Superman & Lois – Il miglior pilot dell’Arrowverse di Diego Castelli
Poteva essere una cafonata, e invece il primo episodio di Superman & Lois si rivela un pilot solido, ispirato, cazzuto. Speriamo tenga!
C’erano molti motivi per essere scettici in attesa di guardare il primo episodio di Superman & Lois. Il primo, e più semplice, riguarda il fatto che non è altro che l’ennesimo tassello dell’Arrowverse. Intendiamoci, quello dell’Arrowverse è un progetto ben pensato, ben costruito, di ottimo successo commerciale, che ha permesso a molti supereroi della DC di arrivare in televisione in una forma che ha saputo proporre molte sfumature diverse e appassionare un pubblico molto vario. Per dirla più semplice: se fosse arrivato quando avevo 15 anni, ci avrei perso la testa.
Il suo problema, parlandone in termini più elevati, o forse semplicemente più adulti, è che non ha mai fatto alcuno scatto verso quel qualcosa in più che ti fa spendere fiumi di inchiostro ad elogiare una serie tv: i vari Arrow, Flash, Supergirl, Legends of Tomorrow sono buoni prodotti, spesso divertenti e adatti al loro target, ma non sono capolavori, e nel corso degli anni hanno anche mostrato una progressiva stanchezza, dopo esordi quasi sempre abbastanza carichi.
In questo contesto, l’arrivo di un altro spinoff il cui protagonista è un Superman che ho sempre ritenuto pessimo in termini di puro aspetto visivo (credo che Tyler Hoechlin farebbe meglio il cattivo, con quella faccia lì), e il cui titolo mi dava l’idea di un talk show mattutino, non mi faceva ben sperare. Forse perfino il fatto che “Superman” fosse lo spinoff di “Supergirl” mi suonava strano.
Ebbene, a volte è davvero bello ricredersi. Perché non solo il pilot di Superman & Lois è proprio riuscito, ma arrivo a dire che è il miglior pilot dell’Arrowverse che abbia visto finora. Un episodio coraggioso che cerca di portare i personaggi che racconta e il contesto mediale in cui è inserito verso una direzione nuova e apparentemente molto diversa da quella della sua serie madre. Ovviamente, il fatto che quella direzione spinga la serie verso i miei gusti influenza inevitabilmente il mio giudizio, ma resta il fatto che è chiara (e non scontata) l’intenzione di fare qualcosa di nuovo e ancora inesplorato. E già solo questo merita rispetto.
Superman & Lois prende la versione di Clark Kent che abbiamo già visto in Supergirl – e che lì aveva uno spessore tutto sommato relativo – per inserirla in una cornice che sia davvero sua e che lo renda un personaggio a 360 gradi.
In questo senso, c’è una precisissima scelta narrativa e di tono che vale la pena sottolineare subito. Superman & Lois è sì uno show supereroistico in cui vedremo gente che svolazza e raggi rossi dagli occhi, ma è prima di tutto un drama. I due protagonisti, che ci vengono presentati come sposati da anni e genitori di due figli adolescenti, affrontano nel primo episodio una serie di problemi che c’entrano solo indirettamente con la natura aliena di Clark, e che riguardano invece le mancanze di un padre assente, i problemi personali e sociali di un figlio che non riesce a sentirsi davvero parte del gruppo dei suoi coetanei, perfino una fattoria lasciata in eredità che finisce in mezzo a questioni abbastanza burocratiche di ipoteche, grosse aziende succhiasangue, vecchi amici in difficoltà e via dicendo.
Oh, intendiamoci su un punto: non è che il resto dell’Arrowverse sia un mondo ultra-muscolare in cui contano solo i combattimenti e i superpoteri, perché abbiamo avuto la nostra bella dose di sindromi da stress post-traumatico, amori contrastati, famiglie distrutte. Ma qui il discorso è differente, e più radicale.
Supeman & Lois racconta dell’eroe più conosciuto e potente della DC, uno che magari in qualche miniserie o arco narrativo dei fumetti sarà stato mostrato nella sua versione più umana o fragile (non sono abbastanza esperto di fumetti per dirlo), ma che certamente nell’immaginario collettivo è un eroe letteralmente invincibile, che al massimo può avere il problema di arrivare in tempo a salvare la sua amata, che per la sua determinazione giornalistica si è ficcata in qualche guaio. Il fatto che proprio questo eroe, che incarna quel tipo di tradizione, venga buttato in mezzo a problemi realmente umani, dove i suoi poteri rischiano perfino di peggiorare la situazione, è un cambiamento non da poco.
Il Clark Kent di Superman & Lois è un uomo che viene licenziato dopo anni di onesta carriera, che non può fare nulla per impedire la morte dell’amata madre, che deve gestire l’adolescenza problematica dei figli senza che nemmeno un potere possa aiutarlo nel processo, che si trova fra le mani la vecchia casa di famiglia, nella ridente Smallville, ma con un sacco di scartoffie e intrighi aziendali che gli impediscono di considerarla semplicemente la sua casa in campagna.
In una parola, è un Superman cresciuto, segnato dai molti problemi causati dal suo hobby di salvatore del mondo, che sembra aver perso l’equilibrio che aveva quando era solo un reporter/supereroe, e che ora deve trovarne uno nuovo.
È da qui che viene il titolo Superman & Lois, in cui la presenza dell’iconica Lois Lane serve proprio a mettere sullo stesso piano i due membri di una coppia che, di fronte a certe sfide della vita, sono assolutamente pari, poteri o non poteri.
Curiosamente, gli anni Novanta ci avevano già regalato una serie dall’impostazione simile, la mitica Lois & Clark (titolo ancora più “umano”) con Dean Cain e Teri Hatcher, e anche lì c’era ampia possibilità di concentrarsi sulla componente più drama delle avventure di Superman. Ma in quel caso, comunque, l’approccio era abbastanza scanzonato, e il semplice fatto che si raccontasse l’inizio dell’amore fra i due protagonisti, le dava un tono da commedia romantica che Superman & Lois non prende nemmeno in considerazione.
Insomma, sulla rete più giovane fra le generaliste americane, il supereroe più famoso, diretto e roccioso del mondo diventa protagonista di una serie sorprendentemente adulta, riflessiva, in cui la fragilità prettamente umana di Clark non può essere contenuta e nascosta dai suoi favolosi poteri.
Verrebbe da pensare che un approccio del genere, così orgogliosamente terrestre, debba necessariamente tradursi in una messa in scena costretta ad allontanarsi dalla palette di colori allegra e satura di un Flash o di una Supergirl. E infatti così è.
Il pilot della serie, diretto da Lee Tooland Krieger (ma come sempre supervisionato da Greg Berlanti, che resta la prima e vera anima dell’Arrowverse e che qui crea la serie insieme a Todd Helbing), sembra parecchio debitore dalla versione oscura della DC creata da Zack Snyder con Man of Steel e poi proseguita con gli altri film della saga.
A prescindere da quello che si pensi dei film DC nello specifico (la polemica infuria da anni su praticamente tutti gli aspetti), l’intento di Snyder di staccarsi dal mondo colorato e simpaticone dei film Marvel fu evidente fin da subito, e Superman & Lois sembra voler proseguire almeno in parte quella tradizione con una messa in scena scura, metallica, perfino grigia, in cui c’è poco spazio per le scintille e i fulmini, ma non per questo incapace di mostrare precise scelte stilistiche, con scorci davvero fumettistici, ed effetti speciali di primissimo livello per una produzione tv (che immaginiamo caleranno negli episodi successivi, per una banalissima questione di distribuzione del budget).
Insomma, se non si fosse capito, per me questo pilot è quasi una bomba. Ardito, ben scritto (ci sono dieci minuti iniziali che riassumono tutta la vita di Superman fino a quel momento in un modo che riesce a essere perfettamente informativo ma mai ridondante o stucchevole), costruito su un’idea forte e precisa che punta a diventare la base per raccontare in modo davvero diverso una figura già conosciutissima. Poi certo, può peggiorare anche rapidamente, e nel caso ce lo diremo, ma come inizio non c’è davvero niente male.
O meglio, quasi niente.
Ci sono infatti due dettagli per me stonatissimi, su cui si poteva lavorare molto meglio. D’accordo, ormai non mi resta che accettare che ci sia proprio quell’attore a interpretare Clark Kent (e forse per questa versione va anche bene) ma nel 2021 non è più accettabile la storia degli occhiali e dell’identità segreta. Negli anni, l’idea centrale è sempre stata quella di un Clark così diverso da Superman (molto più goffo, dimesso, spesso buffo) da rendersi irriconoscibile anche solo con un paio di occhiali. E se guardiamo all’attore che meglio ha intepretato questa distinzione, cioè il mitico Christopher Reeve, ci possiamo anche credere (Dean Cain, per esempio, faceva già ridere in questo, perché era identico in entrambe le identità).
Ma che i figli stessi di Clark Kent non lo riconoscano in quanto Superman, per me è semplicemente assurdo. A meno che (e magari qualche esperto/a di fumetti me lo può spiegare) ci sia qualche altro escamotage che ancora non conosciamo, tanto è vero che uno dei figli si stupisce proprio del fatto di conoscere la faccia di Superman, e di non averla mai associata al padre. Ma visto che per ora nessuno mi ha spiegato niente, quel momento del pilot per me resta quasi inaccettabile.
Il secondo problema è legato al figlio più problematico di Clark e Lois, Jordan, quello su cui si concentrano le maggiori ansie da parte della coppia protagonista. No, non è un problema di recitazione, Alex Garfin mi sembra un buon attore. E no, non è un problema di scrittura del personaggio. È un problema di trucco e parrucco.
Nell’episodio pilota, in scene teoricamente intense dal punto di vista emotivo, Jordan sembra un pagliaccio appena uscito dal circo, con quelle labbra, quelle guance, quei capelli. Giudicate anche voi qui sotto, una cosa semplicemente inguardabile. Spero che qualcuno intervenga.
Se escludiamo questi due dettagli, è un gran bell’esordio, del cui seguito sono molto molto curioso, sperando che non si abbassi troppo come con l’Arrowverse è successo… beh, sempre.
Perché seguire Superman & Lois: fra i pilot dell’Arrowverse è sembrato quello più ardito in termini narrativi, e più solido e ispirato dal punto di vista visivo.
Perché mollare Superman & Lois: se non reggesse questo livello ancora a lungo, non ci sarebbe poi tanto da stupirsi.