Diavoli – Sky Atlantic: Alessandro Borghi non basta di Marco Villa
Sopra la media della fiction italiana, ma al di sotto degli standard internazionali: Diavoli è un grande “vorrei ma non posso”, in cui si fa notare solo un ottimo Alessandro Borghi
La finanza è un mondo strano da raccontare. Da una parte tensioni e passioni fortissime, terreno perfetto per la narrazione. Dall’altra tecnicismi oscuri che vanno mitigati e in qualche modo smussati dalle interazioni dei personaggi. Un equilibrio complesso, una strada molto stretta. Forse troppo stretta per Diavoli, in onda su Sky Atlantic (e disponibile su NOW TV) dal 17 aprile, con la classica formula all’italiana dei due episodi a settimana.
Tratta dal libro omonimo del trader Guido Maria Brera, Diavoli è ambientata nel mondo della finanza londinese. Storie di investimenti spregiudicati, squali che si azzannano tra di loro, e hedge fund in grado di influenzare la vita di stati più o meno piccoli. Il nucleo dei protagonisti lavora alla NYL, grande banca d’investimento della City, e al centro della storia in particolare ci sono Dominic Morgan (Patrick Dempsey) e Massimo Ruggero (Alessandro Borghi): il primo è il boss della banca, il secondo il suo delfino. In apparenza grandi pacche sulle spalle, partite a squash e gioco di squadra, in realtà è un tutti contro tutti che non guarda in faccia a nessuno. Questo clima già paradisiaco viene ulteriormente esacerbato dalla morte di un terzo incomodo, che vola nell’androne della banca, in un apparente suicidio. Già sappiamo che non è andata così e già sappiamo che Dominic e Massimo finiranno per azzannarsi alla giugulare finché – come diceva quello – non ne resterà soltanto uno.
Produzione di peso Sky Original con Lux Vide, Diavoli è una serie che punta ad avere un tiro internazionale e che, nelle evidenti speranze collettive, si sarebbe dovuta inserire in quel filone di successi stile Billions e Succession: due serie che ruotano intorno alla finanza, pur declinando il tutto in modi diversi. Billions punta su una narrazione thriller, mentre Succession si gioca la carta del racconto famigliare, per quanto estremo e dissonante. Il problema principale di Diavoli è che non si capisce quale strada voglia prendere: si parla di finanza, ovvio, ma una delle primissime sequenze apre uno squarcio sulla vita personale di Massimo Ruggero con toni da drammone sentimentali e flashback annessi. Allo stesso tempo, si cerca di mantenere un tono più rigoroso con riferimenti a personaggi reali della finanza e con immagini di repertorio a dare corpo al tutto.
La doppia anima può essere una ricchezza, ma ha bisogno anche di un doppio collante: narrativo e visivo. E in Diavoli sembrano mancare entrambi: le varie vicende procedono con una successione di WTF piuttosto importante (la microspia dell’anarchica? I flashback del giovane Borghi barman?), mentre la regia (i primi episodi sono di Nick Hurran, uno che ha firmato anche serie importanti come Doctor Who e Sherlock) vorrebbe essere frenetica e tesissima, ma finisce per essere confusa e legata a un’estetica clippettara di un secolo fa.
In tutto ciò, spicca senz’altro Alessandro Borghi, che convince in modo pieno anche in lingua inglese, risultando sempre calato nella vicenda e a proprio agio. Certo, occorre vedere Diavoli in lingua originale, ma chiunque scelga il doppiaggio difficilmente potrà durare più di un minuto. Massimo Ruggero però non è un personaggio totalizzante, di quelli in grado di tenere in piedi da solo la serie e quindi si torna al punto di partenza.
Come detto, Diavoli è una serie con ambizioni di livello e con un universo narrativo di fondo interessante, perché un racconto della finanza a vari livelli è tutt’altro che banale. La resa finale è purtroppo lontana dalle aspettative. Per dirla in modo spiccio, siamo ben sopra la produzione televisiva media italiana, ma sotto gli standard internazionali.
A naso, non sarebbe dovuta andare così.
Perché guardare Diavoli: perché il mondo della finanza ha ancora ampi spazi da raccontare
Perché mollare Diavoli: perché la resa è al di sotto delle aspettative