Mr. Mayor – È tornata Tina Fey ed è pure in forma di Diego Castelli
La creatrice di 30 Rock e Unbreakable Kimmy Schmidt firma una comedy politica piena della sua verve e della sua satira sempre sul pezzo
È sempre bello quando ritrovi un vecchio amico o una vecchia amica, rendendoti conto che il tempo sembra essersi fermato e che la vecchia intesa è ancora lì, giusto il tempo di darle una spolveratina prima di riprendere con la stessa complicità e simpatia di una volta.
Ecco, la stessa cosa può succedere quando un autore o un’autrice firma un nuovo show, e nel giro di cinque minuti ti ritrovi a dire “cioè… ma… sei proprio tu!”
È più o meno quello che accade con Mr. Mayor, nuova sitcom di NBC creata dalla nostra amatissima Tina Fey e da Robert Carlock, che è suo braccio destro produttivo e scrittorio fin dai tempi di 30 Rock.
Mr. Mayor racconta, come nome suggerisce, del nuovo sindaco di Los Angeles, interpretato dal Ted Danson reduce dalle ottime fatiche di The Good Place. Il suo Neil Bremer è un sindaco un po’ particolare, un riccone in pensione che ha deciso di darsi alla politica per motivi molto personali, e che ha vinto più che altro grazie alla bravura dei suoi collaboratori (in particolare la giovane e capace Mikaela, interpretata da Vella Lovell) e alla quantità di denaro che è riuscito a piazzare nella campagna elettorale. Potrebbe far pensare a Trump, come genesi, ma Neil è decisamente meno odioso, più intelligente (ma molto influenzato, al limite del grottesco, dalla sua posizione privilegiata) e più capace di scendere a compromessi, cosa che deve fare in particolare quando sulla sua strada arriva la piccola (di statura) ma agguerritissima Arpi Meskimen (Holly Hunter), una politica di lungo corso, sinistrissima, vegana, metooista ecc, che prova subito a metterlo alle corde, ricevendo però dal protagonista un’inaspettata proposta: quella di diventare la sua vice.
L’impronta di Tina Fey, come detto, si vede praticamente da subito. Sono proprio suoi i personaggi completamente imbecilli, ma con vari gradi diversi di imbecillità, tali per cui è sempre possibile, per i meno peggio, osservare con gelido imbarazzo quelli completamente fuori di testa. Ed è sempre di scuola Tina Fey quel sottile ma costante sapore di nonsense che può irrompere improvvisamente in ogni dialogo, anche quelli all’apparenza più normali. E in fondo, nella determinazione di Arpi, costretta ad avere a che fare con un uomo di potere che finirà col volerle bene ma che va in qualche modo manipolato e guidato, è facile rivedere parte del rapporto che ai bei tempi si instaurò fra Liz Lemon e Jack Donaghy di 30 Rock.
Proprio la serie super-meta incentrata sulla produzione di show televisivo sembra la più diretta ispirazione per Mr. Mayor, lasciando lo show precedente di Tina Fey, Unbreakable Kimmy Schmidt, un esperimento più a sé stante: anche in Mr. Mayor, infatti, troviamo quel senso di “dietro le quinte”, di scontro fra ciò che avviene davanti e dietro le telecamere, ovviamente con maggiore attenzione al mondo della politica, così da diventare una specie di parodia alla lontana di The West Wing.
Ma a dare valore a Mr. Mayor non c’è solo il ritmo delle battute, la bravura del cast o la nostra nostalgia per il precedente capolavoro di Tina Fey. L’elemento più rischioso e insieme più riuscito di Mr. Mayor è una satira politica, mediale e di costume di altissimo livello, che si concentra in particolare sullo spinosissimo tema del politically correct.
Cercando di dare la sua lettura della situazione, ma senza mai diventare pesante o inopportuna, Tina Fey mette a confronto ciò che di buono le persone possono fare per migliorare la propria vita e quelle degli altri (l’ascolto reciproco, la ricerca del compromesso, la capacità di ammettere di aver sbagliato, il riconoscimento e la correzione del privilegio), con la manifestazione più esteriore e sincopata di questa aspirazione alla purezza, che comporta il continuo lavorio per venire incontro a ogni singola istanza di ogni singolo gruppo sociale e politico, stando bene attenti a non offendere o scontentare mai nessuno (cosa che, evidentemente, è impossibile).
Da qui derivano il desiderio di proibire l’uso delle cannucce di plastica, così dannose per l’ambiente, salvo dover affrontare le rimostranze dei paraplegici che senza cannuccia non riescono a bere nei locali. Oppure la necessità di cambiare il nome pubblico del coyote, perché la parola “coyote” potrebbe essere intesa come appropriazione culturale, e allora meglio chiamarli “mini-lupi”.
Le prime due puntate di Mr. Mayor sono dunque una riscoperta della scrittura di Tina Fey, “proprio quella di una volta”, aggiornata però a una contemporaneità in cui gli oggetti della satira si sono spostati, e in cui l’elaborazione e la stimolazione di una riflessione intelligente passa necessariamente attraverso la manipolazione di temi delicatissimi, quasi intoccabili, su cui però Fey e Carlock passano una mano di comicità lieve, frizzante, sempre sul pezzo ma mai troppo divisiva.
Onestamente, trovo difficile pensare che Mr. Mayor possa diventare fenomeno come 30 Rock. Non è così originale nel concept, e per certi versi suona addirittura un po’ datata, considerando che la realtà americana ci ha fornito esempi di politici ricchi e mattacchioni (ehm, più o meno…) così insuperabili, da rendere quasi obsoleto ogni tentativo di loro trasposizione a schermo.
Ma una cosa ve la dico: io di Mr. Mayor non perderò una puntata, perché la genialata è sempre dietro l’angolo.
Perché seguire Mr. Mayor: per la firma inconfondibile di Tina Fey, e per il livello delizioso della satira.
Perché mollare Mr. Mayor: se ci arrivate pensando di essere devastati come da 30 Rock, probabilmente non accadrà.