His Dark Materials prima stagione: qualcosa è mancato di Diego Castelli
Molte cose al posto giusto, ma serviva un po’ di anima
SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE
C’è qualcosa che non mi torna. E vi giuro che faccio fatica a capire cosa.
Parliamo di His Dark Materials, la serie tratta dai romanzi di Philip Pullman che ha rappresentato una delle due trasposizioni seriali più ambiziose (l’altra è Watchmen) con le quali HBO ha cercato di colmare il vuoto fantasy lasciato da Game of Thrones.
E questo non nel senso di “trovare l’erede di GoT”, che a HBO sicuramente non spiacerebbe, ma che è un’operazione destinata a fallire, se portata avanti con quell’intento specifico. Parliamo però, nel caso di His Dark Materials, di una saga letteraria molto nota e apprezzata, già portata al cinema con un film riuscito solo in parte, e che sembrava aspettare solo il momento in cui i mezzi della tv fossero abbastanza potenti da darle una dignitosa veste seriale, che diciamoci la verità, sarebbe sempre la migliore per qualunque romanzo che superi le 200 pagine.
Ora che è passata qualche settimana dalla fine della prima stagione (che nel frattempo è arrivata anche su Sky) mi trovo nell’imbarazzo di recensire una serie che ha palesemente dei valori produttivi molto alti e tante cose al punto giusto, ma che per qualche motivo non mi ha lasciato addosso la soddisfazione che mi aspettavo. E forse non è una sensazione solo mia, perché guardandomi intorno vedo buoni voti e buone recensioni, ma poco entusiasmo, poco dibattito, pochi meme. Nell’era dei social, il successo globale di un prodotto, al di là del gusto di ognuno di noi, si misura anche con il “quanto se ne parla”, e neanche per forza “quanto se ne parla bene”. Guardate The Witcher, che in queste settimane sta trovando feroci accusatori e accaniti difensori. A prescindere da quale parte stiate, è difficile negare il successo della serie, la sua capacità di attirare l’attenzione e generare dibattito.
Con His Dark Materials c’è un generico favore, ma poco entusiasmo, poco furore, ben poche persone che corrono sui social battendo voracemente sui tasti per consigliare ad amici e parenti la visione di un prodotto che loro reputano imprescindibile. Forse, a conti fatti, perché His Dark Materials così imprescindibile non lo è stata.
Eppure non è che le si possa dire molto in termini puramente tecnici. La prima stagione è ben messa in scena, con la ricchezza visiva a cui ormai HBO ci ha abituato, e con buone scelte di casting (su tutti Dafne Keen per Lyra e Ruth Wilson per la signora Coulter). Il romanzo di Pullman (e qui stiamo parlando nello specifico de La Bussola d’Oro) offre molti spunti visivi, divide i vari scenari in maniera molto precisa – (il Jordan College, le navi dei giziani, i paesi del Nord, i viaggi nella neve, la roccaforte degli orsi ecc) – e quindi ben si presta a una versione audiovisiva che si impegni in primo luogo a dare sostanza d’immagine a quelle fantasie verbali.
È possibile che uno dei tratti fondamentali della saga letteraria, cioè il suo essere profondamente atea, anti-teologica e anticlericale, sia percepito con minore forza oggi rispetto agli anni Novanta (per quanto lo stesso Pullman si stupì, ironicamente, che la maggior parte delle critiche religiose andassero a Harry Potter, che era assai più all’acqua di rose, su questo tema, rispetto a His Dark Materials), ma ciò non dovrebbe comunque impedire di restituire la potenza puramente fantasy della storia, nonché il valore di certi risvolti, come il tradimento finale da parte dei genitori di Lyra, che sostanzialmente la lasciano da sola al suo destino per farsi i fatti propri.
Eppure qualcosa manca. Alla fine degli otto episodi, l’entusiasmo non è alle stelle, l’emozione per le scene più importanti non è arrivata alle vette sperate. Banalmente, non ho particolare interesse a consigliare alla gente His Dark Materials come una delle serie imperdibili del 2019. Perché? Cosa non mi torna? Basta il fatto che io abbia letto il libro, per rovinarmi la versione audiovisiva, come spesso accade?
In generale, ho trovato la versione di HBO un po’ fredda, meccanica, una giustapposizione di eventi e scene che hanno trovato una loro collocazione logica nella mente, ma senza risuonare di passione nel petto. Nel cercare le ragioni di questo fatto, ne ho individuate tre.
-In primo luogo, pur essendo passati da un film a una serie, ancora una volta mi è parso di vedere troppa fretta. Diverse sequenze e puntate, dalla carcerazione dei bambini a Bolvangar alle vicende degli orsi a Svalbard, passando per i viaggi coi giziani, sono molto rigide e impacchettate, hanno poco respiro, e si esauriscono in uno spazio troppo breve. Il tempo di capire cosa sta succedendo e già dobbiamo passare al prossimo problema, con poca possibilità di emozionarci veramente per le vicende raccontate nel qui e ora.
-Il secondo problema, connesso al primo, è un ribaltamento del pregio cui si faceva cenno prima: La Bussola D’Oro è sì un romanzo molto visivo, pieno di scene dall’alto potenziale avventuroso, ma è anche una storia in cui viene lasciato largo spazio ai pensieri di Lyra, che permettono di far emergere le sue qualità di stratega ma che consentono anche di assorbire ogni nuova situazione nei dettagli, dandole sempre il peso che merita nel complesso della storia. Nella serie questo non succede, per ovvi limiti legati al mezzo, ma anche per scarsa capacità di trovare vie alternative, come poteva essere una dose maggiore di dialoghi fra Lyra e il suo daemon Pantalaimon, che invece è relativamente sotto-utilizzato. Il risultato è guardare le varie scene, ma fare fatica a viverle, perché troppo rapide e poco riflettute.
-C’è poi un terzo elemento, che a mio giudizio è un errore grossolano: gli autori capitanati da Jack Thorne hanno scelto di contaminare le vicende de La Bussola d’Oro con quelle del libro successivo, La Lama Sottile, introducendo fra gli altri il personaggio del giovane Will Parry. Lo trovo un errore grave, per un motivo molto semplice: La Bussola d’Oro è un romanzo che mette i personaggi di fronte a una misteriosa città nascosta nell’Aurora, e che solo alla fine permette alla sua protagonista Lyra di accedere a un misterioso portale che, forse, la porterà in quella città, ospitata da una dimensione parallela di cui non si sa niente, se non che esiste, dispersa lassù negli onirici colori del cielo. Questo senso di mistero e di magia, e in definitiva di scoperta, viene completamente ammazzato dal fatto di farci già vedere un’altra dimensione parallela, in cui si muovono altri personaggi, fra cui diverse figure che vengono dal mondo di Lyra. In pratica, il viaggio della protagonista finisce col perdere qualunque senso di mistero o perfino di reale importanza, perché allo spettatore viene mostrato troppo di ciò che verrà dopo. E poi diciamoci la verità, nel 2020 non è che si si possa stupire in sé e per sé del concetto di dimensione parallela, quindi lasciargli addosso il vestito magico garantito dal libro avrebbe avuto tutto un altro senso. Se a questo aggiungete che praticamente tutte le scene ambientate nell’altra dimensione (che poi è la nostra) sono di una noia mortale, ecco che una delle migliori sfumature fantasy de La Bussola d’Oro ne esce incomprensibilmente depotenziata.
Questi difetti, come detto, non bastano a bocciare in toto la serie, che resta un prodotto di HBO con i muscoli di HBO. Si pone però il problema di uno show che ha quasi tutti gli arti e gli organi al posto giusto, ma a cui manca il cuore, e che alla fine della prima stagione lascia l’impressione di aver visto una storia con tutte le sue cose a posto, ma che raramente è stata in grado di trasmettere emozione pura, se non in qualche raro momento (di solito quelli legati alla morte dei bambini).
Attendiamo la seconda per capire se l’incontro annunciato fra Will e Lyra alzerà un po’ l’asticella.