You terza stagione – Quella della meta-consapevolezza di Diego Castelli
Il ritorno di You ha diviso le opinioni fra chi ha apprezzato i cambiamenti, e chi li ha considerati un tradimento dello spirito originale
ATTENZIONE, SPOILER SU TUTTA LA TERZA STAGIONE
Mi è arrivata da più parti (cioè oddio, me l’han chiesto in due) la richiesta di un commento sulla terza stagione di You, arrivata su Netflix lo scorso 15 ottobre. E in effetti fare un punto della situazione può essere interessante, perché la terza stagione ha abbastanza diviso il pubblico della serie, più di quanto non avesse fatto la seconda, e lasciato una buona parte di spettatori e spettatrici con un’opinione non del tutto chiara, quei proverbiali “mixed feelings” che si provano di fronte a quei prodotti che hanno provato a cambiare qualcosa di sé, ma che non si capisce se sono cambiati in meglio o in peggio.
Per quando mi riguarda, la terza stagione di You ha certamente segnato un cambiamento rispetto al passato, ma più che in “meglio” o in “peggio” (comunque ci arriviamo), il tema per me è che era sostanzialmente inevitabile.
Andiamo un attimo con ordine, anche se a questo punto dovremmo essere tutti allo stesso punto. You è una serie che nella sua prima stagione raccontava una storia di stalking, amore tossico, ossessione, violenza, dal punto di vista del molestatore, un ragazzo (interpretato da Penn Badgley) che parla in prima persona dei propri sentimenti e che procede a una precisa e attenta disamina razionale delle sue devianze, spesso per prenderne coscienza, ma ancora più spesso, in una spirale oscura, per giustificarle e assecondarle.
Fin dall’inizio della serie io mi ero stupito della facilità della sua accettazione fra il pubblico e soprattutto fra chi tende ad avere le antenne molto dritte su queste questioni. Perché se è vero che lo show creato da Sera Gamble e Greg Berlanti non dimentica mai di mostrarci il punto di vista del protagonista Joe come una prospettiva “sbagliata e pericolosa” (tutta la serie, di fatto, è anche un’esplorazione del concetto di “male gaze”, lo sguardo maschile che secondo la teoria femminista pervade una grande parte della produzione artistica umana fino a oggi, uno sguardo che, anche quando idealizza le donne, le oggettifica e le spersonalizza), ma allo stesso tempo, a conti fatti, presenta un eroe (in senso narratologico) maschio, bianco, belloccio, che fagocita l’interezza del punto di vista, che stalkera e uccide le donne e che, soprattutto, fa sorgere in noi il desiderio che lui effettivamente la scampi ogni volta.
Mettiamola così, sono molto felice che l’interpretazione della serie sia sempre stata quella corretta, ma allo stesso tempo sono molto stupito, visto che abbiamo assistito a vistose proteste per molto meno.
Fatta questa premessa, possiamo poi dirci in cosa You è significativamente cambiata. La seconda stagione proponeva un canovaccio piuttosto simile alla prima, e la promessa di cambiamento arrivava solo alla fine, quando la ricomparsa di Love, ex fidanzata del protagonista e pericolosa più o meno quanto lui, prometteva di scombinare la sua vita anche in virtù di un piccolo dettaglio: era incinta.
Con la terza stagione effettivamente cambiano molte cose. Non la propensione di Joe a innamorarsi in modo maniacale di qualunque bella donna gli capiti a tiro, quello no, ma è cambiato il contesto: siamo ora in una raffinata provincia borghese americana, e Joe condivide con Love la vita del genitore di un piccolo neonato che gli dà molto da pensare in termini di passato, presente e futuro, di responsabilità, amore, progetti.
Dal punto di vista narrativo, a cambiare è il fatto che Joe non è più l’unica potenziale fonte della violenza. Anzi, è soprattutto Love che, incapace di gestire sia le sue gelosie verso il marito, sia le sue pulsioni verso altri uomini, finisce con l’ammazzare a destra e a manca, costringendo Joe e correrle in aiuto per non distruggere tutto quello che hanno creato. E questo senza dimenticare che è lo stesso Joe, mai realmente innamorato della moglie, a mordere il freno per tornare a fare quello che più gli piace, cioè autoconvincersi di amare donne che in realtà vuole solo possedere in nome di sogni romantici facilmente trasformabili in ossessioni paranoiche.
Ma oltre all’ambientazione, allo sviluppo della trama e ai pesi reciproci dei personaggi (Love è di fatto co-protagonista della stagione, per quanto non abbia facoltà di farci conoscere il suo punto di vista allo stesso modo di Joe), a cambiare è stato soprattutto il tono. You non è mai stata una serie eccessivamente cupa, e fin dall’inizio, con una certa cautela, si sarebbe potuto usare il termine “parodia”. Con la terza stagione, però, ogni indugio viene rotto. Ci sono molti momenti di questo terzo ciclo di episodi che sono pienamente comici (penso alle vicissitudini della coppia Sherry-Cary, ma anche alle sessioni di terapia di coppia di Joe e Love), e altri che si avvicinano al grottesco molto più che in passato. Di fatto, la continua riproposizione dello schema “Love uccide qualcuno – Joe mette una pezza – Love ammazza qualcun altro”, porta a un parossismo che strizza l’occhio ai fratelli Coen, e che crea scene in cui le riflessioni più filosofiche lasciano il passo a un intrattenimento tanto malato quanto puro e semplice.
In questo senso, You è diventata più meta, termine che qui abbiamo sempre usato, e che adesso Zuckerberg sta cercando di fregare a tutti quelli che parlano di narrazione. È insomma una serie che ha giocato coi generi e coi punti di vista, e che ora si è concessa una deviazione ancora più consapevole nel territorio dell’horror di provincia, del thriller caciarone, della mattanza autoconsapevole. E come dicevo all’inizio, trovo che un certo cambiamento fosse anche inevitabile: la seconda stagione era già apparsa un calco della prima, e trasformare You in una sequela di femminicidi in cui l’uomo violento si salva sempre solo per il nostro gusto della suspense, avrebbe potuto diventare effettivamente un’offerta insostenibile, oltre che francamente noiosa.
Per questo la terza stagione è a mio giudizio migliore della precedente, perché accetta l’impossibilità di fissarsi su uno schema che è esso stesso malato, e che ha bisogno di scossoni per rimanere credibile non tanto in sé e per sé, quando come offerta verso un pubblico che si vuole accompagnare in un certo percorso di senso.
Resta però un ultimo elemento dal considerare, e cioè il fatto che effettivamente Joe non cambia mai.
Certo, cambia ciò che ha intorno, cambiano (e anche di molto) le sfide che deve affrontare. Gli viene anche concessa la possibilità di fare esperienze nuove e meritevoli di riflessione, dalla passione fisica che si scatena con Love solo in concomitanza con la violenza, al percorso di terapia di coppia che sfocia in esiti tragicomici, fino alla sua chance di sentirsi “normale” quando si trova ad avere a che fare con i feticismi dei vicini. Il fatto che la prospettiva di Joe cerchi di mostrarci come sano e ragionevole uno che ammazza le donne in confronto a gente che semplicemente fa innocui scambi di coppie, è un altro modo per segnalarci certe storture del mondo in cui viviamo, in cui è effettivamente più facile vedere la comprensione verso uno che picchia la moglie (“sì ma lei cos’ha fatto?”), piuttosto che verso della gente che si intrattiene con le “cosacce”.
Nonostante tutto questo, però, il nucleo della devianza di Joe rimane sempre lo stesso. Cosa che è stata pure oggetto di critica (se non si fosse capito, questa stagione è stata criticata sia per quello che ha cambiato, sia per quello che ha lasciato com’era).
Di nuovo, però, mi sembra che le cose siano state fatte con intelligenza. Se decidiamo di raccontare la storia di uno che ha problemi mentali evidentissimi, che è pericoloso e violento, che rappresenta un certo modo (sbagliato) di guardare le donne per trattarle come oggetti da idolatrare o distruggere, a seconda di esigenze che però sono sempre e solo maschili, allora non può cambiare semplicemente “perché sì”, o perché ha un figlio. Una serie che faccia un discorso anche parodico, anche sopra le righe, su questi temi, non può però permettersi di “guarire” il suo antieroe con il semplice zucchero hollywoodiano. Né, io credo, è pensabile che Joe a un certo punto vada in terapia ed effettivamente diventi una persona migliore.
La terza stagione di You termina con la morte di Love, con Joe fuggito e dato per morto, con la sua ultima fiamma ancora viva e vegeta (e non consapevole del rischio che ha corso con il suo ex collega della biblioteca). Non sappiamo cosa succederà nella quarta stagione, ma sappiamo che Joe dovrà ancora essere lui, perché è anche nella persistenza del suo sguardo, nella difficoltà di sradicare la sua oscurità con la semplice volontà, e nella determinazione con cui Joe (spesso involontariamente) usa la sua intelligenza per giustificare le sue azioni criminose, che si fonda buona parte del discorso culturale e sociale dello show.
Per dirla in altro modo, se aspettassimo di veder cambiare Joe per merito di una specifica donna, staremmo implicitamente dicendo che il suo problema dipende proprio dalle donne, e che in qualche modo sia responsabilità di quelle stesse donne “salvarlo” da se stesso. Ma questo significherebbe proprio cadere nell’errore di considerare lui, il maschio predatore, il centro di una storia che vede in lui un eroe che, se sbaglia, ha sempre e comunque diritto a un’altra chance. Non credo che Berlanti e compagnia vogliano far passare questo concetto.
PS Fra le critiche negative rivolte alla stagione ho letto in molti commenti (e parlo soprattutto di commenti di utenti americani) l’accusa di essere troppo woke. Si facevano anche riferimenti precisi come il momento in cui Marienne si lamenta del fatto che l’attenzione di media e polizia per la sparizione di una donna bianca è infinitamente superiore a quello che riceverebbe una donna nera nelle stesse condizioni.
Ora, è evidente che si tratta di critiche ridicole. A parte che, nello specifico, quella e altre frasi simili rispondono oggettivamente a verità. Ma a prescindere da questo, voi sapete bene che io non sono un osservatore a-critico dei modi in cui alcune legittime e doverose istanze per i diritti civili, delle donne, della comunità LGBTQA finiscono con l’influenzare la produzione e la revisione di contenuti audiovisivi. Mi avete già sentito parlare con poco entusiasmo di certe specifiche scelte (tipo Anna Bolena nera) o di certe strategie con cui la stessa Netflix costruisce i suoi cast con davanti la tabella in cui flaggare le caselle, questo ce l’abbiamo, questo pure, questo anche. Sono insomma uno che crede fermamente che anche le battaglie più giuste e sacrosante (e queste lo sono) possano finire in mano agli imbecilli (e alle imbecilli, non bisogna discriminare sulla stupidità).
Detto questo, però, mettersi a criticare una serie come You alla terza stagione, perché qui e là si lascia sfiorare appena più di prima da temi che comunque già trattava e che tutti siamo chiamati a considerare perché questa è la realtà in cui viviamo, mi sembra veramente una roba da frustrati della peggior specie.