Mythic Quest seconda stagione: le interviste al cast di Diego Castelli
Abbiamo incontrato i protagonisti di Mythic Quest, che ci hanno raccontato la loro esperienza con le serie, il Covid, i videogiochi
Quando Apple Tv+ mi ha invitato, insieme a giornalisti italiani e non, a intervistare il cast di Mythic Quest in occasione della partenza della seconda stagione (in arrivo domani, 7 maggio), io che non sono giornalista e che non faccio spesso queste cose mi sono subito entusiasmato come un bambino, salvo poi pensare a un dettaglio terribile: il mio inglese risulterà completamente ridicolo.
Sì perché ormai, dopo tanti anni di serie tv e video vari, non ho più grandi problemi a comprendere l’inglese. Ma se si tratta di partecipare attivamente a una discussione, beh, è tutto un altro paio di maniche: messo di fronte alla necessità di parlare un idioma che non è il tuo, è un attimo che il percorso delle parole dal cervello alla lingua ti si aggrovigli in una pallotta di suoni inarticolati intinti nell’imbarazzo.
Insomma, non è il mio campo, e temevo di fare brutta figura in mezzo a gente più attrezzata di me.
Per fortuna, però, nel gruppo in cui sono finito (e dove non c’erano giornalisti italiani, tenuti saggiamente separati per evitare di sentire tutti le stesse cose) c’erano madrelingua spagnoli il cui accento era violento quanto il mio, ma soprattutto c’era Ray, di Hong Kong.
Io non conosco il cinese e non so dire come e perché, per loro, sia più difficile che per noi padroneggiare l’inglese, ma una cosa la so: che non si capiva niente di quello che Ray chiedeva, complice anche il fatto che aveva una connessione internet terrificante che gli faceva sobbalzare la voce.
Per cui grazie Ray, questo articolo è dedicato a te, che con il tuo esempio hai trasformato il mio inglese da terribile a vagamente accettabile.
Sarebbe stato figo volare a Los Angeles per le interviste, ma ovviamente non si poteva, e così le abbiamo fatte in remoto, dal computer, con tutti gli attori e le attrici collegati da casa loro. Non è la stessa cosa, naturalmente, ma io ora ho sul computer uno screenshot (che non posso mostrarvi per regolamento) in cui la mia faccia è affianco a quella di Danny Pudi durante la chiamata.
Non è forse questo un giorno glorioso?
Della seconda stagione di Mythic Quest nel suo complesso abbiamo parlato ieri.
Vediamo ora invece cosa ci hanno detto Rob McElhenney (Ian), Charlotte Nicdao (Poppy), Ashly Burch (Rachel), Imani Hakim (Dana), Danny Pudi (Brad), Jessie Ennis (Jo), F. Murray Abraham (C.W. Longbottom) e Megan Ganz (co-creatrice dello show).
La sfida del Covid
Inevitabilmente si inizia parlando del Covid, dei ritardi e degli ostacoli alla produzione.
“Non credevo che il mio lavoro nella comedy mi avrebbe mai portato a fare così tanti tamponi nasali”, dice Megan Ganz. “Allo stesso tempo, la pandemia ha offerto anche molti spunti narrativi e ha permesso di fare riflessioni particolari. Ma quello che ci ha salvato, in ogni caso, è il fatto che avevamo già girato una prima stagione con la quale avevamo creato una chimica fra di noi, tornata poi utilissima al momento di lavorare anche da remoto. Una volta tornati sul set, poi, eravamo sollevati e pronti a ricominciare.”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche F. Murray Abraham, che coi suoi 81 anni e dopo una strepitosa carriera cinematografica e teatrale (nonché amicizie con gente come Ray Bradbury e Isaac Asimov), in Mythic Quest interpreta uno sceneggiatore anziano, un po’ matto e pure simpaticamente viscidone: “Per me era già abbastanza strano avere a che fare con il tema dei videogiochi, che conosco pochissimo, e poi si è aggiunta anche la necessità di lavorare per un po’ a distanza. Ma la conoscenza dei miei colleghi dalla prima stagione, unita alla bontà degli script della serie, ha permesso di non sentire troppo il peso delle limitazioni.”
Il ritorno alla normalità è stata una boccata d’ossigeno anche per Danny Pudi: “Durante la pandemia ero alla costante ricerca di qualunque tipo di contatto umano, quindi poter tornare a lavorare dal vivo è stato bello e importante. La nostra è una sitcom ambientata in un ufficio, ed era quindi fondamentale che anche il pubblico potesse vederci tornare effettivamente in quei luoghi. Questo ha permesso anche a chi ci guarda di percepire il senso di un ritorno alla normalità.”
Il Covid, comunque, non ha influenzato in maniera decisiva la scrittura dello show.
“La relazione fra Rachel e Dana”, racconta Ashly Burch, “non è cambiata in modo sostanziale, per quanto siano state necessarie delle modifiche dopo la decisione di far diventare ‘Everlight’ un episodio a sé stante da piazzare prima dell’inizio della stagione. Certamente i ritardi dovuti al Covid, che hanno influenzato le tempistiche di produzione, hanno anche offerto l’opportunità e talvolta la necessità di riflettere ulteriormente su alcune sfumature, ma la storia, alla sua base, è rimasta la stessa.”
La rinascita con Everlight
Proprio “Everlight”, secondo dei due episodi speciali girati nell’intervallo fra prima e seconda stagione (il primo dei quali era stato interamente realizzato via videochiamata), rappresenta il vero ritorno di Mythic Quest nel 2021, il 16 aprile scorso.
“Volevamo un episodio speciale, come certi holyday special”, spiega ancora Ashly Burch, che oltre a recitare in Mythic Quest fa anche parte dello staff degli sceneggiatori. “All’inizio è una cosa che era stata solo buttata lì, ma poi abbiamo iniziato a parlare e a lavorarci sulla base del mondo nerd e di quali avrebbero potuto essere i temi di una giornata di questo tipo.”
Il risultato è stato sorprendente, secondo Jessie Ennis, interprete della temibile stagista Jo. “L’episodio mescola molti generi diversi, è pieno di gioia ma anche di esperimenti e di effetti speciali in CGI, e ho adorato che Brad (il personaggio di Danny Pudi, ndr) abbia avuto modo di mostrare la sua natura da cattivo in modo così letterale”.
Va da sé che lo stesso Danny Pudi è stato entusiasta di recitare in un episodio in cui ha potuto riempirsi di trucco e sembrare un super cattivo fantasy: “Ci sono molti livelli in questo episodio, c’è molto cambiamento, e ci sono perfino scene di combattimento, che di certo non sono normali in una sitcom ambientata in ufficio.”
A questo punto non ho potuto fare a meno di chiedere a Pudi, che in Community interpretava un buffissimo e adorabile nerd, mentre in Mythic Quest incarna tutto ciò che sta all’opposto di quella cultura, dove stia lui realmente, chi sia davvero.
“È una domanda che forse vale per tutti quelli che fanno il nostro mestiere, e forse tutti noi stiamo sempre nel mezzo. Io sono a metà fra Abed di Community e Brad di Mythic Quest, e la cosa bella di lavorare con questi personaggi è proprio la possibilità di sperimentare certi estremi a cui nella vita reale non arriveresti mai, e che invece sullo schermo possono essere molto divertenti.”
Scrittura e vita sul set
Quello del lavoro sui personaggi è un tema che ricorre spesso nelle parole del cast, senza nemmeno che ci sia bisogno di chiedere niente al riguardo. È evidente, fin da quando la si approccia da semplici spettatori, che Mythic Quest è una serie che non vuole rinchiudere i suoi protagonisti nella gabbia delle macchiette, preferendo dargli dei caratteri riconoscibili che però non impediscano la creazione di un percorso.
“Molta della costruzione del personaggio e dello sviluppo di Rachel”, dice Ashly Burch, viene da effettive conversazione avute con Rob (McElhenney, ndr). Ashly vuole essere rappresentativa dei millenials e del loro essere progressisti, ma a volte non riesce a essere all’altezza delle aspettative che lei stessa ha creato per sé. Questo crea molta tensione in lei, ed è una cosa che mi è capitato di vedere spesso in persone che conosco, e da cui ho voluto prendere spunto.
“Anche per Dana è stato un percorso lungo”, aggiunge Imani Hakim. “Quando avevo fatto la prima audizione, prima della prima stagione, il personaggio era molto diverso, e ci abbiamo lavorato insieme nel corso delle settimane, tanto che molte scene girate con Dana non sono poi nemmeno finite nel montaggio della prima stagione, perché a quel punto non erano più coerenti con la direzione che il personaggio stava prendendo. Con la seconda stagione, poi, abbiamo potuto giocare ancora di più, io sono stata invitata a sedermi insieme a chi scrive la serie e abbiamo parlato molto di come sviluppare ulteriormente il personaggio.
Il tema della collaborazione sul set e della possibilità di improvvisare ricorre spesso.
“C’è un’atmosfera molto collaborativa”, assicura Jessie Ennis, “e agli attori viene lasciata molta possibilità di improvvisare e costruire. Ovviamente partiamo da una solida base scritta, ma veniamo spronati ad aggiungere piccole sfumature, abbiamo la possibilità di proporre cose nuove e di parlarne insieme.”
“A me il personaggio interpretato da Jessie piaceva molto già nella prima stagione”, dice Danny Pudi, “e sono stato contento di averci maggiormente a che fare quest’anno. Brad e Jo creano una specie di loro piccolo ecosistema all’interno dell’ecosistema più grande della serie, e questo ha permesso di aggiungere nuovi livelli allo show e renderlo più ricco. Il fatto che molti membri del cast siano anche sceneggiatori ha permesso di mantenere sempre vivo questo scambio fra ciò che avviene sul set e ciò che avviene prima, trovando un equilibrio fra scrittura e improvvisazione”.
“Ovviamente in una sitcom televisiva nessuno può improvvisare dal nulla un monologo”, conclude Ennis, “ma abbiamo comunque la possibilità di aggiungere piccoli tocchi che diano ulteriore freschezza alla scena.”
Esplicitamente interrogato sulla presenza della guest star più famosa di questa stagione, cioè Snoop Dog (a cui bisogna aggiungere anche Craig Mazin, creatore di Chernobyl, qui ingaggiato per un personaggio odioso ed esilarante), a Danny Pudi si sono illuminati gli occhi: “Sono da sempre un grande fan di Snoop Dog, e mentre lavoravamo durante la pandemia avevo perfino paura di toccarlo, non volevo rischiare di arrecargli alcun danno. Snoop ha praticamente improvvisato un mezzo concerto per noi sul set, e il fatto che io non avessi scene direttamente con lui mi ha reso gelosissimo.”
“Tutte le guest star della stagione sono state simpatiche e disponibili”, aggiunge Imani Hakim. “Hanno capito che l’atmosfera era giocosa e creativa, e anche loro si sono adeguati, improvvisando molto”.
Quella stessa attenzione per lo sviluppo dei personaggi ha portato alla definizione del rapporto fra Poppy e Ian (diventati co-direttori creativi in questa stagione), e alla decisione di approfondire il passato di CW Longbottom.
“Poppy e Ian sono diventati rapidamente due facce della stessa medaglia”, dice Charlotte Nicdao, “e in questa stagione vediamo un po’ di più l’egoismo e il narcisismo di Poppy, che diventando più simile a Ian gli si avvicina, ma finisce anche con lo scontrarsi maggiormente con lui.”
“Quando hai un attore come F. Murray Abraham”, dice Megan Ganz a proposito del personaggio di Longbottom, “non può che farti venire voglia di vederlo di più e farlo lavorare di più. Per questo abbiamo deciso di approfondire il passato di CW, scoprendo lati oscuri e questioni da risolvere.”
“Poter scoprire sempre più in profondità il proprio personaggio è il sogno di ogni attore”, aggiunge Abraham. “Farlo mi ha permesso di capire cose di me stesso che non conoscevo, e il fatto che si sia trattato di un processo continuo mi ha fatto persino domandare se gli autori sapessero o meno dove si sarebbe andati a parare.”
Temi importanti, ma con brio
La seconda stagione di Mythic Quest, come già la prima, affronta anche temi potenzialmente spinosi, come i comportamenti scorretti sul lavoro, il rapporto con la community dei gamer (che ha sempre dato prova di apprezzare lo show), la rappresentazione delle minoranze.
“Ian e Poppy hanno certamente dei comportamenti scorretti sul lavoro” ammette Charlotte Niclao, “anche se il fatto di essere personaggi in qualche modo simpatici ce li fa apprezzare comunque, senza dimenticare che in certi casi stiamo probabilmente vedendo la parte peggiore di loro.”
“La cosa per noi sempre importante” dice Rob McElhenney, “è che si capisca la differenza fra ciò che lo show vuole dire, e ciò che alcuni personaggi fanno in base alla loro psicologia.”
L’equilibrio trovato fra la potenziale pesantezza di alcuni temi, e la leggerezza complessiva dello show, è una delle chiavi del suo successo, anche nel mondo dei gamer.
“Quello che ci preme è che la nostra serie sia autentica”, prosegue McElhenney. “Il che non significa che debba essere realistica al 100%, questo non sarebbe possibile e, essendo una comedy, nemmeno auspicabile. Ma l’idea è non spacciare come vere cose false, e avere la voglia di far vedere sia gli aspetti buoni sia quelli meno buoni di un mestiere come questo.”
“Nonostante il comportamento di Poppy sia spesso sbagliato” spiega ancora Niclao, “è sempre chiaro che nessuno prende in giro i giocatori, che c’è un rispetto di fondo per loro e per chi crea i giochi. In questi mesi ho ricevuto molti messaggi di ragazze che, guardando Poppy, decidevano di riprendere in mano il sogno abbandonato di imparare a programmare, e questo è molto bello, anche se poi non bisogna seguire proprio tutti i suoi comportamenti”.
Sul tema del rispetto delle minoranze e su certi modi della rappresentazione, difficile non fare riferimento a Rachel e Dana, la cui relazione gay non crea problemi praticamente a nessuno nell’ufficio, nonostante le due ragazze fossero molto preoccupate in merito.
“La nuova relazione fra Rachel e Dana viene molto normalizzata”, spiega Imani Hakim, “ed è così che dovrebbe essere, non dovrebbe essere un grande problema se due ragazze si mettono insieme sul lavoro. Mi piace molto che in Mythic Quest si possa perfino scherzare sul fatto che Rachel e Dana pensino che la loro relazione sia una cosa molto grossa, mentre per gli altri non lo è.”
“La loro storia poteva anche essere resa in modo più drammatico” dice Ashly Burch, “ma in realtà abbiamo deciso di renderla dolce e leggera. Paradossalmente, se in giro c’è tensione, quando le due sono insieme questa tensione di rilassa, mentre spesso nelle serie tv accade il contrario. Per questo non abbiamo nemmeno subito la pressione di dover rappresentare una relazione di questo tipo in un mondo normalmente considerato tossico, perché semplicemente sentivamo che questo modo di metterla in scena, così naturale e autentica, fosse il modo migliore di rendere giustizia a queste ragazze.”
Il rapporto con i videogiochi veri
Per chi gioca ai videogiochi, come me, viene spontaneo chiedersi se e quanto le persone coinvolte nella realizzazione di Mythic Quest siano a loro volta appassionate di questa forma di intrattenimento.
“Né io né Megan siamo videogiocatori” ammette Rob McElhenney, “e se davvero potessi creare un videogioco, l’unico che vorrei sarebbe uno in grado di convincere i miei figli che il loro papà è più figo di quello che credono loro. Ma proprio per questo con Megan abbiamo deciso di avere una writers’ room composta per metà da sceneggiatori e sceneggiatrici appassionati di videogiochi o che ci abbiano effettivamente lavorato, e l’altra metà da persone invece digiune del mezzo. Questo ci ha permesso di mantenere un equilibrio fra le due componenti, evitando di diventare troppo settoriali, ma tenendoci comunque legati in modo realistico alla materia che trattavamo.”
“Io gioco da tutta la vita, e ho anche lavorato nell’industria” afferma con orgoglio Ashly Burch. “Per me i videogiochi sono da sempre un modo per farmi evadere, per combattere l’ansia. Per questo mi è piaciuta la scelta di prendere un episodio come ‘Everlight’ e spostarlo in cima alla seconda stagione, perché anche lì si vede la capacità dei videogiochi di supportarci nel nostro tentativo di combattere l’ansia (ansia da virus, in questo caso), facendoci tornare a un mondo di gioco e di storie epiche.”
Ma il premio alla domanda migliore, con la quale chiudiamo, va dato a una giornalista messicana che chiede a F. Murray Abraham (ricordiamo, nato nel 1939) se da bambino giocava ai videogiochi (???) e quale era il suo gioco preferito. Al che il nostro buon Murray, senza scomporsi, dice che no, lui non ha mai giocato ai videogiochi, e quando era bambino al massimo giocava a flipper: il suo preferito era un flipper del Monopoly, perché è un capitalista.
Io pensavo di aver capito male, un flipper del Monopoly?
Ebbene, il Villa ha fatto una ricerca durante una puntata del Late Show, e in effetti sì, il flipper del Monopoly esiste.
E bravo il nostro Murray capitalista.