A casa tutti bene – La serie: Gabriele Muccino al 1000% (poi fate voi) di Marco Villa
Da sempre, Gabriele Muccino scatena un tifo da stadio intorno alle sue opere: A casa tutti bene – La serie non farà eccezione.
Se penso ai film di Gabriele Muccino, il primo aspetto che mi viene in mente è l’intreccio, la quantità di personaggi e storie che si incrociano, magari in un tempo e in uno spazio ben definito. Dai ragazzi di Come te nessuno mai ai quasi adulti dell’Ultimo bacio, fino agli adulti fatti e finiti (ma mai risolti) di A casa tutti bene e Gli anni più belli. Tutte storie che si prestano alla trasformazione in serie, proprio in virtù della quantità di personaggi e relative storie, capaci di uscire dalla costrizione delle due ore, per espandersi nella lunga durata di una serie. E questo al netto dei giudizi su Muccino, forse l’unico regista italiano contemporaneo capace di trasformare le reazioni in tifo. Tutto questo per dire che sì: l’idea di trasformare un film di Muccino in una serie è tutt’altro che campata per aria e il fatto che arrivi sotto il cappello di Sky Original è la scelta più sensata di questo mondo.
A casa tutti bene – La serie (dal 20 dicembre su Sky Serie e NOW) è l’adattamento seriale del film del 2018, che segna il vero ritorno in Italia di Muccino, dopo l’esperienza decennale negli Stati Uniti e dopo quella sorta di opera di transizione che è stata L’estate addosso. In A casa tutti bene – La serie, al centro della storia c’è una famiglia: patriarca (Stefano Acquaroli) che si è fatto da solo, trovando grande ricchezza nella ristorazione; moglie con cui c’è solo una complessa sopportazione (Laura Morante); figlio maggiore (Francesco Scianna) che morde il freno e vuole gestire il patrimonio di famiglia; figlio mezzano (Simone Liberati) scrittore in crisi; figlia minore (Silvia D’Amico) che – semplicemente – fatica a trovare il proprio posto e subisce i tradimenti del marito. Questo è il nucleo ristretto, a cui si aggiunge una cerchia più allargata di parenti (tra cui spicca il personaggio interpretato da Emma, al secondo ruolo con Muccino), che si raduna in occasione del settantesimo compleanno del patriarca: una serata attraversata da tensioni, richieste e bisogni, che si conclude con l’infarto del festeggiato. Un equilibrio di per sé precario finisce così per saltare, costringendo tutti a entrare in una nuova fase della propria vita.
Guardando i primi episodi, la prima reazione ironica è stata: “ecco la risposta romana a Succession”, ovviamente senza voler mettere a confronto le due serie, perché pressoché qualunque titolo contemporaneo uscirebbe con le ossa rotte da questo confronto. La forza di A casa tutti bene è proprio l’ampiezza del proprio parco personaggi: se nel primo episodio non è semplicissimo stendere una mappa mentale di tutti i rapporti, una volta stabiliti i legami si ha una base di partenza già molto ricca per lo sviluppo delle storie, che metteranno tutti i personaggi di fronte ai propri limiti.
Al di là del gusto personale, l’unico giudizio sensato che si può dare sui primi episodi di A casa tutti bene è che sono Gabriele Muccino all’ennesima potenza. Con tutto ciò che ne consegue: attori che rendono bene, ma sempre a tanto così dell’enfasi; regia puntellata da virtuosismi che raramente si vedono in una serie tv, ma che proprio per questo alla lunga possono risultare di troppo. Muccino, insomma, con il prendere o lasciare che spesso ha accompagnato la sua carriera e che si può cogliere già dalla prima immagine del trailer qui sopra.
A casa tutti bene è una serie che può anche respingere (a cominciare dalle scelte stilistiche dei flashback), ma è innegabilmente una serie di livello superiore rispetto alle fiction italiane da generalista (e qui si spiega quel riferimento iniziale al cappello di Sky), pur rivolgendosi a quel pubblico. Come tutto il cinema di Muccino, si tratta di un’opera che ha un chiaro intento nazionalpopolare e nel 2021 mi auguro che non serva più sottolineare la connotazione di questo aggettivo. E da questo punto di vista non si può dire nulla, perché, se pensiamo al racconto televisivo di grandi storie di famiglia, i titoli che vengono in mente sono lontani anni luce da questo. Che non è perfetto, che può irritare o entusiasmare per gli stessi identici motivi, ma che è una rappresentazione chiarissima della cifra stilistica del suo autore. Talmente chiara che non vi farà cambiare posizione di un millimetro sul suo autore, che ha un ruolo da showrunner (o supervisore artistico, come viene declinato all’italiana) e che ha diretto tutti gli episodi. Perché alla fine lo sapete benissimo da soli se siete mucciniani o anti-mucciniani. E i motivi per vedere o meno A casa tutti bene stanno tutti lì.
p.s. Al di là del vostro schieramento, vi consiglio di leggere l’autobiografia scritta con Gabriele Niola: super-interessante per chiunque sia appassionato di cinema.
Perché guardare A casa tutti bene – La serie: perché è una serie italiana nazionalpopolare di un altro livello rispetto al solito
Perché mollare A casa tutti bene – La serie: perché siete allergici allo stile Muccino