Ted Lasso – Uno a cui volere bene subitissimo di Diego Castelli
Jason Sudeikis dà vita a un allenatore di football americano trapiantato nel calcio e ci conquista a botte di empatia
Le serie tv, come qualunque oggetto culturale, nascono in un preciso momento storico e sono partorite da precisi contesti sociali, economici e filosofici. A volte questo rapporto con il mondo esterno si vede in maniera più smaccata, altre volte è più sfumato, ma c’è. Soprattutto, le serie tv possono cavalcare determinate onde, mostrandosi pienamente figlie del proprio tempo, oppure possono decidere di smentirlo, ponendosi come sguardi alternativi e discordanti. Un esempio classico sono le distopie: a volte seguono e amplificano paure ben precise e riconosciute (pensiamo a quanti romanzi e film nacquero dalla paura di un potenziale conflitto nucleare durante la Guerra Fredda), altre volte colpiscono proprio per la loro capacità di spiazzare, come accaduto con i primi episodi di Black Mirror, che arrivarono a metterci in guardia dal lato oscuro della tecnologia in un momento di generale favore ed entusiasmo nei confronti di device tecnologici di ogni genere.
Bene, tutto sto pippotto potrebbe sembrare un po’ esagerato per la serie di cui parliamo oggi, eppure è difficile guardare i primi tre episodi di Ted Lasso, nuova comedy targata Apple TV+, per non sentire proprio questo, una precisa capacità di inserirsi in un determinato momento storico, per smentirlo in modo deliziosamente vistoso.
Direi che possiamo essere d’accordo sul fatto che non stiamo vivendo il momento più roseo e pacifico della storia recente dell’Occidente. Fra crisi economiche, politici che sembrano per l’appunto usciti da Black Mirror (a partire dal Presidente degli Stati Uniti), una vita social caratterizzata da egoismi e cattiverie, e per finire una pandemia globale che tende i nervi della popolazione da più di sei mesi, l’unico modo per spezzare il ciclo dello stress e fare qualcosa che suoni davvero “diverso”, è puntare tutto sulla bontà, che di questi tempi può suonare tanto anacronistica quanto straordinariamente curativa.
Ted Lasso (Jason Sudeikis) è un allenatore di football americano. Anche abbastanza “piccolo”, nel senso che nella sua ancora breve carriera ha ottenuto sì buoni risultati, ma con una squadra di seconda fascia. Stupisce allora la decisione di Rebecca Welton (Hannah Waddingham), che ha ereditato dal marito fedifrago la proprietà di una squadra di Premier League inglese, di affidare proprio a Lasso, che di calcio non sa praticamente niente, la guida del club, la cui storia passata e presente viaggia nell’alveo di una generale mediocrità.
Il motivo di tale scelta (mi permetto un piccolo spoiler) sta nel fatto che Rebecca, cornificata per anni dall’ormai ex marito, vuole che la squadra affondi e retroceda, proprio per dispetto nei confronti del coniuge che nell’AFC Richmond aveva l’unico vero motivo di passione della vita.
E a caratterizzare Lasso, giusto per ricollegarci alle riflessioni iniziali, è un inguaribile, incrollabile, contagioso ottimismo, che arriva in Inghilterra come un vento di primavera in un paese fino a quel momento segnato dall’inverno.
La genesi di Ted Lasso (nel senso del personaggio) è particolare, perché nasce all’interno degli spot con cui NBC promuoveva la sua copertura della Premier League inglese. In pratica, nel tentativo di stuzzicare la curiosità del pubblico americano, il cui amore per il “soccer”, cresce da anni senza ancora essere realmente esploso, Jason Sudeikis interpreta un allenatore di football trapiantato sul calcio, per unire i due mondi nel solco della parodia e della risata, perché ovviamente Ted Lasso ha la tendenza a guardare il calcio come guardava il suo sport d’elezione, con risultati comici e stranianti.
L’elemento che però non si vedeva così bene negli spot, e che invece viene ampliato e approfondito proprio nel momento in cui il personaggio finisce in una serie di Apple TV+ creata, oltre che dallo stesso Sudeikis e Joe Kelly, anche dal Bill Lawrence già creatore di Scrubs (e non a caso il buon vecchio Zach Braff è il regista del secondo episodio), è per l’appunto l’approccio di Ted alla vita e alla professione, un approccio improntato alla gentilezza, all’amicizia, all’ottimismo, allo spirito di squadra.
Il mondo in cui Ted Lasso arriva a operare è un mondo grigio e teso, che coinvolge Rebecca (che cova rancore acido per l’ex marito e bullizza il suo capo ufficio stampa), i giocatori dell’AFC Richmond, impantanati in una carriera di basso livello, guidati da un capitano, Roy (Brett Goldstein) dall’indole burbera e poco amichevole, e da un capocannoniere, Jamie (Phil Dunster) che pensa di essere Dio in terra, e arriva ai giornalisti, il cui unico obiettivo sembra quello di prendere in giro la squadra e sputare veleno sul nuovo allenatore.
In tutto questo, Ted e il suo vice, Coach Beard (Brendan Hunt), portano in dote un approccio completamente nuovo, che vediamo subito nella capacità di Ted di fare amicizia con Nathan (Nick Mohammed), un timido inserviente fino a quel momento bullizzato da tutta la squadra, che invece Ted tratta con simpatia e rispetto, convinto che solo l’armonia fra tutte, ma proprio tutte le componenti del team possa portare ai successi sperati (o almeno che lui crede siano sperati).
Non voglio esagerare con gli spoiler, anche se sarebbe interessante elencare tutti i piccoli dettagli con cui viene costruito il metodo-Lasso, una specie di scalpello con cui il protagonista, pian pianino, gratta via le asperità delle persone che lo circondano. Cito per esempio i misteriosi biscottini che Ted consegna ogni mattina alla sua presidente, un gesto di amicizia che naturalmente Rebecca vive inizialmente con fastidio e irritazione, ma la cui tenace dolcezza, giorno dopo giorno (unita al fatto che i biscotti son proprio buoni) non può non avere un effetto anche sull’indole battagliera della donna, costruita come la versione vagamente parodistica (o quanto meno esacerbata) della donna forte e tutta d’un pezzo, che si contrappone all’altra figura femminile dello show, Keeley (Juno Temple), la fidanzata di Jamie che invece è un po’ svampita ma tutta-cuore e gioia.
Niente spoiler eccessivi, come accennato, ma ormai avete capito come è costruita la serie: lungi dall’essere solo una parodia becera e sguaiata del mondo dello sport, come io invece credevo all’inizio, Ted Lasso è un inaspettato inno alla bontà, alla gentilezza e all’empatia, che arriva da una piattaforma che finora era stata quasi sempre molto più seria e impegnata, e che quando ha sconfinato nella comedy (come per la bella Mythic Quest) l’ha fatto per l’appunto nei toni accesi della parodia più classica, coi personaggi stupidoni e i caratteri esagerati.
Eppure una coerenza c’è eccome. Nel mettere in scena le avventure di quello che sembra un misto fra Forrest Gump e Carlo Ancelotti, Apple TV+ non si preoccupa solo di scardinare una certa cupezza del periodo che stiamo vivendo, sciogliendola nei buoni sentimenti, ma rimane anche fedele a un certo suo impegno sociale e politico: se con The Morning Show aveva esplorato i lati oscuri del mondo mediale e in generale del management occidentale, spesso venato di un sessismo strisciante capace di sconfinare nel vero e proprio abuso, con Ted Lasso Apple TV+ mette in scena l’utopia di un manager maschio che si comporta con sottoposti e superiori esattamente come ci si dovrebbe comportare, con rispetto e attenzione per le varie sensibilità.
E attenzione, il risultato più significativo non sta nell’aver preso la decisione in sé e per sé di produrre una serie di questo tipo, con queste intenzioni. Il vero successo sta nell’averla prodotta schivando le trappole dell’eccessivo zucchero e della retorica buonista fine a se stessa. Ted Lasso funziona perché, oltre a portare un po’ di dolcezza in questo mondo incarognito, fa ridere, interessa, intriga, inventa situazioni e personaggi che hanno un senso e una solidità. A partire dallo stesso Ted, che non è una semplice macchietta zuccherata, ma ha un suo preciso spessore, che si vede in almeno due elementi: la sua effettiva capacità, se non ti essere un bravo tattico di calcio, quanto meno di essere un ottimo allenatore nel senso più ampio e psicologico del termine; e poi la sua storia familiare, che in questi primi episodi è solo accennata, ma conta: Ted infatti ha lasciato in America moglie e figli, e dalle telefonate apprendiamo che il matrimonio non è tutto rose e fiori, anzi. Ci si chiede perché, quali segreti Ted stia nascondendo, ma non è un interesse pruriginoso, bensì la presa di coscienza che anche un uomo apparentemente così pacifico e accomodante è una persona a tutto tondo con i suoi casini e le sue fragilità.
Insomma, Ted Lasso ci ha stupito. È fresca, immediata, divertente, ma non banale. Politica, ma non pesante. Dolce, ma non stucchevole. E soprattutto ci regala un personaggio che scalda il cuore (lo si vede già dalla sigla, fateci caso), e che se continua così potrebbe diventare una figura da ricordare negli anni.
“Ti ricordi quanto volevamo bene a Ted Lasso?”
“Mado’, non farmici pensare che mi viene il magone”.
PS: mi sento di precisare, per chi ha la passione specifica, che da un punto di vista calcistico la serie non ha valore alcuno. Cioè, non aspettatevi una “serie sul calcio”, ché poi ci rimanete male.
Perché seguire Ted Lasso: una botta di dolcezza consapevole, intelligente e divertente, in un agosto altrimenti segnato dai soliti veleni.
Perché mollare Ted Lasso: è una dolcezza che evita di diventare stucchevole, ma qualcuno potrebbe comunque considerarla “troppo”, specie se come unico riferimento allo sport sullo schermo ha Ogni Maledetta Domenica.