4400 – Ma perché, oltre a fare i reboot, li fate pure brutti? di Diego Castelli
La nuova versione di 4400 è significativamente peggiore della prima, che già non è che fosse sto splendore
Dal luglio del 2004, per quattro stagioni, andò in onda su USA Network una serie che raccontava di un gruppo di persone che, dopo essere sparite nel nulla nel corso degli anni precedenti, ritornavano tutte insieme in un unico punto, senza avere alcun ricordo degli anni trascorsi e senza essere cambiate di una virgola, se non per un piccolo particolare: l’acquisizione di una serie di abilità soprannaturali che andavano dalla telecinesi alla preveggenza.
Quella serie si chiamava The 4400 (perché quello era il numero dei “ritornati”) e oggi, a ottobre 2021, CW ha messo in onda il pilot del reboot di quello show, che per non sbagliare si chiama ancora 4400.
Sul tema remake/reboot/sequel non perderemo troppo tempo. In questi anni serpeggia sul web la precisa (e infastidita) percezione che “qui ormai è tutto un remake”, anche se sappiamo che quella percezione è almeno in parte inesatta: la storia del cinema, fin dai suoi esordi, è talmente piena di rifacimenti e riproposizioni delle stesse storie, da rendere difficilmente sostenibile l’idea che viviamo in una specifica era dei reboot.
Allo stesso tempo, è ugualmente vero che questo ragionamento attiene soprattutto al grande schermo, perché la tv è un medium più giovane e che ha accumulato un magazzino di titoli quantitativamente inferiore nel corso dei decenni, e quindi solo ora si mette a rebootare (mi si perdoni l’orrendo inglesismo) con una frequenza probabilmente sconosciuta in passato.
In aggiunta, fa certamente un po’ specie assistere al ritorno di titoli che sono effettivamente molto recenti: vale la pena di citare, accanto a 4400, anche Gossip Girl, che dopo aver debuttato nel 2007 e chiuso nel 2012 ha trovato un sequel nel 2021. È altrettanto giusto sottolineare, però, che il cambio di rete non è ininfluente: Gossip Girl si è spostata da CW a HBO Max, due network dal pubblico significativamente differente, e 4400 è passata da Usa Network a CW, dove vale lo stesso discorso.
Non addentriamoci oltre, era solo per dire che 4400 si inserisce in un discorso potenzialmente articolato sul tema dei ritorni dei vecchi franchise, che in questi anni è stato vissuto con sentimenti contrastanti (per essere chiari, anche a me capita di dire “ancora??!?!”), ma che presenta tante sfaccettature. Ne parliamo meglio un’altra volta.
Il vero problema, comunque, dovrebbe essere un altro. Da un certo punto di vista, chi se ne frega se una nuova serie che guardiamo è del tutto originale o è il remake di un’altra serie già trasmessa (che magari neanche abbiamo guardato). Il tema vero: è valida o no?
Tornando a noi, il reboot di 4400 (perché questo è proprio un reboot, non un sequel come Gossip Girl) ricalca in maniera abbastanza precisa il concept originale: 4400 persone scomparse nel corso del Novecento e riapparse ora, tutte nelle stesso luogo, con grande sgomento delle autorità e dell’opinione pubblica. Ci sono sempre i poteri soprannaturali; ci sono i patemi d’animo di chi ha ancora amici, coniugi, figli in vita, ma li ritrova in una versione cresciuta di loro stessi, magari colmi di rancore o indifferenza per la persona ritornata; ci sono le speculazioni scientifiche e le ipotesi di complotto. Ancora non sappiamo se lo sviluppo successivo della serie seguirà quello dell’originale, soprattutto riguardo il motivo della sparizione e del ritorno (che non spoilero qui, anche se ormai sarebbero spoiler in prescrizione, ma se volete cercate su wikipedia), però intanto l’inizio è abbastanza simile.
Oddio, una differenza importante c’è: la nuova 4400 è dichiaratamente una serie molto woke, molto inclusiva, tanto è vero che la trama è stata appositamente modificata in tal senso. Se negli anni Duemila le persone scomparse e ritornate era persone qualunque, di estrazione molto diversa (poi certo, quasi tutte bianche, ma senza che sulla cosa venisse posto grande pensiero), in questa nuova versione viene espressamente dichiarato che i 4400 sono tutti individui in qualche misura emarginati e facenti parte di minoranze di vario tipo. Il che significa che i personaggi sono in larga parte neri (e magari neri degli anni Venti, o Cinquanta, che quindi conoscono una discriminazione particolarmente forte), a cui si aggiungono persone con disabilità di qualche tipo, e probabilmente altri esempi di marginalità che verranno presentati nelle prossime puntate.
Sappiamo benissimo quanto una scelta del genere finisca inevitabilmente per spaccare le opinioni, perché si tratta di una scelta editoriale e politica che, al netto dell’essere perfettamente legittima, potrebbe venire spalleggiata a priori da chi ha a cuore il tema dell’inclusività (nel senso di “indipendentemente dalla qualità del prodotto”), e bocciata sempre a priori (e sempre senza alcun riguardo verso l’efficacia del prodotto) da chi invece ce l’ha a morte con il politically correct.
Per quanto mi riguarda, giusto perché sono qui anche per dirvi la mia, l’operazione appare un tantinello stucchevole, anche a causa singole scelte: l’esempio più lampante è il personaggio del dottor Andre, un medico transgender degli anni Venti interpretato dall’attore trans TL Thompson. A far alzare un sopracciglio, in questo caso, è l’epoca: la provenienza di un medico nero e trans (che è palesemente tale, se mi è concesso dirlo) dagli anni Venti sa già abbastanza di fantascienza così, senza bisogno di tutta la storia dei 4400. E non perché negli anni Venti non esistessero le persone trans o che avrebbero voluto manifestarsi in quanto trans, ma perché dubito esistessero i medici neri e trans senza che nessuno dicesse niente. Il pilot non affronta questo tema in alcun modo, forse la serie lo farà nelle puntate successive (magari raccontandoci che il dottor Andre, negli anni Venti, teneva nascosta a tutti la sua natura), ma rimane il fatto che la scelta è molto evidente e andrebbe gestita con la consapevolezza di questa evidenza. Cioè, banalmente per non sembrare stupidi.
Comunque insomma, ok tutta la pappardella sui remake e reboot. E ok tutta la tiritera sull’inclusività. Ma buon Dio, vogliamo dirci o no se sta serie è piacevole da guardare?
Scusate, cercavo solo di rimandare l’inevitabile, perché la risposta è no.
Il pilot di 4400 è brutto, e questa bruttezza ha poco a che fare con l’esasperazione da reboot o le reazioni bianco-etero-patriarcali all’inclusività.
È brutto perché è girato in modo scolastico, con recitazioni da compitino, con l’incapacità abbastanza palese di gestire un numero elevato e potenzialmente interessante di personaggi. Perché che un interesse potenziale ci sia, è abbastanza evidente: quando puoi mettere nello stesso posto un’avvocata che scopre che il marito si è risposato quando lei è sparita, un chirurgo della Prima Guerra Mondiale, un’attivista per i diritti civili, la discendente di una famiglia di televangelisti degli anni Novanta, una ragazza scomparsa negli anni Settanta, una starletta della tv degli anni anni Duemiladieci, e altri figure simili, tutte insieme, è chiaro che può uscire fuori qualunque cosa.
Solo che nel pilot questa potenzialità non si vede, perché i personaggi sono presentati in modo superficiale e macchiettistico, ci sono già evidenti sbilanciamenti su chi è più protagonista degli altri (in un momento in cui non servirebbe), e tutto rimane rigorosamente in superficie, come una collezione di figurine che non ha molto altro da dire.
Ma in realtà il problema vero è un altro e riguarda una battaglia che qui a Serial Minds portiamo avanti da undici anni: la lotta contro il didascalismo, cioè la propensione a spiegare tutto in modo piatto, immediato, banale.
È chiaro che esistono anche differenze di genere e piattaforma, e una serie pensata per la tv (e per un pubblico) generalista, tenderà a essere più chiara ed esplicativa di certe produzioni da cable tv o streaming che giocano, anche per consapevole contrasto, con la voglia di essere silenziose, criptiche, sfumate. Ma anche se teniamo conto di questa differenza (e di serie tv, sia drama che sitcom, capaci di spiegare le cose in modo chiaro E affascinante ce ne sono eccome), dovrebbe esserci una regola buona per tutti: evitare di pensare che il tuo pubblico sia scemo.
Ecco, il pilot di 4400 tratta il proprio pubblico come se fosse scemo, spiegando tutto ciò che può (a parte ovviamente i dettagli risolutivi del mistero su cui la storia di basa) in maniera diretta, pacchiana, sbrodolata. Ogni informazione viene spiattellata, ogni sentimento viene accuratamente verbalizzato, probabilmente perché non ci si fida della capacità del cast di veicolarlo senza usare parole. E probabilmente hanno pure ragione a non fidarsi, così a occhio e croce.
Quello che ne esce è una serie di mistero in cui non si sente alcun mistero, in cui non si percepisce alcuna urgenza conoscitiva, perché la presentazione è così goffa e banale, da darci l’assoluta certezza che anche quando riceveremo risposta alle vere domande poste dalla serie, quella risposta arriverà con uno stile e un tono che ci farà pentire di non aver dedicato lo stesso numero di ore all’apprendimento del sanscrito.
Un margine di miglioramento esiste ancora, pure sotto l’aspetto dell’inclusività: il confronto fra personaggi di estrazione ed epoche così diverse (oddio, son tutti neri, ritornati, poliziotti, avvocati, non c’è manco un ispanico, e forse un solo asiatico, per dire) può effettivamente fornire spunti di riflessione interessanti, ma il livello attuale della sceneggiatura non promette niente di buono, mentre dal punto di vista visivo abbiamo delle solide certezze: se il pilot è visivamente così perdibile, di certo la situazione non migliorerà.
Io chiudo qui, già non ero riuscito a finire la serie originale, qui manco ci provo.
Perché seguire 4400: se provate un piacere compulsivo a fare confronti con la prima 4400.
Perché mollare 4400: pensate a un qualunque difetto che vi venga in mente legato al concetto di “brutta serie tv”: ecco, è probabile che 4400 ce l’abbia.