Nine Perfect Strangers: le miniserie piene di tutto a cui manca ancora qualcosa di Diego Castelli
La premiata ditta Kelly – Kidman torna con una miniserie di Prime Video che ha un sacco di pregi, ma che non dà ancora la zampata vincente
A conti fatti parliamo solo di tre volte ma, forse a casa della sua visibilità, il sodalizio fra Nicole Kidman e David E. Kelley (creatore, fra le altre cose, di Ally McBeal e Boston Legal) è già diventato materia da inside joke per serialminder, quelle cose tipo “come farei questo autunno senza una serie con David E. Kelley con Nicole Kidman”. Non siamo ancora ai livelli di Ryan Murphy con Sarah Poulson, però insomma, i due vanno d’accordo, sfornano miniserie che piacciono a pubblico e critica e vincono premi, chi glielo fa fare di smettere?
Dopo Big Little Lies e The Undoing, ecco allora Nine Perfect Strangers, miniserie di Hulu (da noi disponibile su Prime Video) i cui primi tre episodi finora rilasciati mostrano location e concept piuttosto diversi dalle altre due, condividendo però l’idea del racconto corale pieno di volti ben noti e l’atmosfera misteriosa in cui tutti o quasi nascondono segreti da scoprire.
Protagonista (ammesso che si possa identificarne con precisione una sola) di Nine Perfect Strangers è proprio Nicole Kidman, che interpreta l’algida, affascinante e criptica Masha, una donna russa che dopo un passato di lavoro stressante e traumi vari, ha deciso di aprire il Tranquillum House, una specie di resort dove persone di ogni tipo, tipicamente ricche, vanno a liberarsi da dipendenze, stress, problemi psicologici vari.
I “nove perfetti sconosciuti” del titolo sono appunto nove ospiti del resort che nel corso del pilot arrivano alla struttura e si mettono nelle mani di Masha e dei suoi due principali assistenti, ovvero Yao (Manny Jacinto di The Good Place) e Glory (Zoe Terakes). Fra gli ospiti troviamo una famiglia reduce da un terribile lutto (il padre è Michael Shannon), l’ex giocatore di football dipendente dagli antidolorifici (col volto di Bobby Cannavale), la scrittrice in crisi che non ha amici e forse neanche più una carriera (Melissa McCarthy), un’influencer ossessionata dalla bellezza (Samara Weaving) che si presenta al resort in compagnia del marito con cui ha un rapporto ormai spento, un tizio (Luke Evans) che arriva alla Tranquillum House con scopi non ben dichiarati.
(Ma “Tranquillum House” è maschile in quanto resort? O femminile perché nel nome c’è “casa”? Rimarrò indeciso fino a fine articolo).
Come accennato all’inizio, ogni ospite del resort ci è arrivato/a per un motivo, portandosi dietro dei segreti, e in alcuni casi anche obiettivi secondari poco limpidi che andranno chiariti nel corso della serie, che non risparmia le ombre nemmeno per la padrona di casa, anzi: Masha è una figura ambigua e misteriosa, che promette serenità e guarigione avendo lei in prima persona problemi palesemente non risolti.
Già nei primi tre episodi la sceneggiatura si premura di scavare nel passato e nel presente dei protagonisti, e pone domande allo stesso ritmo con cui concede risposte, per tenere desta l’attenzione e farci continuamente sperare di saperne di più.
Il tutto con il condimento di un po’ di scene fra il buffo, il drammatico e il grottesco, in cui i talentuosi membri del cast fanno a gara per sfoggiare i pezzi di bravura migliori.
In questo senso, Nine Perfect Strangers è certamente una serie “grossa”. Non in termini di mezzi o effetti speciali, a conti fatti è girata sempre nello stesso posto con uno stile visivo abbastanza ordinario. Parliamo più che altro del suo essere, come in parte era anche Big Little Lies, un concentrato gustoso di grandi attori e attrici, che fai fatica a contenere in una locandina sola e che possono essere lì tutti insieme proprio grazie a un formula che non deve averli impegnati più di tanto, e che deve aver consentito a loro in prima persona di divertirsi.
E per carità, nello show ci sono tante cose che funzionano: il Napoleon di Michael Shannon è deliziosamente fastidioso e, quando serve, mirabilmente intenso; il rapporto fra i personaggi di Cannavale e McCarthy riescono a dare un tocco di gradita brillantezza, senza far perdere ai loro caratteri la necessaria sofferenza; Jessica, l’influencer, è un personaggio caratterizzato con pochi ma efficaci tratti, e molto abile nel cogliere certe ansie da social tipiche del nostro tempo.
Quello che per il momento manca, in questo sontuoso banchetto attoriale, è una scossa vera.
Con The Undoing era tutto sommato facile, perché era un crime, e il desiderio di scoprire i retroscena di un delitto passionale è sempre una bella molla per tenere desta l’attenzione di chi guarda. Ma siccome ci sono anche tonnellate di crime orrendi, bisogna anche riconoscere l’importanza di un volto come quello di Hugh Grant a interpretare il padre di famiglia che forse è un gran bastardo, oppure la conturbante sensualità di Matilda De Angelis.
Con Big Little Lies, concetto simile, puoi avere tutti gli ingredienti giusti, ma poi a catturare lo sguardo sono piccoli tocchi e la capacità di dare al racconto un ritmo, o una tensione, che ti impediscano di distrarti.
Recentemente l’abbiamo visto, giusto per uscire dal mondo di David E. Kelley, in The White Lotus, miniserie quasi comica per certi versi, ma capace di mantenere costante una suspense costruita prima di tutto sulla musica e su una recitazione costantemente trattenuta, in cui agli interpreti era chiesto di far passare emozioni perennemente tenute sotto la superficie, ma non abbastanza in profondità da non poter essere viste.
In questo senso, a Nine Perfect Strangers manca ancora qualcosina. Banalmente, non sentiamo quell’urgenza istintiva che ci porti a chiedere più informazioni delle storie che stiamo seguendo, né riusciamo ancora a intravedere (e dopo tre episodi sarebbe lecito aspettarselo) un vero filo comune che leghi tutti i protagonisti, così da darci per lo meno l’idea di un mosaico più complessivo di cui, a quel punto, ci piacerebbe avere una visione più completa.
Parte del problema è che è stato fatto addirittura troppo. Prendiamo per esempio i lati oscuri di Masha: quando compare per la prima volta, così altera e apparentemente impenetrabile (nel senso psicologico del termine, buzzurri che non siete altro), siamo effettivamente incuriositi da lei, e segretamente speriamo che l’alone di mistero che la circonda sia più fitto e stuzzicante rispetto a quello che avvolge gli altri personaggi, che in quanto persone “normali” sono più portati a condividere rapidamente coi compagni le loro sfighe.
Invece, basta davvero poco perché di Masha si venga a sapere fin troppo, così che, ai nostri occhi, la donna finisca col non avere uno status tanto diverso, in termini narrativi, rispetto ai suoi clienti. Così facendo, diventa più difficile aspettarsi sorprese che ci sconvolgano, perché ci sembra che il personaggio più ambiguo e carismatico sia già stato fatto scendere a un più banale livello di quotidianità.
La stessa cosa si può dire dei metodi che Masha usa per curare i suoi pazienti: negli esercizi proposti e nella reazione ad essi c’è un misto di scarsa creatività ed eccessivo realismo. Non c’è nulla che ci stupisca nel suo modo di gestire i diversi caratteri, poche frasi che facciano davvero effetto e una palese incapacità di tenere le redini della situazione, a cui si aggiunge una tendenza fin troppo marcata da parte dei protagonisti a fregarsene di quello che Masha suggerisce o ordina.
Il che, per essere chiari, non è un errore nel senso di uno sbaglio capitato inavvertitamente. Al contrario, sono proprio scelte autoriali precise, che puntano a creare la tensione anche nelle difficoltà affrontate da Masha nel compiere le sue magie. Ma è proprio quella scelta, di per sé legittima, che pare poco vincente, perché quando entriamo nel/nella Tranquillum House ci vengono fatte alcune promesse che poi vengono subito disattese, senza che però vengano sostituite da promesse altrettanto semplici o stuzzicanti.
Questo non significa che non ci siano margini per far esplodere di tutto, non siamo neanche a metà stagione. Né significa che, magari, al vostro gusto la caratterizzazione molto precisa dei personaggi non sia già di per sé motivo di godimento sufficiente.
Ma siamo ormai alla terza volta in cui David E. Kelley prende Nicole Kidman per metterla dentro una scatola piena di segreti e bugie, chiedendoci di appassionarci dopo due minuti, e le altre due volte gli era venuta meglio.
Perché seguire Nine Perfect Strangers: per il cast pieno di bella gente che dà vita a personaggi interessanti.
Perché mollare Nine Perfect Strangers: nelle loro due serie precedenti, David E. Kelly e Nicole Kidman erano riusciti a inchiodarci alla poltrona con più facilità.