Breakout Kings – Una serie come Prison Break? No di Marco Villa
L’importanza di Mauro Repetto nei telefilm americani
Alla fine sono sempre le aspettative a fregarmi. Come quando pensai che Rizzoli & Isles fosse la versione crime di The L Word. In questo caso, le immagini promozionali mi avevano convinto che Breakout Kings fosse una serie carceraria. Già avevo in testa tutto il pippone da scrivere, dividendo il genere tra l’ultraviolenza di Oz e la trama potentissima di Prison Break (da cui provengono i creatori). Invece niente. Mi immaginavo una cosa claustrofobica di sopravvivenza quotidiana, mi sono ritrovato davanti agli occhi una roba insulsa a trama verticale. Senza il carcere, per giunta. Non si fa così, non si fa.
Breakout Kings è una nuova serie del canale cable A&E. È iniziata il 6 marzo e ha fatto segnare il record di ascolti tra i debutti dell’emittente. Segue le vicende di una task force speciale, formata da due poliziotti e da tre carcerati. Non galeotti comuni, ma galeotti di rara intelligenza, che vengono utilizzati perché “ah, come ci hanno fatto penare loro, nessuno. Quindi ne sanno davvero tante sulle evasioni”. In cambio, i simpatici tre (un nerd, una gran gnocca e un nero-del-ghetto) hanno sconti di pena. Come dite là in fondo? Anche in White Collar c’è un galeotto intelligente che aiuta i buoni? Ragazzi, stiamo pur sempre parlando di un’emittente che aveva The Glades come record di ascolto…
Se la trama di fondo è già sfruttata, il suo sviluppo è decisamente imbarazzante. Breakout Kings è una serie trasparente, termine che d’ora in avanti utilizzeremo qui a Serial Minds per descrivere quei prodotti in cui nulla – ma proprio nulla – viene lasciato all’immaginazione dello spettatore. L’esaltazione dello spiegone supremo, al cui confronto quelli d Kit Carson in Tex sono barzellette. Qui ogni cosa viene mostrata, spiegata e poi ricordata e tutto avviene in modo totalmente scoperto – trasparente, appunto. Per dire: una donna ci dice che il cattivo ha rapito la figlia come ostaggio (primo livello), il cattivo telefona ai poliziotti per dire che ha con sé la ragazza e se non lo lasciano in pace la uccide (secondo livello), i buoni imbastiscono una conversazione per rimarcare la faccenda:
– Potremmo mettere dei posti di blocco al confine
– Eh, ma se poi lui li vede uccide la ragazza (terzo livello).
Tra il primo e il terzo livello passano meno di tre minuti. Divertente, no?
A parte questa faccenda – di non poco conto, ne converrete – Breakout Kings ha un piccolo problema di fondo. Nell’episodio pilota, i tre carcerati usati come superesperti non servono a niente. Ma proprio a niente: l’unica attiva è la femme fatale, ma tutto ciò che fa è rimanere in reggicalze per rincoglionire un tizio da interrogare. Degli altri due, il nerd fa profili psicologici non richiesti a tutti quelli che incontra e il nero disegna il logo della task force (giuro!) in stile writer (giuro!).
L’intera vicenda vede i due poliziotti fare tutto il necessario, con gli altri tre a recitare un ruolo di importanza inferiore a quello di Mauro Repetto. E stiamo parlando di uno che è riuscito a farsi mettere i piedi in testa da Max Pezzali. Ah, ovviamente i due poliziotti sono assortiti con originalità: uno è una testa calda che fa cose matte (Domenick Lombardozzi, vecchia conoscenza di The Wire) e l’altro è ligio al regolamento peggio di una suorina. Insomma, un telefilm americano talmente brutto che probabilmente in Italia ne faremo il remake.
Previsioni sul futuro: un caso a puntata, sempre spiegato nei minimi dettagli, con tre Mauri Repetti a sognare lo zucchero filato nero.
Perché seguirlo: perché negli ultimi undici anni non avete mai capito una puntata di CSI e stavate proprio cercando qualcuno che vi spiegasse tutto per bene.
Perché mollarlo: perché adesso che avete scoperto il concetto di trasparenza il mondo si è aperto davanti ai vostri occhi.
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