Only Murders in the Building – Star: una comedy dark che è una chicca di Marco Villa
Un omicidio a New York, l’indagine di due misantropi e una millennial: Only Murders in the Building è una serie 100% Woody Allen
Se per caso ci fosse bisogno di una ulteriore prova del fatto che Woody Allen non è solo il nome di un regista, ma può essere anche agilmente declinato come aggettivo, Only Murders in the Building sembra nata apposta per questo scopo. Due misantropi che appartengono al mondo dello spettacolo, una giovane ragazza che in apparenza non ha nulla in comune con loro, un mistero da risolvere e soprattutto New York. Che si vede poco – perché con il Covid si gira soprattutto in interni ben circoscritti dove mantenere le bolle, ma sai che è lì e cosa significa in termini di caratterizzazione dei personaggi.
Tutto questo, dicevo, è Only Murders in the Building, disponibile in Italia dal 31 agosto su Star (ovvero Disney+) con i primi due episodi (poi uno a settimana). I due misantropi sono un ex attore televisivo (Steve Martin), un ex regista teatrale (Martin Short), mentre la ragazza (Selena Gomez) è la tipica millennial, che nasconde insicurezze e dubbi dietro un broncio perenne. I tre di fatto non si conoscono, ma iniziano a frequentarsi quando scoprono di avere una comune passione per un podcast true crime, i cui insegnamenti tornano utili per indagare su un suicidio avvenuto nel palazzo. O almeno suicidio è la conclusione a cui giunge la polizia, ma i tre non sono convinti e le loro indagini diventano la base per realizzare a loro volta un podcast: per i due uomini è il modo di tornare in pista, mentre Mabel ha forse altri motivi per portare avanti l’indagine.
Il fatto che i protagonisti siano Steve Martin e Martin Short fa capire subito che non siamo certo dalle parti di un thriller vero e proprio, anzi. Il tono è leggero e non c’è un solo momento che si possa definire di tensione, nemmeno lontanamente. Tutti i personaggi danno vita a botta e risposta di battute e contro-battute, con gli uomini che si punzecchiano a vicenda e Mabel che sottolinea con sguardi al cielo la distanza generazionale. Sotto questo strato leggero, però, c’è un livello più profondo che parla in modo piuttosto chiaro del vero punto in comune tra i personaggi, ovvero un sentimento di solitudine che caratterizza la vita dei tre, che vivono in un palazzo pieno di gente, all’interno di una città da oltre otto milioni di abitanti, ma non hanno nessun tipo di rapporto sociale. L’indagine diventa così non solo il modo per dare una scossa al proprio quotidiano, ma anche per trovare un legame con qualcuno.
Creata dallo stesso Steve Martin con John Hoffmann (uno degli autori di Grace and Frankie e non è un caso, vien da dire), Only Murders in the Building è una serie tutta di scrittura, in cui è fondamentale che tono e atmosfere siano sempre sotto controllo. Nei primi due episodi è così e la solidità (e semplicità, in fondo) dell’impianto lascia pensare che le cose possano continuare su questi stessi livelli. Only Murders in the Building è una serie di cuore, con personaggi a cui ci si affeziona nel volgere di poche scene: la distribuzione settimanale è solo l’ultimo tassello che rende tutto tutto tutto giusto. Woodyallenescamente giusto.
Perché guardare Only Murders in the Building: per il trio di protagonisti e per il tono sempre ottimo
Perché mollare Only Murders in the Building: perché non è un thriller vero e proprio