Gli Irregolari di Baker Street – Netflix – Quando Sherlock Holmes divenne teen drama (soprannaturale) di Diego Castelli
Incentrata sui piccoli aiutanti del famoso detective, Gli Irregolari di Baker Street ribalta del tutto le vecchie atmosfere. Non sarà troppo?
Mentre scrivo queste righe – ma la situazione potrebbe cambiare in fretta e certamente lo farà – The Irregulars è la serie più vista di Netflix, ed è anche quella che ha fatto fiorire un gustoso dibattito che va oltre il suo caso specifico.
Gli Irregolari di Baker Street, questo il titolo italiano, si concentra infatti sui ragazzi londinesi che, in due romanzi e un racconto scritti da Arthur Conan Doyle e dedicati a Sherlock Holmes, aiutano il celebre investigatore e la sua spalla Watson nel risolvere crimini e misteri. Si tratta di ragazzi senza casa, poveri in canna, che per qualche scellino diventano occhi e orecchie del più famoso detective del mondo, che si serve di loro per raccogliere preziose informazioni nei bassifondi della Londra vittoriana.
Di per sé, la scelta di prendere una saga molto amata e incentrata su un personaggio che da solo riempie gran parte della scena, concentrandosi però su figure secondarie per lasciare quel personaggio da parte o quasi, è già un azzardo, e non sono poi moltissimi i casi in cui un’operazione del genere ha funzionato “sul serio” (guardando alla storia recente, mi viene da pensare a Better Call Saul). Allo stesso tempo, gli Irregolari colpirono l’attenzione dei lettori fin da subito, e l’idea di scrivere storie appositamente su di loro non è completamente nuova, tanto che esiste un’apposita serie di BBC datata 1983.
A scatenare il dibattito però non è stata questa semplice scelta. Netflix infatti ha deciso per il salto carpiato con avvitamento, perché oltre a essere una serie ambientata nel mondo di Sherlock Holmes in cui Holmes non è protagonista, è anche un teen drama con espliciti risvolti soprannaturali.
E qui sì che i puristi di Conan Doyle vengono triggerati.
Non ci addentriamo eccessivamente in questo discorso, di cui peraltro abbiamo già parlato in una recente puntata del nostro live show (la trovate come di consueto su Twitch e Youtube, che se ancora non siete follower siete un po’ brutte persone, ve lo dico con affetto).
Il tema però è interessante e divisivo, per il banalissimo motivo che non esiste un modo scientifico per stabilire dove sia (ammesso che esista) un limite oltre il quale una storia diventa troppo modificata, una trasposizione troppo irrispettosa.
Se volessimo guardarla con un minimo di distacco, è evidente che quel limite non esiste: nel momento in cui si parla di personaggi nati dalla fantasia, ci si può fare quello che si vuole, quasi per definizione (e come dice il Villa, “se devi cambiare qualcosa, cambia tanto così non ci pensi più”). Allo stesso tempo, abbiamo tutti uno o più personaggi incastrati saldamente nel cuore, che se vediamo rappresentati in modi che a noi paiono troppo distanti dalla resa originale ci fanno girare i cinque minuti.
Da questo punto di vista, è evidente che The Irregulars, creata da Tom Bidwell, porta il soprannaturale nel mondo di uno dei sovrani assoluti della logica, della deduzione e della scienza, rendendo il passaggio particolarmente forte e, per questo, capace di stranire non solo i puristi del materiale originale, ma anche chi lo conosce solo superficialmente. Tanto più che, lo vedremo tra poco, quel poco che si vede di Holmes non è certo particolarmente rispettoso della tradizione, quale che sia il giudizio che ne vogliamo dare.
Su una cosa, però, credo si potrà essere d’accordo: se una storia funziona, funziona.
Al di là delle riflessioni metaletterarie e metatelevisive, e pur considerando l’esistenza di una quota di integralisti per i quali anche la Sherlock con Benedict Cumberbatch è inaccettabile (l’eccesso di ortodossia fa sempre sembrare un po’ snob, ma non è mica un delitto), se una serie riesce a colpire, stupire, sedurre, appassionare, magari giusto con la richiesta di un po’ di apertura mentale da parte di chi guarda, tutto il resto passa in secondo piano.
Quindi la vera domanda circa Gli Irregolari di Baker Street non dovrebbe riguardare tanto la sua aderenza con l’originale, quanto la sua forza nel qui e ora del 2021 seriale.
Cioè, sta The Irregulars è una bella serie sì o no?
Boh oddio, insomma…
Ambientata in una Londra vittoriana da nuovi standard Netflix, quindi spiccatamente e anacronisticamente multietnica, The Irregulars ha per vera e propria protagonista Bea (Thaddea Graham), la leader degli Irregolari, ragazza determinata, intelligente e ambiziosa (ma non priva di empatia) che prende in mano le redini della collaborazione con il dottor Watson (Royce Pierreson), assistente di uno Sherlock Holmes che per metà serie non si vede.
Bea è affiancata da diversi compagni e compagne, fra i quali vale la pena citarne almeno due: Jessie (Darci Shaw), sorella di Bea afflitta da spaventevoli poteri di veggenza; e Leopold, un principe emofiliaco, fragile e sempre contuso (ma dal fisico clamoroso, perché sennò fa brutto), che si unisce agli Irregolari per amore di avventura e non solo.
All’inizio la storia sembra legata al classico caso di puntata, ma ci vuole poco prima che emerga una trama orizzontale molto precisa, legata alla presenza di pericolosi squarci fra la nostra dimensione e quella ultraterrena, un evento che finisce con l’influenzare la vita di tutti i protagonisti e scoperchiare diversi segreti nascosti nel loro passato.
The Irregulars è un teen drama soprannaturale. Il riferimento esplicito a Sherlock Holmes (che da questo punto di vista è piazzato come specchietto per le allodole, ed è l’unica cosa che un po’ mi infastidisce dell’operazione) non nasconde il fatto che i ragazzi siano i veri protagonisti della storia, sia dal punto di vista dell’azione che da quello dei sentimenti e dello scavo psicologico. Senza contare, poi, specifici elementi di questo genere, come il semplice e inverosimile fatto che un sacco di adulti si trovino a dare tantissima retta a questi quindicenni spiantati che, in altri casi, avrebbero preso a torsoli di mela in faccia. Ma d’altronde se il genere è quello, i giovincelli mica possono stare a giocare con i lego per tutti gli episodi…
Chi si fosse fatto tentare dal mondo di Arthur Conan Doyle, dunque, deve essere capace di fare una tara piuttosto robusta, anche perché Holmes, quando arriva, è abbastanza ridicolo. Interpretato da Henry Lloyd-Hughes (che abbiamo già visto in The English Game e Killig Eve, più tanti film), lo Sherlock Holmes di The Irregulars è volutamente la pallida ombra di ciò che era un tempo, dopo che dieci anni di contatto col soprannaturale e alcune importanti perdite personali l’hanno ridotto uno straccio tossicodipendente. Un po’ meno voluto è il fatto che, anche durante i flash back in cui si dovrebbe vedere il “miglior” Sherlock, il personaggio ha il carisma di uno spremiagrumi.
Non so se sto sovrainterpretando, o se questi tempi pazzi mi fanno vedere complotti in ogni angolo, ma l’impressione è addirittura quella di uno Sherlock (il classico maschio bianco tossico – in molti sensi – che ce l’ha sempre vinta solo per la sua intelligenza) che viene letteralmente sostituito, narrativamente parlando, dalla giovane donna di origini asiatiche, intelligente non meno di lui, ma certamente più affidabile ed empatica. Il twist finale, su cui non dico altro, sembrerebbe quasi confermare questa ipotesi, ma lasciamo la questione in sospeso.
Fatta questa ulteriore distinzione, e se siete ancora qui ad accettare che The Irregulars sia un teen drama soprannaturale, resta da chiedersi se sia un buon teen drama soprannaturale.
Sotto questo aspetto, la verità è che siamo amaramente nella media. Potremmo dire che il peggior difetto de Gli Irregolari di Baker Street – una serie altrimenti girata con buoni mezzi e con discreto ritmo – è quello di aver voluto rivoluzionare il mondo di Sherlock Holmes, trasformandolo però in un teen drama che di rivoluzionario ha ben poco.
Tolta la sorpresa iniziale del cambio di ambientazione e tono, ci troviamo di fronte alle solite baruffe fra ragazzi, ai primi amori contrastati nemmeno così appassionanti, e a un racconto del mondo dell’ignoto che aggiunge davvero poco a mille altri esempi di questo genere, fra spiriti, maledizioni, portali fosforescenti e quant’altro.
Al termine della prima stagione siamo sì rimasti spiazzati un paio di volte, ma nel corso dei singoli episodi c’è quasi nulla, in termini di scrittura e messa in scena, che ci possa davvero stupire, o quantomeno “colpire”, se non vogliamo ridurre tutto alla semplice ricerca della sorpresa. A dirla proprio tutta, recitano pure abbastanza male: molto caricati, teatrali, privi di sfumature, sempre aderenti agli elementi più macchiettistici dei loro personaggi. E la più grande delusione, come già accennato, è uno Sherlock Holmes che fa male al cuore e pure alla serie: se per metà stagione non me lo mostri, alzando le aspettative sulla sua figura mitica, poi quelle aspettative vanno sostenute in qualche modo, altrimenti la delusione di vedere sto straccione molliccio finisce con l’essere davvero troppo grande, perfino se il tuo intento era proprio quello di staccarsi dalla tradizione.
In questi casi mi chiedo sempre se in futuro ci sarà qualche dodicenne che, dopo essersi appassionato a The Irregulars, tornerà indietro a scoprire il vero Sherlock Holmes dicendo “beh ma degli Irregolari si parla pochissimo, e Sherlock non è mica così nella serie”. È possibile e in fondo, dal suo punto di vista, nemmeno così assurdo.
Però diciamo che, in questo caso, sono proprio contento di non essere quel dodicenne.
Perché seguire Gli Irregolari di Baker Street: se volete un teen drama soprannaturale in costume, buono per passare un po’ il tempo.
Perché mollare Gli Irregolari di Baker Street: se amate le atmosfere e le dinamiche più classiche legate a Sherlock Holmes, The Irregulars è una sequela di bestemmie urlate forte forte dentro l’orecchio.