studentessa: lei ha un piccolo mancamento, lui la abbraccia per sostenerla, ma una ragazza vede quanto accade e lo riferisce al responsabile della scuola.
Carlo lo definisce un malinteso e ne parla anche con Margherita. Da quel malinteso, però, la coppia si sfascia: Margherita non riesce più a fidarsi, si convince che lui abbia una storia con la studentessa e a sua volta inizia a lanciare segnali sempre più espliciti al suo fisioterapista. Non sto a entrare nei dettagli, ma quel malinteso, che non verrà mai chiarito, mette in moto delle dinamiche di sospetto, rivalsa e contro-rivalsa, che alla fine faranno deragliare la coppia, ormai incapace di rapportarsi con il concetto stesso di fedeltà. La relazione si rivelerà anche essere l’elemento di stabilizzazione (o di freno?) delle loro esistenze, che di colpo si lanciano in nuove direzioni.
Fedeltà è una storia a suo modo piccola, che ruota intorno a due personaggi (+ la studentessa Sofia) e che cancella tutto ciò che li circonda: è una storia che abbiamo visto tante volte nel cinema italiano, una di quelle vicende da dramma borghese vissute in molti film ambientati a Roma, a cavallo tra anni ‘90 e 2000. E quello sembra proprio il riferimento principale, per quanto la serie non nasconda di voler essere un prestige drama stile HBO.
Si tratta però di un obiettivo che rimane piuttosto lontano, soprattutto perché si fatica a entrare in connessione con la vicenda dei due personaggi, che risultano sempre freddi, concentrati su se stessi e distanti tra loro, ma distanti anche dallo spettatore. Riondino e Guidone non appaiono però fuori ruolo e questo esito è probabilmente da legare a scelte di scrittura e regia, con quest’ultima (curata da Andrea Molaioli e Stefano Cipani) che si fa notare anche per una fotografia poco contrastata, che aumenta la sensazione di distanza.
L’asticella era piazzata in alto e il tentativo di salto non può dirsi riuscito, ma è giusto comunque sottolineare il netto passo avanti rispetto all’ultimo titolo italiano di Netflix, quella Luna Park che aveva lasciato dietro di sé solo macerie. Il livello di Fedeltà è un altro, sotto ogni punto di vista: come detto, siamo dalle parti di tanto cinema italiano borghese, un sottogenere che nel tempo si è talmente codificato da crearsi schiere di fan e di detrattori.
Un po’ come accaduto per Gabriele Muccino, perché in fondo la sua A casa tutti bene è una versione extra-large di questa serie. Paragone forzato? Può essere, ma l’obiettivo, quel dramma famigliare stile HBO, era lo stesso per entrambe.
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