Ted Lasso season finale: tuttora la miglior comedy del 2020 di Diego Castelli
Un commento finale era doveroso, anzi siamo pure in ritardo guarda
Scusate, è passato un po’ di tempo dall’uscita dell’ultimo episodio, ma non potevo non tornare su Ted Lasso. Cioè, siamo amici ormai, glielo dovevo.
E riparlare della serie di Apple Tv+, che non esito a definire la miglior comedy del 2020 o quanto meno quella che più ci è rimasta nel cuore, mi sembra doveroso non solo per celebrare una prima stagione che ha funzionato dall’inizio alla fine, ma anche perché è possibile aggiungere un pezzettino di analisi a quanto avevamo già detto in fase di recensione iniziale (che potete ritrovare a questo link).
Senza riscrivere tutto, ci eravamo detti che Ted Lasso riusciva a cogliere con particolare tempismo un momento in cui c’era bisogno di leggerezza, evitando però la strada della comicità più sguaiata o superficiale, preferendo costruire un vero discorso sulla bontà, l’amicizia, l’empatia, riuscendo magicamente ad evitare le trappole dell’eccessivo zucchero. E tutto grazie a un personaggio, interpretato da Jason Sudeikis, che poteva anche sembrare una macchietta, ma che in realtà non lo era, e che nel corso dei dieci episodi della prima stagione è riuscito ad andare oltre il limite delle scenette edificanti, per costruire un reale percorso di crescita, cosa mai scontata quando si parla di comedy e con ancora poche puntate in mano.
E come si è sviluppato questo discorso di crescita?
Beh vi ringrazio della domanda. Alla fine credo che l’idea realmente vincente della scrittura di Ted Lasso, più della burberia (burberaggine? Burberitudine?) dell’adorabile Roy Kent, più del riscatto del timido Nathan, più dei piccoli dettagli e tormentoni come i biscottini a Rebecca o la placida resilienza di Higgins, stia nel fatto che la bontà di Ted viene messa alla prova sul serio e non viene mai data per scontata.
Per esempio, sappiamo fin dal pilot, anche se in quel momento ci mancano ancora diversi dettagli, che Ted ha qualche problema col suo matrimonio, e vederlo divorziare durante la stagione, vederlo capace di momenti davvero bui, perfino di terribili attacchi di panico, dà spessore al personaggio e gli consente di uscire dalla cornice un po’ inverosimile del “buono sempre e comunque”.
Ma non solo, la sua capacità e volontà di far fronte a certi problemi usando il suo inguaribile ottimismo, rappresenta proprio il tentativo di testare quell’indole pacifica per investirla di un potere salvifico che va ben oltre la semplice e fianciullesca gioia di uno che non ha un problema al mondo. No no, Ted i problemi li ha, ma adotta strategie precise per superarli.
La stessa vicenda del divorzio è poi quella che permette a Ted di perdonare Rebecca quando questa gli confessa di averlo ingannato per buona parte della stagione, avendolo assunto col preciso obiettivo di far fallire la squadra. In questo modo, il perdono del protagonista non è buttato lì, non arriva solo perché “Ted è così”, è invece motivato da una crescita specifica del personaggio, che forse in un altro contesto si sarebbe incazzato sul serio (e lì per lì chi guarda pensa davvero che possa essere la volta buona), ma che a fronte del suo vissuto recente riesce a mettersi nei panni della sua datrice di lavoro.
Ovviamente, questa sensazione di percorso non riguarda solo Ted, ma anche gli altri personaggi. In questo senso non c’è niente di strano o di particolarmente nuovo nella scrittura di Ted Lasso, ma è comunque tutto fatto a modino. Vale naturalmente per Nathan, che vive una crescita personale ma anche professionale. Vale per Roy, che in termini un po’ classici e archetipici accetta la propria mortalità, ma riesce a godere di un ultimo momento di gloria quando uscendo dal campo, dopo quello che potrebbe essere l’ultimo infortunio della sua carriera, viene acclamato dal pubblico con il coro che era suo marchio di fabbrica. Vale per Rebecca, che inizia la stagione con il preciso proposito di vendicarsi dell’ex marito, e scopre che la vera serenità non viene dalla vendetta, ma dal superamento del passato in nome di un progetto e di un futuro che siano veramente suoi. E si potrebbe andare avanti, citando anche Jamie (anche se nel suo caso mi aspettavo qualcosa di più risolutivo nel finale) e Keeley, che però “cambia” meno nel corso della stagione.
Niente di rivoluzionario, come detto, benché tutto fatto con i tempi e i modi giusti, trovando sempre il corretto equilibrio fra il dolce, l’amaro e il comico, senza mai esagerare in un senso o nell’altro. Ma lo spazio per lo stupore vero comunque c’è, e sta proprio nel finale.
Quella di Ted Lasso è una storia molto hollywoodiana e lui un personaggio molto americano, perché è il classico uomo capace di far fronte alle avversità usando la propria intraprendenza e il proprio ottimismo. La sua, metaforicamente e forse un po’ cinicamente, è anche una conquista della grigia Inghilterra tramite lo spirito americano dei primi, entusiasti coloni d’oltreoceano.
A fine stagione, però, Ted perde. La squadra viene retrocessa ma buona parte dell’episodio finale è scritta in modo tale da farci credere che non retrocederà, che alla fine l’unione e l’amicizia fra i personaggi, che non esistevano prima dell’arrivo di Ted, saranno sufficienti per arrivare al successo.
E intendiamoci, non è che non esistano esempi anche famosi di sconfitte hollywoodiane (vedi il primo Rocky), ma direi che è innegabile che, arrivati verso tre quarti di episodio, pensavamo e anzi speravamo che la squadra ce la facesse, magari con un gol di Roy dopo aver impedito a Jamie di segnare la rete decisivo.
Invece i nostri perdono e retrocedono, e lì per lì la delusione è molto forte. Poi però arriva il discorso di Ted, un uomo che pensa verrà esonerato di lì a poco e che spiega ai suoi giocatori l’importanza di essere insieme nella tristezza, piuttosto che soli. Ed è qui che capiamo l’importanza di quella sconfitta, perché quell’unione e quell’amicizia di cui si diceva poco fa hanno valore di per sé, a prescindere da ciò che permettono di ottenere, e solo perdendo tutto tranne quelle è possibile rendersene pienamente conto.
Si potrebbe pensare che questo sia l’ultimo test a cui la bontà di Ted sia stata sottoposta, ma in realtà ce n’è un altro: quando il protagonista fa arrivare all’ormai nemico Jamie un bigliettino con cui si congratula per il suo assist (poco dopo che il padre dello stesso Jamie l’aveva pesantemente insultato proprio per aver preferito passare invece di segnare), ci restituisce tutta la grandezza di una persona per la quale le piccole baruffe quotidiane sono nulla in confronto al rispetto di fondo che Ted garantisce a chiunque incontri, specie a quelli (l’eccezione in questo è Rupert) che hanno un motivo magari nascosto ma valido per essere un po’ stronzi.
E si arriva così a riconoscere i veri traguardi, i veri “premi” guadagnati da Ted e dagli altri: non i risultati sportivi, ma quelli emotivi. Ted è stato in grado di costruire una squadra dove prima c’erano solo giocatori, ha “salvato” dall’abisso più di un personaggio, ha cambiato la vita di qualcun altro, e quello che ha guadagnato è la stima e il rispetto di chi all’inizio lo sbeffeggiava (prima fra tutti Rebecca, che lo conferma per la stagione successiva nonostante la retrocessione). Di più, Ted guadagna una famiglia, dopo aver “perso” quella vecchia.
Ora io non so se noi vogliamo o possiamo raccogliere lezioni di vita da Ted Lasso. Non so cioè se vogliamo accogliere questo suggerimento di bontà totale, o se invece vogliamo mantenere il nostro diritto a incazzarci come iene per qualunque cosa, specie in un periodo in cui di motivi per essere incazzati ce ne sarebbe più d’uno.
Né possiamo considerare Ted Lasso una serie realistica, non solo in termini emotivi, ma pure sotto molti altri aspetti (meglio non consigliarla a chi stia cercando una rappresentazione verosimile del calcio, perché le poche scene di pallone presenti in questa prima stagione sono terrificanti).
Ma qualunque cosa noi si voglia fare di Ted Lasso dopo averla vista, non cambia il fatto che mentre la guardavamo ci siamo sentiti più felici dopo ogni puntata, dall’inizio alla fine, senza che ci fosse un momento di calo, senza che arrivassero delusioni, senza che comparisse mai, nemmeno all’ultimo, un motivo per non voler bene a questo strambo allenatore di football, venuto a insegnarci un po’ di gioia.
PS Sapete qual è l’unica cosa che non mi è piaciuta del finale? Proprio l’ultima gag con l’acqua frizzante sputata in faccia a Rebecca, che mi è sembrata un po’ dozzinale. A parte quello, a posto.