20 Giugno 2019 3 commenti

Ramy: un’altra serie semi-autobiografica scritta da un comico? Yes, please! di Diego Castelli

Un arabo-americano racconta le difficoltà di far coesistere i due mondi. E fa ridere.

Copertina, Pilot

Ramy (5)

Nell’era delle multipiattaforme, del binge watching, delle troppe serie da guardare, i meccanismi che seguiamo per decidere di provare un nuovo show sono particolarmente vari. Capita di seguire tutte le novità per un mese, poi improvvisamente ne perdi cinque, poi ne recuperi due perché te l’ha consigliato l’idraulico del fratello del tuo panettiere di fiducia.
Fatto sta che mi stavo completamente perdendo Ramy, serie di Hulu debuttata ormai ad aprile, e sarebbe stato un gran peccato.

Creata e interpretata dal comico e scrittore Ramy Youssef (che si aggiunge all’ormai lunga lista di stand up comedian prestati alla serialità particolarmente autobiografica), Ramy racconta la vita di un giovane del New Jersey, nato in America da genitori egiziani, che prova a trovare un senso e un ordine alla sua vita, venendo continuamente sballottato fra due poli: una famiglia tendenzialmente tradizionalista, che lo vorrebbe vedere sistemato con una bella e devota ragazza musulmana, e un mondo, quello dei millenials statunitensi, che di tradizionalista ha ben poco e vive invece la vita come capita, in cerca di una sua dimensione.

Ramy (4)

Ramy è una comedy “vera”, che fa ridere molto spesso, e che gioca tutto sul tema millenario dell’incontro/scontro fra culture, che non passa mai di moda perché, molto semplicemente, anche nel 2019 le culture di ogni parte del mondo continuano a intersecarsi, fondersi e ibridarsi, probabilmente come mai prima.
L’obiettivo politico e sociale della serie è abbastanza evidente, nel tentativo di raccontare le quotidiane difficoltà di una minoranza che la maggior parte degli americani bianchi snobba completamente, ma anche di stemperare determinate frizioni, mostrando un gruppo di persone “diverse” ma allo stesso tempo assai simili agli spettatori quando si parla delle grandi questioni della vita: il lavoro, la fede, la sicurezza dei figli, le speranze per il futuro.

In questo Youssef trova la chiave giusta per inserirsi in un discorso già molto ricco di spunti, usando una chiave personale. Al contrario di un Louis CK, ma anche di un Aziz Ansari, che negli anni hanno costruito racconti autobiografici incentrati soprattutto su di loro in quanto individui, appartenendo a gruppi sociali già pienamente integrati, Ramy Youssef sa di far parte di un mondo, quello arabo e musulmano, che si porta dietro una certa dose di ostilità, esplicita o meno.
E il comico non rifiuta il tema, ravanandoci dentro con gusto, parlando della condizione femminile, inserendo uno zio che odia gli ebrei, toccando insomma un sacco di nervi scoperti dell’integrazione musulmana, ma facendolo sempre con garbo e leggerezza, a fronte della sua espressione perennemente stupita, come se ogni volta dovesse sorprendersi degli elementi più strani dei due mondi.

Ramy (3)

Non ho ancora visto tutti gli episodi, e magari ora della fine diventerà un fantasy splatter. Ma di quello che ho visto finora mi piace proprio il quadro d’insieme che emerge: quello di una società (o di pezzi di società) tutt’altro che rigidi e dogmatici, ma anzi soggetti a continui mutamenti e influenze reciproche. Un fatto che da una parte crea evidenti problemi nella ricerca di una propria identità definita, ma che allo stesso tempo fa emergere un chiaro messaggio di uguaglianza e rispetto reciproco: mentre cresciamo, quale che sia il colore della nostra pelle o la nostra religione, siamo comunque tutti incasinati.

Perché seguire Ramy: è una comedy intelligente e delicata che parla di argomenti che delicati non sono.
Perché mollare Ramy: Se preferiti commedie meno intimiste.

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